La legge di bilancio: “facite ammuina”

Fra bonus e tagli, tanto rumore per nulla. La manovra del governo non cambia niente e si conferma ossequiosa alle politiche liberiste. Serve un fronte di opposizione sociale.


La legge di bilancio: “facite ammuina” Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/b/b7/Il_Presidente_del_Consiglio_Giuseppe_Conte_e_la_Presidente_della_Commissione_Europea_eletta_Ursula_von_der_Leyen.jpg

All'ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann'a poppa e chilli che stann'a poppa vann'a prora: chilli che stann'a dritta vann'a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann'a dritta: tutti chilli che stanno abbascio vann'ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann'abbascio passann'tutti p'o stesso pertuso: chi nun tene nient'a ffà, s'aremeni a'cca e a'llà. [1]

È stato dimostrato che il testo in epigrafe è un falso storico, frutto di una goliardata, attribuito fantasiosamente a un regolamento da utilizzare nelle navi del Regno delle Due Sicilie, in occasione delle visite a bordo di autorità, per dimostrare attivismo.

Non è un falso storico invece il fatto che da decenni i governi italiani, tutti impegnati ad applicare più o meno rigorosamente i dettami delle politiche liberiste, e quindi ad attaccare i diritti sociali, cerchino di mostrare che stanno facendo qualcosa per attenuare i disastri provocati dai precedenti governi. Una mancia qua, un promessa là, una concessione seducente, naturalmente finanziata con tagli da un’altra parte, e così via. Lo spettacolo fu inaugurato da Berlusconi con il suo accattivante milione di posti di lavoro creati, mentre si faceva le leggi ad personam. Come su altri terreni, egli ha fatto scuola e più recentemente è stato imitato da Renzi con i bonus fiscali, elargiti mentre, col jobs act, tagliava i diritti dei lavoratori e mentre tentava di manipolare la Costituzione. Il governo gialloverde ci ha regalato un ridicolo reddito di cittadinanza e intanto, col decreto sicurezza, contrastava il diritto di manifestare, oltre a violare diritti umani. Questo solo per fare alcuni esempi.

Se si prescinde dalle clientele destinatarie dei regali o delle promesse e dagli aspetti estetici, il dato costante è che ogni manovra finanziaria dei governi, ogni legge di bilancio, si è tradotta in attacchi ai diritti sociali, qualunque sia stato il governo in carica. Quelli di centrosinistra lo hanno fatto in primis, sfruttando l’occhio di riguardo nei loro confronti da parte dei sindacati, preparando così il terreno ai successivi governi di centrodestra, secondo le regole della cosiddetta alternanza. Un’alternanza fra eguali nella sostanza, se si trascurano le sfumature.

Così è stato per la scala mobile, per i contratti di lavoro precari, per le pensioni, fino alla sostanziale cancellazione del diritto al reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa (art. 18 dello Statuto dei lavoratori). Per non parlare delle privatizzazioni (ma fa più fico chiamarle liberalizzazioni), di cui il centrosinistra è stato il più efficace attore.

Visto che le classi sociali svantaggiate non ne potevano più, gli ultimi governi hanno cominciato a proclamare un’inversione di rotta, che però è stata tale solo a parole, mentre nella sostanza ci si limitava a qualche concessione di facciata in favore di ristrette categorie, per poi continuare a tagliare la spesa sociale. Oltre al bonus fiscale di 80 euro di Renzi e al reddito di cittadinanza, già citati, dobbiamo ricordare i vari bonus per la spesa in servizi culturali e la rottamazione delle cartelle delle tasse.

Nella manovra di quest’anno lo specchietto per le allodole più appariscente è la sanità, di cui ha trattato nel numero scorso Federico Giusti.

Un sigaro e un bonus, però, non si negano mai e questo governo ha voluto strafare, regalandocene diversi: ampliamento del bonus fiscale di Renzi, bonus facciate, bonus giardini, bonus bebè, bonus asilo nido, bonus Befana (nel 20121 per chi pagherà con i bancomat), bonus 18 app per i 18enni, bonus edilizia, energia e acquisto elettrodomestici, eliminazione del canone Rai per gli ultra 75enni a basso reddito, il bonus sport per chi si prende la briga di investire negli impianti sportivi. La maggior parte di queste regalie sono semplici proroghe o potenziamento di misure prese da precedenti governi; ma dietro questo concedere, a parte la costruzione dell’immagine di un governo che s' aremeni a 'cca e a 'llà (si da dia fare qua e là), c’è una precisa filosofia individualista: lo stato ti da briciole di risorse e poi arrangiati individualmente e scordati che possa intervenire più di tanto per garantire diritti sociali e i servizi, come gli asili nido, i servizi scolastici e l’assistenza sanitaria, per fare solo alcuni esempi.

Se invece si volesse passare alle cose serie, un vero governo riformista – non oso parlare di uno rivoluzionario – bisognerebbe proporsi di ripristinare il sistema pensionistico solidale, frutto delle lotte degli anni 60, abrogando le successive “riforme”, ultima quella Fornero, incrementare salari e pensioni ferme o in retromarcia da anni, abolire il jobs act, ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, ripubblicizzare le industrie strategiche e i servizi pubblici svenduti ai privati negli ultimi 30 anni, attuare i contenuti della riforma sanitaria, rilanciare l’agonizzante istruzione pubblica, rendere effettivamente progressivo il prelievo fiscale e istituire una imposta patrimoniale, abrogare il decreto sicurezza, evitare di attivare la cosiddetta autonomia differenziata, una sorta di secessione dei ricchi. Tutti o quasi oggi si dichiarano riformisti, ma, vista l’esperienza, la gente comune, quando sente parlare di riforme, dovrebbe fare i debiti scongiuri. E magari i più avvertiti li fanno realmente.

Il pezzo forte della manovra è la sterilizzazione della clausola di salvaguardia sull’Iva, che costa 23 miliardi. Però nel 2021 l’IVA agevolata passerà dal 10 al 12% e quella ordinaria arriverà gradualmente al 26,5%. Il maggiore aumento di imposte è quindi questo; e si tratta di un’imposta non progressiva, in un sistema fiscale già quasi per niente progressivo nel suo insieme. Ci sono poi molti crediti di imposta e sgravi fiscali a favore delle imprese e sui salari, riduzione di alcune imposte con istituzione di altre, molto contenute dopo una mezza retromarcia (paura delle elezioni in Emilia Romagna?), sulla plastica, sulle auto aziendali e sulle bevande ad alto contenuto di zucchero. Viene abolita la Tasi ma il minor gettito sarà coperto con l’aumento delle aliquote di base dell'Imu. Così, con una sorta di gioco delle tre carte, il Presidente del Consiglio Conte ha potuto annunciare che l’approvazione della legge di bilancio comporterà, oltre alla sterilizzazione dell’Iva, la riduzione della pressione fiscale e il taglio delle tasse sul lavoro. Ma, posto che davvero sia così, e ne dubitiamo fortemente, la riduzione dell’imposizione fiscale non è una misura di sinistra, come avevamo già sostenuto a suo tempo. Poco importa, per esempio, se in busta paga ci sarà qualche briciola in più grazie al taglio del cuneo fiscale, se poi dovrò sempre più rivolgermi a pagamento ai privati per curarmi.

Per quanto riguarda i parametri macroeconomici, il rapporto deficit/Pil è stato fissato al 2,2%, accettato con riserva dall’Ue. Tale rapporto scenderà all’1,8% nel 2021 e all’1,4% nel 2022. La crescita del 2020 è prevista (ottimisticamente) nella misura dello 0,6% e il rapporto debito/Pil che è al 135,7 nel 2018 e presumibilmente al 135,2% nel 2019, nel 2020 scenderebbe al 133,4% e nel 2021 al 131,4%.

Visto però che i conti devono essere non solo in ordine, ma coerenti con i trattati e le leggi europee, bisogna vedere dove sono state reperite le risorse. Certo qualcosa è stato raggranellato programmando un aumento del rapporto debito/Pil, rispetto alle previsioni della precedente legge di bilancio, qualcos’altro da presunti gettiti derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.

Ma non è tutto. Le dimissioni del Ministro all’Istruzione Lorenzo Fioramonti a causa degli scarsi fondi stanziati su questo settore (manca un miliardo, ha detto) sono già di per sé eloquenti, ma è utile anche esaminare qualche cifra. Per rinnovare il contratto di 800 mila professori italiani sono stati stanziati 812,63 milioni di euro per il 2020 e 1.670,12 milioni dal 2021. Diviso per 800 mila si arriva, al netto degli oneri riflessi, a 80 euro al mese a partire dal 2021. Se si tiene conto del potere d’acquisto perduto, anche a causa dell’aumento di tariffe e balzelli e della necessità di “comprare” nel mercato i servizi sociali che sono stati tagliati, non c’è nessun significativo miglioramento per una categoria che è sottopagata rispetto agli standard europei, e comunque siamo al di sotto di quanto gli ultimi ministri all’Istruzione avevano promesso. Altrettanto magre sono le cifre stanziate per gli altri dipendenti della pubblica amministrazione. Per il “rilancio” del settore educativo sono stanziati meno di 2,5 miliardi nel 2021 e 2,6 miliardi nel 2022, mentre ne servirebbero 3.

C’è poi la questione dell’edilizia scolastica, che è in condizioni precarie, con moltissimi edifici non a norma di sicurezza e poco funzionali, per non parlare degli investimenti per le attrezzature didattiche: mentre ci si sciacqua la bocca con le nuove tecnologie alle scuole manca anche la carta igienica. Altrettanto si può dire per le università, che hanno visto stanziamenti molto al di sotto delle richieste dei rettori.

Mentre ancora si muore sul lavoro, e soprattutto in età avanzata (si veda l’articolo di Federico Giusti in questo numero), per le pensioni ci si limita a mantenere l’opzione donna e quota 100 in via sperimentale fino al 2021. Nessuna decisione, invece, per il rinnovo di queste vie di uscita dopo la loro scadenza, figuriamoci per abrogare la riforma Fornero.

Se non si è posta attenzione a due settori, come la sanità e la scuola, così vitali; se, in relazione al Pil, si spende circa il 25% in meno degli altri paesi europei, cosa sono tutte le altre misure per spostare tre soldi da un gruppo a un altro se non fare ammuina?

D’altronde non c’era da aspettarsi di meglio da una compagine di cui una componente, la pentastellata, non ha nessun credibile progetto di società e l’altra, il Pd, ormai chiaramente si propone di rappresentare gli interessi della grande borghesia transnazionale. Proprio per questo, mentre i comunisti debbono elaborare e proporre un progetto alternativo a quello della borghesia, è urgente costruire un ampio fronte sociale di opposizione a questo governo.


Note:
[1] Traduzione: All'ordine Fate confusione, tutti coloro che stanno a prua vadano a poppa e quelli a poppa vadano a prua; quelli a destra vadano a sinistra e quelli a sinistra vadano a destra; tutti quelli che stanno sotto [nelle stive] salgano sopra [sul ponte], e quelli sopra scendano sotto, passando tutti per la stessa bbotola; quelli che non hanno niente da fare, s’arrabattino qua e là.

04/01/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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