ReJect this Europe

Il piano folle della von der Leyen passa al Parlamento europeo, coscienze annichilite dal delirio collettivo del riarmo; in Italia la “piazza europeista” lanciata dal comitato d’affari dei quotidiani nazionali raduna a malapena 30mila persone, ognuna con una visione diversa di cosa stia accadendo in Europa. Costruiamo una mobilitazione chiara per il No a questa Europa, No al riarmo, No alla guerra.


ReJect this Europe Credits: Angelo Caputo

Lo capirebbe anche un bambino: se compri una macchina per il caffè è perché vuoi farti un caffè, mentre se compri bombe e carri armati è perché vuoi fare la guerra. Almeno, questo è quello che concluderebbe una qualsiasi persona dotata di un minimo di buon senso. E invece no. Siamo costretti a sorbirci questa incredibile presa in giro, che ci propinano questi pazzi che governano in Europa, che “produrre armi è una strada utile e necessaria per fare la pace”.  

Il piano di riarmo, i cui dettagli sono ancora tutti da capire, una prima cosa la certifica: le classi dominanti del capitalismo - semmai ci fosse ancora bisogno di sottolinearlo visto che lo abbiamo scoperto più di cento anni fa- non sono per nulla interessate ai bisogni delle classi subalterne. Sono interessate solo e unicamente a proteggere l’accumulazione del capitale, a qualsiasi costo, anche in termini di vite umane. 

Protezionismo, militarismo, guerra, tutti aspetti e corollari della nostra epoca e cioè l’epoca imperialistica. Al processo di concentrazione monopolistico dei capitali corrisponde anche un processo di riarmo su scala sempre più grande. Vi è una incredibile corrispondenza tra la proiezione transnazionale dei capitali e la proiezione transcontinentale delle armi da guerra. Missili nucleari, flotte micidiali in cielo e in mare, la loro incredibile potenza di fuoco a distanza, sono il risvolto proprio della proiezione transnazionale degli investimenti esteri che le grandi concentrazioni capitalistiche devono proteggere. 

Tutto il programma della borghesia ha come principio e fine l’accumulazione capitalistica e la difesa dei saggi di profitto, gli interessi popolari non costituiscono minimamente un elemento di pianificazione della produzione ma ne sono solo un incidente di percorso, da piegare e smantellare.

A tale scopo servono, fedeli, i soldatini in tailleur che brulicano nei Parlamenti, complici - consapevoli o meno, poco importa - delle stragi già in atto e di quelle che si preparano a venire. Come Adam Szłapka, il ministro polacco che ridacchia sfacciato mentre un eurodeputato del GUE/NGL illustra le tragiche condizioni della popolazione palestinese martoriata dalla guerra e dalla crisi umanitaria; o come i 480 eurodeputati che hanno votato a favore del ReArm Europe, un delirio collettivo di yes men agli ordini della borghesia più spietata e guerrafondaia di sempre, che vorremmo vedere tutti, dal primo all’ultimo, con l’elmetto in testa a pisciarsi sotto al fronte in prima persona per davvero. Compresi ovviamente gli “astenuti”, coloro per cui Dante dovrebbe creare un ulteriore e apposito girone dell’Inferno, gli ignavi che hanno di fatto preso le difese della guerra e della devastazione ma non hanno nemmeno il coraggio di rivendicarselo apertamente, farfugliando cose senza senso tipo “c’è pace e pace” oppure “no, macchè riarmo, noi vogliamo solo la difesa comune europea”. Mai come in questo frangente storico siamo bombardati da emerite cazzate su ogni fronte, e dobbiamo berci pure la frottola che il vero pacifista, oggi, sarebbe quello che va a fare la piazza con le bandiere blu mentre ha sistematicamente ignorato (o boicottato) le piazze per fare oppsizione al governo Meloni o per difendere i palestinesi brutalizzati dal regime sionista; il vero pacifista oggi sarebbe quello che invoca l’unità di un’Unione Europea che da quando esiste ha saputo solo proporre ricette lacrime e sangue sulle spalle della classe lavoratrice, che non ha mai una lira quando si tratta di finanziare i salari diretti e le pensioni, la scuola, la sanità, le infrastrutture ma poi propone di estrocere miliardi a noi lavoratori e lavoratrici per riarmarci contro una non meglio precisata minaccia russa, paventata senza sosta da tre anni, per “difendere” un Paese della cui popolazione non è mai fregato nulla agli oligarchi di Bruxelles che perseguono esclusivamente militarismo e conversione all’economia di guerra solamente per assecondare le proprie logiche predatorie e di lauti profitti; il vero pacifista oggi sarebbe quello che, dinannzi al ridicolo dogma per cui Putin sarebbe già con un piede a Parigi e quindi tocca sentirsi necessariamente minacciati,  invoca un grande esercito europeo al posto della sommatoria degli eserciti di ogni stato nazionale, come se questo facesse una qualche sostanziale differenza rispetto al fine ultimo che è comunque l’utilizzo delle armi: che dire, gente, un vero capolavoro.

Questo è un momento della Storia per cui non c’è spazio per i “non so”, i “non mi interessa” o i “c’è pace e pace”. Questo è un momento della Storia in cui si è definitivamente tracciato un solco oltre al quale c’è l’oblio e tocca schierarsi nettamente e capire da che parte stare, bandire le ipocrisie degli appelli europeisti che non citano mai, nemmeno in un rigo, la parola “pace” ma poi fingono di inorridire di fronte alle parole -chiare, inequivocabili- che la Von Der Leyen ci ha fatto la cortesia di usare senza sfumature: riarmo, guerra. E ai tanti confusi che hanno voluto credere (o farci credere) che presenziare alla piazza di Serra significasse incarnare il vero spirito pacifista, che fanno così tanti “se”, “ma” e distinguo vari tra dove stia il bene e dove stia il male da non capirci alla fine più niente, a tutti costoro va ricordato che non è un caso che nella Costituzione italiana avessero scelto la parola “ripudio” quando all’articolo 11 si parla di guerra. Ripudiare una cosa significa non solamente respingere ma significa dire “so che questa cosa ha fatto parte di me, ma ora io scelgo di disconoscerla”. E’ un concetto molto più potente del mero rifiuto e da solo basta a smascherare la disgustosa ipocrisia di chi, dopo migliaia e migliaia di morti lontani che tanto non tocca con mano, dalla comoda seduta del proprio divano ammonisce:“non si può accettare qualsiasi pace”.

Piazza del Popolo lo scorso sabato 15 marzo si è affollata confusamente di personaggi dannunziani che invocano il riarmo come un passo necessario, poi di quelli che, appunto, fanno i salti mortali per non nominarlo apertamente e dichiararsi i “veri” pacifisti, ma anche di gente che, in buona fede, ha voluto credere in mezzo a tanta confusione che in quella piazza ci fosse spazio semplicemente per sperare ancora nell’Europa del manifesto di Ventotene, tradito e defunto sotto decenni di ordoliberismo comunitario, la sola forma storica che possa assumere la federazione degli Stati europei sotto il capitalismo. Pur stando lì gomito a gomito, tutte queste persone si sarebbero probabilmente trovate in realtà in disaccordo tra loro se avessero sviscerato una ad una tutte le varie enormi questioni del nostro tempo (dal cosa sia e cosa debba fare l’Europa, alla visione sulla guerra e sulla pace), poiché una parte di loro è stata platealmente raggirata dai media per partecipare ad una piazza chiamata su parole d’ordine retoriche e con simbologie subdole che poi è stata fatta passare, altrettanto subdolamente, come la piazza per la pace; una piazza strumentalizzata - con la consapevolezza o meno di chi vi ha preso parte - per legittimare il piano ReArm Europe e tutto ciò che ne consegue, tanto che il giorno successivo su Repubblica troneggiava impunemente un articolo dal titolo “ReArm Europe cambia verso al debito pubblico italiano: potrebbe salire nei prossimi sette anni” accompagnato da un’immagine della piazza del giorno precedente raffigurante un tappeto di bandiere della pace dispiegato in corteo. Peccato, tralaltro, che il corteo da cui Repubblica ha scippato l’immagine per accostarla alla sua becera propaganda non fosse quello vonderleyano di Piazza del Popolo ma la contro-piazza convocata a Barberini, a Roma, sulle chiare e nette parole d’ordine del no alla guerra, no al riarmo. Quella stessa contro-piazza volutamente e colpevolmente ignorata dai media per spingere le persone a partecipare solamente all’ossimorica “chiamata alle armi pacifista” di Serra che, però, ha radunato ugualmente tra le 5mila e le 10mila persone dichiaratamente e disambiguamente contro la guerra e l’Europa delle armi. Un’adunata assai rilevante se si considerano le consuete operazioni di ghosting operate dai media nei giorni precedenti nonostante alla chiamata di piazza Barberini inizialmente promossa da Poter al Popolo avessero poi aderito numerosissime realtà politiche e associazionistiche della capitale e non, sindacati di base e la minoranza interna della CGIL (nonostante la partecipazione di Landini a piazza del Popolo): tanto che si è reso necessario rompere gli argini della piazza e confluire in corteo fino a piazza dell’Esquilino. Ma di tutto ciò non c’è stata ombra sulla maggior parte dei giornali che si sono limitati a strumentalizzare qualche immagine del corteo, come nell’ignobile caso di Repubblica, oppure a riportare esclusivamente il momento in cui sono state simbolicamente bruciate delle bandiere UE in segno di contestazione alle politiche guerrafondaie di Von der Leyen e soci.

Ora però, a mio avviso, è tempo di procedere senza margini di ambiguità o di tentennamenti a promuovere o rafforzare qualsiasi operazione cerchi di coagulare attorno a sè l’opinione pubblica sulla parola d’ordine chiara del no alla guerra, no al riarmo. Ora non è il momento della guerretta becera tra gruppuscoli, divisi, tra l'altro, da nient’altro che incomprensioni protratte per anni e marginali differenze di analisi, perché al fondo ci troviamo dalla stessa parte della barricata e lo sappiamo bene. E sarebbe anche ora di darsi una svegliata collettiva su questo, almeno di fronte all'incedere dei nuovi venti di guerra imperialistica. 

21/03/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Angelo Caputo

Condividi

L'Autore

Leila Cienfuegos

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: