“La libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui. Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all'ordine pubblico [...] sappiate che coloro che hanno riscattato l'Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente”. Le parole sono di Sandro Pertini, pronunciate a Genova, il 28 giugno 1960, davanti a centomila antifascisti che percorsero le strade del capoluogo ligure contro la provocazione del Msi di svolgere il suo congresso in quella città, medaglia d’oro al valor militare per la guerra di Liberazione dal nazifascismo.
Queste parole ben rispondono al sindaco PD di Macerata ed al ministro dell’Interno, Minniti: il primo aveva invitato le forze antifasciste a non scendere in piazza dopo l’attentato del neofascista Luca Traini alla vita di alcuni immigrati nel centro della cittadina marchigiana; il secondo aveva minacciato duramente un suo diretto intervento per vietare manifestazioni nel caso l’appello del sindaco non fosse stato accolto.
Una posizione che “neanche a Tambroni sarebbe venuta in mente”, ha detto Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista e candidato nelle liste di Potere al Popolo, che subito era andato a Macerata a portare solidarietà ai sei immigrati scampati al tentativo di strage. “Lo schema è da manuale - scrivono i compagni dell’ex opg - è quasi un secolo che funziona così: i fascisti (e oggi i leghisti) provocano, spingono la guerra fra poveri, seminano odio e paura; quindi, di fronte alla reazione indignata, legittima, umana dei cittadini, interviene il Governo per ‘riportare l’ordine’, reprimere gli antifascisti, ed evitare che ci siano cambiamenti sociali, miglioramenti nelle nostre condizioni di vita. Peccato per loro che stavolta qualcosa sia andato storto”.
Già, una tentata strage di matrice fascista e razzista. Come ce ne sono già state centinaia in tutta Italia, che solo chi preferisce nascondere la testa sotto la sabbia può continuare a non vedere. E se si considera che alcune parole d'ordine reazionarie e xenofobe stanno diventando senso comune, favorito da una crisi economica e sociale che getta nell'emarginazione e nel disagio fasce crescenti di popolazione, dovrebbe essere chiaro che il neofascismo sta pericolosamente occupando spazi sempre più ampi di agibilità sociale, dopo una insidiosa agibilità politica data da improponibili equiparazioni tra fascismo e antifascismo (come è dato leggere anche nell’appello del sindaco di Macerata e nella dura posizione di Minniti), dalla possibilità di eleggere deputati appartenenti a liste neofasciste, dalla presenza nei dibattiti e nei racconti giornalistici che troppo spesso descrivono le attività di gruppi neofascisti in maniera quantomeno asettica e senza capacità critica e visione complessiva.
Poi c’è Salvini. Il leader della Lega evita di giustificare apertamente la sparatoria a Macerata, ma pure senza troppi giochi di parole arriva a dire che lo scontro sociale che si manifesta con la caccia all'immigrato è dovuto all'immigrazione. Una tautologia xenofoba utilizzata per nascondere le vere cause del disagio sociale.
Lo scontro sociale tra ultimi e penultimi è dovuto alle politiche antipopolari che gettano sempre più persone nei bassifondi sociali e nell'emarginazione; che creano monadi in una lotta in cui si è tutti contro tutti. L'estensione della precarietà che impoverisce la maggioranza delle persone, la scuola concepita come officina che deve sfornare braccia e menti per la produzione anziché per la crescita culturale e l'emancipazione sociale, l'assenza di uno stato sociale degno di questo nome, la ghettizzazione dei poveri, la disoccupazione vista come stigma, la condizione di deprivazione economica come colpa da espiare anche con l'umiliazione del lavoro gratuito (e si potrebbe continuare): ecco le cause dello scontro e del disagio sociale. Questa situazione, che coinvolge italiani e stranieri, è forse colpa degli immigrati? O non è forse determinata dalle leggi di funzionamento della nostra società? Domande retoriche, eppure la risposta appare sempre meno scontata se si scava nel senso comune reazionario che sta montando in Italia.
Per questo è stato importante venire a Macerata, in questo 10 Febbraio. Perché occorre ristabilire degli argini democratici alla deriva reazionaria che sta coinvolgendo questo Paese. Non stupisce certamente sentire Minniti di aver fermato gli sbarchi perché aveva previsto un caso Traini. D'altronde, Minniti è il ministro degli accordi con la Libia che ha gettato migliaia di disperati tra le grinfie dei trafficanti di essere umani, del Daspo urbano, del decreto anti-immigrati che porta il suo nome e quello di Orlando, ministro della Giustizia, dello sgombero dei senza casa. Non stupisce, quindi, ma rilancia con ancora più urgenza la necessità di una unione militante e non burocratica delle forze antirazziste e antifasciste di questo paese che sempre più pericolosamente scivola verso posizioni reazionarie. E richiamare al senso di responsabilità democratica quelle forze associative che alla richiesta del sindaco di Macerata hanno immediatamente risposto annullando la propria partecipazione alla manifestazione antirazzista e antifascista a Macerata.
Ritirare l'adesione dà il senso di un cedimento, da parte delle segreterie e delle presidenze nazionali di Anpi, Arci, Cgil e Libera ad un antifascismo di maniera, che non riesce ad andare troppo oltre le commemorazioni e che ai neofascisti lascia spazi politici e sociali. Ritirarsi dalla manifestazione con un comunicato e con lo stesso fare la voce grossa per pretendere che "Macerata non diventi un luogo di attiva presenza neofascista" dopo un attentato fascista, suona perlomeno ridicolo. E prima di Macerata i fascisti hanno compiuto in tutta Italia innumerevoli aggressioni, centinaia di veri e propri atti di squadrismo. Esibire l'antifascismo rinunciando a percorrere le strade dell'antifascismo militante, abbandonare l'unità di azione antifascista dimenticando così l'insegnamento che in tal senso ci ha dato la Resistenza, rischia di relegare l'antifascismo nell'ambito del “professionismo dell'antifascismo”, nel senso di ciò che Sciascia definiva “professionismo dell'antimafia”. E non ce lo possiamo permettere.
Valgono, allora, oggi come ieri, le parole di Sandro Pertini pronunciate quel 28 giugno già ricordato: “A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi. Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l'avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi”.