Un modo spregiudicato e ipocrita di servire i consueti interessi di classe. I timori dei sindaci italiani che la prossima manovra finanziaria potrà essere foriera di nuovi tagli alle casse dei comuni non sono infondati, le politiche di austerità servono proprio a questo: imporre tagli drastici ai servizi pubblici, privatizzazioni e ulteriore restringimento degli spazi democratici.
di Ascanio Bernardeschi
“Non ci sono tagli e non c'è un aumento di tasse, capisco che non ci siete abituati, ma è così”. “I sindaci dicono che ci sono tagli, ma non è vero”. “Ci sono stati 18 miliardi di tasse in meno nel 2015. Nel Def proseguiamo su questa linea”. “Chi non ha mai pagato è può, deve pagare un po' di più e chi ha sempre pagato deve riavere”. “Ci sarà una sorta di quattordicesima in busta paga”.
Queste sono le trascrizioni di alcuni videomessaggi del 7 e 8 aprile di Matteo Renzi disponibili nel web, il cui tenore farebbe supporre che il socialismo è alle porte. Memori però degli annunci sull'aumento a due cifre percentuali di nuovi contratti di lavoro, quale esito delle virtù taumaturgiche del jobs act, rivelatisi poi privi di fondamento, e di altri casi di annuncite del premier, preferiamo vedere le carte. Le carte “originali” che abbiamo potuto vedere finora sono solo quelle presenti nel sito del governo, alla pagina che riporta molto sinteticamente il resoconto della riunione del Consiglio dei Ministri del 7 aprile scorso, in cui è stato presentato il Def (Documento di Economia e Finanza) da approvare entro il 10 aprile http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=78249.
Mentre andiamo in stampa è stato pubblicato il vero e proprio Def scaricabile qui.
Ci riserviamo di tornare sull'argomento dopo una sua valutazione complessiva e intanto siamo dovuti ricorrere alle dichiarazioni in conferenza stampa, a una bozza di Def circolata nei giorni scorsi e a qualche congettura.
Il Def serve a delineare le strategie di politica economica, prefigurando a grandi linee e indirizzando i contenuti della legge di stabilità e del bilancio dello Stato per gli anni successivi, in sostanza è un'anticipazione della manovra finanziaria per il 2016.
Nello scarno documento, pur millantando un ruolo positivo del semestre renziano di presidenza dell'Unione Europea, si ammette che il governo si trova a operare in un “quadro macroeconomico favorevole” grazie a fattori indipendenti dalla sua politica: il “drastico calo” del prezzo dell'energia e un “rapporto euro/dollaro più coerente” dovuto “al quantitative easing”. È così possibile – si dichiara – “lavorare alla politica economica in una prospettiva non più emergenziale” e procedere alla “riduzione delle tasse compensata da risparmi sulla spesa, ripresa degli investimenti, gestione responsabile del bilancio statale, riforme strutturali”. Che poi sarebbero “piena realizzazione del jobs act, riforma della pubblica amministrazione, riforma della legge elettorale e dell’architettura istituzionale, riforma della scuola, adeguamento del settore del credito, revisione della spesa... Un programma che ha l’obiettivo di migliorare strutturalmente la capacità competitiva del Paese a partire dal capitale umano e dalle infrastrutture”. Insomma riforme, riforme, riforme che “dopo tre anni di recessione” renderanno possibile “un ritmo di crescita più elevato nel 2016 e 2017”, come se già fossimo in crescita sia pure a un ritmo meno elevato, e “il rafforzamento dell’occupazione e quindi della fiducia”.
Di “ciccia”, cioè di elementi tangibili, ce ne sono pochi: uno scarno prospetto delle stime della crescita (+ 0,7 quest'anno e +1,4 nel 2016) del deficit (quest'anno al 2,6% del Pil mentre il pareggio è rinviato a dopo il 2018) e del debito (“stabilizzato”, ma in realtà in crescita nel 2015 - oltre il 133% del PIL - e in diminuzione dal 2016), l'annuncio che, grazie ai risparmi di spesa non verranno attivate le “clausole di salvaguardia” che prevedevano l'aumento dell'Iva nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio, il “contenimento” dell'aggiustamento strutturale allo 0,1 per cento del PIL anziché allo 0,5 d'ordinanza grazie alla “clausola delle riforme”, una sorta di flessibilità che può essere ammessa dalle autorità europee in favore di chi è bravo a tagliare i diritti. Ma il Def deve essere ancora approvato dagli organismi europei e non è detto che si accontentino.
L'aumento dell'Iva che si vorrebbe evitare vale 16 miliardi. Il governo conta di recuperarne 4 con maggiori entrate e 2 con minori spese per interessi. Restano da tagliare 10 miliardi di spesa (ma non dovevano essere esclusi i tagli?). I sindaci italiani, allarmati ma per lo più filo governativi, sono stati tacitati in un apposito incontro. Il loro timore è(ra) che, come al solito, si trattasse in gran parte di tagli lineari alla finanza comunale, già in difficoltà per via delle precedenti sforbiciate. La quota di spesa pubblica dei comuni è solo il 7,5% del totale. Ancora minore, il 2,5%, è il loro indebitamento. Però finora il 35% dei tagli ha riguardato i comuni e si intende proseguire su questa strada, ai danni dei servizi pubblici primari. Renzi ha assicurato che le sue forbici non toseranno le prestazioni alle comunità locali ma gli sprechi. Però non è lui a gestire la spesa dei comuni – per fortuna! – e, al netto delle chiacchiere, si preventiva un taglio in un comparto assai vicino ai bisogni dei cittadini.
In ogni caso l'aumento dell'Iva non si evita con gli annunci, ma facendo tornare i conti. E i conti non tornerebbero se, come è avvenuto regolarmente finora, le stime sulla crescita del Pil e quindi sui rapporti deficit/Pil e debito/Pil risulteranno troppo ottimistiche. Per esempio nel Def del 2014 si prevedeva un Pil in crescita dell'1,3%, mentre in realtà quell'anno è stato di recessione, cioè meno Pil, meno entrate, più deficit e più debito. E anche per quanto riguarda il 2015 e il 2016 le stime proposte sono superiori a quelle dell'Istat e della Commissione europea, che peraltro hanno fin qui sbagliato per eccesso. Se i conti non torneranno l'aumento – o in alternativa tagli più feroci – scatterebbero pressoché in automatico e i cittadini più bisognosi resterebbero becchi e bastonati.
Tanto più che si ventilano tagli alla previdenza, ai trasporti pubblici e alle detrazioni fiscali.
Tagli alle detrazioni? Ma non dovevano diminuire le tasse? Vediamo. Dieci miliardi di “riduzione” sono i famosi 80 euro in busta paga, non una vera e propria riduzione di imposte e comunque una merce che il premier ci aveva già venduto prima delle elezioni europee e che ora ci vorrebbe vendere di nuovo come articolo fresco di giornata. Otto miliardi sono di vera e propria detassazione nell'ambito del jobs act, già andati a ridurre il costo del lavoro, a beneficio esclusivo degli imprenditori. E le nuove riduzioni? “Possiamo fare di più. Se saremo nelle condizioni le ridurremo nel 2016”. Ovvio che bisogna crederci. Peccato che, nonostante le stime al rialzo del Pil, la pressione fiscale salirà nel 2016 dal 43,5% al 44,1%.
Qualcuno però pagherà effettivamente meno tasse: gli evasori. Carlo do Foggia, sul Fatto Quotidiano del 9 aprile, riferisce che nel Programma nazionale di riforma allegato al Def, vi sono segnali di trattamento con mano leggera di questa benemerita categoria e che si intende recuperare “lo spirito originario che aveva ispirato” i famosi provvedimenti in suo favore messi di soppiatto nella famosa “salva Silvio” e ritirati con imbarazzo dopo un coro di proteste. L'altro provvedimento annunciato riguarda i tempi di accertamento delle evasioni, che in alcuni casi saranno ridotti (una vera e propria prescrizione). Secondo l'Agenzia delle entrate, la cosa si tradurrebbe in un regalo agli evasori di circa 15 miliardi. Negli annunci di Renzi si parla poi con grande enfasi di dimagrimento della macchina pubblica (province, senato, municipalizzate). I relativi risparmi saranno irrisori, non certo al livello di quello che potrebbe essere un'imposta patrimoniale. Però tali annunci rivelano una volontà di fondo e una filosofia liberista, volte non solo allo smantellamento degli strumenti pubblici di politica economica, ma anche a restringere gli spazi democratici.
Le autorità europee non concedono fiducia e respiro alla Grecia di Tsipras che intende reperire risorse combattendo l'evasione e istituendo una patrimoniale. Potrebbe però dare fiducia e “flessibilità” di bilancio al governo italiano che fa regali agli evasori e rastrella spiccioli tagliando la democrazia. Così vanno le cose in Eurolandia.
La coltre di fumo intorno a questo provvedimento è densa e bisognerà vedere nero su bianco cosa effettivamente ha approvato il Consiglio dei ministri. Ma il dato politico di fondo è già chiaro. La crisi in Europa – e particolarmente in Italia – si è avvitata oltre ogni previsione e una rigida politica di continuità con l'austerity non è più proponibile con un minimo di decoro. Allora, coltivando gli stessi interessi di classe di prima, si è allentato di qualche zerovirgola il freno alle politiche fiscali e di molto quello alla politica monetaria, sperando vanamente che tutto ciò, unito alle (contro)riforme che dovrebbero rilanciare i profitti, basti a far ripartire il motore in affanno. La scelte di questo governo, con una dose di spregiudicatezza e di faccia tosta in più, si inseriscono in questo alveo.