Si è svolto in Cile un importantissimo referendum. Il popolo cileno era chiamato a decidere se cancellare o no la costituzione imposta da Pinochet e mai abrogata, nonostante la fine della dittatura. E ha risposto “Sì” in maniera plebiscitaria: 77,5% che significa oltre tre elettori su quattro. L’altro quesito del referendum era se la nuova Costituzione dovesse essere scritta da un’assemblea completamente elettiva o composta per metà da membri eletti e per metà da parlamentari. Ha prevalso, con una percentuale simile, la prima opzione.
Mauro Santoro, di origine italiana ed emigrato in Cile, è da qualche anno nostro collaboratore da quel paese e ci ha raccontato, in più servizi, firmati con lo pseudonimo di Peso Cileno, l’importanza di aver imposto, con un vasto moto popolare, questo referendum. Si trattava infatti di mettere in discussione un impianto che è stato il viatico per l’attuazione delle politiche liberiste le quali, proprio nel Cile di Pinochet, hanno trovato la loro prima sperimentazione, provocando devastazioni sociali enormi.
In questi giorni siamo stati in contatto con lui e abbiamo avuto l’opportunità di essere aggiornati sugli straordinari eventi trascorsi.
Lo abbiamo intervistato per ragionare sulla prova democratica che ha avuto luogo e sulle prospettive aperte dall’esito del referendum.
D. Ciao Mauro, raccontaci un po’ come siamo arrivati a questo referendum.
R. Esattamente un anno fa, il 25 ottobre 2019, in un milione e 200.000 persone eravamo in piazza a manifestare e a chiedere una nuova costituzione e un cambio di modello sociale: sanità pubblica, scuola pubblica, abbattimento delle disuguaglianze, no alle pensioni da fame. È passato un anno e sono successe tante cose. Le manifestazioni sono proseguite con grande forza, nonostante le inevitabili limitazioni imposte dalla pandemia.
D. Qual’è stato il clima che ha immediatamente preceduto la consultazione?
R. È stata una settimana molto calda perché il 18 ottobre è stato l’anniversario della rivoluzione cilena. Già alcuni giorni prima i grandi mezzi di comunicazione avevano messo le mani avanti ventilando la possibilità di deprecabili violenze, danneggiamenti, saccheggi ecc.
Il 18 c’è stato un festeggiamento pacifico al novantacinque per cento, purtroppo condito da qualche azione violenta, certamente a opera di infiltrati. Per esempio nei giorni precedenti avevamo scoperto un poliziotto che si era infiltrato nel movimento e che esortava a incendiare e saccheggiare. Gruppi anarchici e criminalità comune, magari con la complicità della polizia che chiudeva un occhio, hanno incendiato un paio di chiese ed effettuato saccheggi simili a quelli che avvengono anche da voi in Italia.
La destra ha cercato di approfittare di questi fatti per mettere in cattiva luce il referendum, ma il movimento ha reagito a queste accuse, anche ideologicamente, denunciando la strategia del terrore della polizia, che è sempre più delegittimata, e presentando anche alcune prove delle infiltrazioni.
D. In che clima si è svolta invece la consultazione?
R. Il grande giorno del il 25 ottobre, finalmente, è stato un esercizio di democrazia molto bello e molto partecipato nonostante il rischio pandemico. Le operazioni si sono svolte con grande ordine. Tutti, per esempio, indossavano la mascherina, usavano il gel disinfettante e rispettavano le distanze. Ho avuto l’impressione, almeno per quanto riguarda la mia esperienza diretta, che la stessa procedura fosse abbastanza snella, più di quanto non sia avvenuto in precedenti occasioni.
D. Come è stato atteso l’esito delle urne?
R. È stata una trepidante attesa condita anche da eccellenti notizie che provenivano dall’estero. È arrivato per primo il risultato della Nuova Zelanda, quando ancora in Cile si stava votando. Si parlava di percentuali favorevoli fra l’80 e il 90%. I successivi dati dei paesi asiatici parevano confermare questo esito. Poi sono arrivati i risultati dall’Italia e dagli altri paesi europei, tutti in linea con i precedenti. Noi abbiamo accolto questi dati per metà con entusiasmo e per metà con prudenza. Sappiamo infatti che molti dei cileni all’estero sono esiliati e che il loro voto pertanto tende sempre un po’ più a sinistra rispetto a quello dei residenti.
La sensazione netta però è stata che si stava compiendo un primo importante passo in direzione del cambiamento.
Quando c’è stato lo spoglio abbiamo avuto la conferma che il “Sì” ha vinto ovunque e una grande quantità di cileni si è riversata nelle piazze.
Ovviamente c’è stato il tentativo della destra, sia prima sia dopo il voto, di addossare ai manifestanti la responsabilità di una eventuale seconda ondata pandemica. Tuttavia con il referendum il clima politico è già molto cambiato. Molti personaggi di destra e lo stesso presidente Piñera, quando hanno capito che rischiavano di andare incontro a una sconfitta dolorosa, hanno cessato di osteggiare la consultazione e hanno cercato di salire sul carro del vincitore contraddicendo il loro precedente atteggiamento. È ovvio che il nemico cerchi di fare il suo lavoro, ma la giravolta è indice della loro debolezza.
Durante quest’anno l’ago della bilancia si è spostato, un passo alla volta, quasi impercettibilmente, verso sinistra e oggi questa magnifica giornata lo sancisce. Magnifica per la grande partecipazione di massa, autodisciplinata, determinata a pretendere un cambiamento; per l’egemonia culturale manifestatasi con il voto, che ha marginalizzato i tentativi della destra di sminuire questo appuntamento, cercando di scoraggiare la partecipazione.
Il popolo, anche per la disperazione dovuta a 40 anni di manipolazione politica, mediatica e anche militare, ha raggiunto un grado di coscienza tale che tutto è potuto avvenire in modo perfetto.
D. Che prospettive si aprono dopo il referendum?
R. Dal giorno uno, dopo aver smaltito i festeggiamenti della vittoria, non dobbiamo perdere tempo. Ci attende l’impegno sul fronte elettorale dell’elezione dell’Assemblea costituente. Sul fronte culturale e ideologico occorre iniziare a riempire di contenuti la nuova carta, lavorando con i cabildos [organismi di partecipazione popolare, n.d.r.], i movimenti di base, le assemblee. Già in molti si stanno organizzando per questo e per elaborare un documento in grado di unificare le varie istanze in una visione di un Cile migliore, come sta avvenendo anche nella mia realtà. Ci sono anche molti movimenti sociali di vario tipo e organizzazioni di quartiere, sindacali ecc. che si stanno attivando in questo senso. Infine c’è un lavoro culturale che si sta facendo, sia in presenza sia online, per il riempimento di contenuti. Questo è il nostro obiettivo principale. Non bisogna abbandonare il lavoro di strada, nei gruppi sociali ecc.
Le tappe successive sono quelle definite con l’Acuerdo por la paz Social y la Nueva Constitución [l’accordo per indire il referendum e il successivo percorso, n.d.r.], predisposto da Piñera un po’ alle nostre spalle, ma sulla cui base dobbiamo lavorare, con la legge n. 21.200 che definisce tutto il processo costituzionale: ad aprile le elezioni dei componenti l’Assemblea costituente; nell’ottobre successivo, o comunque quando saranno conclusi i lavori della Costituente, un altro referendum per confermare o meno la nuova costituzione. I due pericoli principali sono rappresentati dal quorum di due terzi definito dall’Acuerdo previsto, e recepito dalla legge 21.200, e un certo clima di antipolitica che continua a essere l’arma principale utilizzata subdolamente dalla destra.
Abbiamo vinto, abbiamo festeggiato, ma bisogna stare attentissimi a ogni tipo di ostacolo sia diretto, sia gattopardesco.
D. Un’ultima domanda, legata alla preoccupazione di tutti i democratici per la politica aggressiva che gli Usa stanno svolgendo in molte aree del mondo e nell'America Latina in particolare. Come avvenne nel caso del golpe di Pinochet. Pensi che gli Stati Uniti staranno a guardare o cercheranno di condizionare il processo che si è aperto? In che modo potranno ostacolare il percorso costituente?
R. Secondo me a questo punto cercheranno di limitare i danni, proveranno per lo più a infiltrarsi, cercando di curare i loro grandi interessi internazionali attraverso i loro alleati locali di sempre, di far sposare gli interessi internazionali con quelli locali di determinati soggetti politici ed economici.
Ma, come ebbe a dire Salvado Allende, “la storia è nostra e la scrivono i popoli”.