Autonomia differenziata, la Consulta boccia il referendum. “Oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”

La Corte costituzionale ha bocciato il referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Non si voterà più a favore o contro di essa, ma non potrà ancora essere applicata per effetto della sentenza della Consulta dello scorso novembre.


Autonomia differenziata, la Consulta boccia il referendum. “Oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari”

Non è più una novità, perché ne stanno parlando ormai da giorni in lungo e in largo gli organi di informazione. La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio lo scorso 20 gennaio, ha deciso contro l’ammissibilità del referendum abrogativo della legge 26 giugno 2024, n. 86 sull’autonomia differenziata, perché “l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale”, come si legge sul comunicato diffuso dalla stessa Consulta subito dopo la pronuncia. Per comprendere meglio il processo logico-giuridico che ha portato i giudici a pronunciarsi negativamente, dovremmo ovviamente attendere prima la pubblicazione della sentenza, che avverrà nei prossimi giorni, per cui per intanto possiamo fare solo ipotesi; quel che è certo è che si è scongiurato il pericolo – temuto da molti – di uno scontro tra italiani, quelli appartenenti alle regioni del Nord, favorevoli all’autonomia differenziata, e quelli delle regioni meridionali, che tutto hanno da perdere dall’attuazione della legge Calderoli. 

Il quesito referendario, voluto e sostenuto da quasi tutti i partiti all’opposizione e da varie associazioni, chiedeva di abrogare completamente la legge 86, che stabilisce il percorso che devono seguire le regioni per ottenere una maggiore autonomia dallo Stato, ma in realtà mirando a dividere in due l'Italia, separando le regioni ricche, prevalentemente collocate nel Nord Italia, dalle altre ed introducendo differenze nell’accesso e nella qualità dei servizi e dei diritti tra le diverse aree nazionali, con la scusa di puntare sulla qualità e l’efficienza, sull’abbattimento dei costi, ma dimenticando che può anche esserci una diversa soluzione per conciliare opposte visioni, più solidale, più aperta alle esigenze dei vari territori, piuttosto che sulla mera volontà delle regioni – soprattutto del Nord - di accaparrarsi alcune competenze e materie per fare poi a modo loro. 

Già in passato i giudici costituzionali avevano deciso circa l’illegittimità di referendum che costringono gli elettori ad esprimere un voto secco, cioè un sì o un no unico su più questioni, senza la possibilità di scelta e proprio la legge sull’autonomia differenziata contiene effettivamente diverse questioni che richiederebbero differenti riflessioni, ecco perché la Corte costituzionale ha ritenuto che il referendum contro tale legge non può ritenersi ammissibile, riguardando – appunto - troppe questioni diverse tra loro, ipotesi non del tutto esclusa dai costituzionalisti, anche orientati a sinistra.

La sentenza del 20 gennaio è stata ovviamente accolta in modo diverso dai vari partiti, favorevolmente da quelli di centrodestra, convinti adesso di potere andare avanti serenamente con l’autonomia differenziata, cautamente dalle opposizioni, che hanno preso atto della decisione della Consulta, precisando però che la legge sull’autonomia differenziata è già stata smontata in buona parte dagli stessi giudici costituzionali lo scorso anno, con la sentenza 14 novembre 2024, n. 192, che l’ha dichiarata parzialmente illegittima, salvando sì l’impianto complessivo, ma rendendola nei fatti inutilizzabile senza un intervento correttivo del Parlamento. Secondo i giudici romani l’autonomia attribuita alle regioni a statuto ordinario dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione deve essere interpretata nell’ambito del contesto generale della forma di Stato italiana, che riconosce i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio. Pertanto, la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo (centrale, regionale, locale) deve avvenire in funzione del bene comune e della tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione. E proprio partendo da tali principi-guida, la Corte ha individuato alcune criticità della legge Calderoli: 1. la possibilità che l’intesa tra Stato e singola regione trasferisca intere materie o ambiti di materie, mentre la devoluzione deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative; 2. il conferimento di una delega legislativa al Governo per la determinazione dei LEP, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, limitando così il ruolo sovrano del Parlamento; 3. l’attribuzione ad un decreto del presidente del Consiglio dei ministri della possibilità di determinare l’aggiornamento dei LEP; 4. il ricorso alla procedura prevista dalla legge di bilancio 2023 per la determinazione dei LEP; 5. la possibilità di modificare con decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali prevista per finanziare le funzioni trasferite in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito, col rischio di premiare proprio le regioni più inefficienti che, dopo avere ottenuto dallo Stato le risorse per l’esercizio delle funzioni trasferite, non sono in grado di assicurare con esse l’adempimento di tali funzioni; 6. la facoltatività e non la doverosità per le regioni destinatarie della devoluzione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica; 7. l’estensione della legge 86 anche alle regioni a statuto speciale, quali Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno già nei loro statuti altri strumenti per ottenere maggiori forme di autonomia.

Venuta meno allora la possibilità di chiedere agli elettori un giudizio sulla bontà o meno della legge 86, l’unico strumento rimasto in mano ai suoi oppositori è oggi solo quest’ultima pronuncia costituzionale. 

24/01/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Ciro Cardinale

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: