Negli ultimi giorni sempre maggiori informazioni sono state rilasciate dal ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti sulla manovra finanziaria prevista per l’anno 2025. Si conferma pienamente quanto già scritto a gennaio sulla restaurazione del patto di stabilità in sede europea e del conseguente ritorno dell’austerità in Italia, in un quadro di recessione economica. Le sanzioni alla Russia hanno avuto pesanti ricadute sull’apparato produttivo della Germania e dell’Italia con un calo della produzione industriale a causa dei maggiori costi energetici, che rendono meno competitive le imprese di questi Paesi in ambito internazionale. L’intero settore automobilistico italiano è in profonda crisi, da una parte per la riduzione delle commesse da parte dei colossi tedeschi, dall’altra per il sempre più evidente disimpegno di Stellantis dal nostro Paese, con un calo della produzione della multinazionale automobilistica del 25% nel 2023 e del 35% nei primi mesi del 2024. Si consideri che da solo il settore automobilistico genera più del 5% del PIL italiano. E’ bene far presente che il debito, e i conseguenti piani di rientro stabiliti in sede europea, è usualmente rapportato al PIL. Una riduzione di quest’ultimo comporta, quindi, un aggravio della situazione debitoria. La situazione dell’industria automobilistica nel nostro Paese è così critica che Fiom, Fim e Uilm hanno indetto uno sciopero generale di otto ore del settore per il 18 ottobre con manifestazione a Roma.
Le prospettive di crescita sono state riviste dall’Istat al ribasso, registrando per i primi sei mesi del 2024 solo un +0,4% contro l’1% previsto dal governo Meloni. Inoltre nubi scure si dirigono verso l’Unione Europea che sta andando alla guerra commerciale con la Cina, imponendo pesanti dazi, fino al 45%, sulle auto elettriche cinesi. Queste misure non sono condivise dai grandi gruppi industriali tedeschi dell’automobile che temono, a ragione, la risposta di Pechino. Risposta sulla quale stanno trapelando già le prime notizie: dazi di oltre il 30% sui liquori europei e in studio tariffe per le auto di grossa cilindrata, che si aggiungeranno a quelle in studio per colpire anche l’esportazione europea di carne suina, latticini e formaggi. La risposta cinese potrebbe contribuire ad affondare la traballante economia europea, essendo la Cina il terzo paese di destinazione delle esportazioni europee, ovvero pari all’8,8% delle esportazioni nel 2023. Inoltre si teme che, con l’eventuale vittoria elettorale di Trump, anche gli Stati Uniti potrebbero varare misure protezionistiche nei confronti dell’Unione Europea.
Passate le elezioni europee, il governo Meloni può presentare il conto agli italiani. Si prevedono nella manovra di bilancio 13 miliardi di tagli per far recuperare all’Italia parte del deficit, con l’obiettivo di portarlo sotto al 3% nel 2026. Date le scelte di campo fatte, ovvero agevolazioni per i ceti più abbienti, a pagare il conto salato saranno le classi sociali subalterne. Il grosso degli incassi previsti sarà ottenuto mediante i tagli alla spesa pubblica e le privatizzazioni, nonostante il Ministro dell’Economia sventola i successi della caccia agli evasori fiscali del web, gli influencer, quando fino ad oggi si è favorita in ogni modo l’evasione. È lo stesso Giorgietti a chiarire il punto, per quanto riguarda la spesa pubblica. “La manovra di bilancio che presenteremo nelle prossime settimane fornirà le risorse per confermare gli interventi ritenuti necessari: tra questi rientrano le misure per rendere strutturali gli effetti del taglio del cuneo e l'accorpamento delle aliquote Irpef su tre scaglioni. Nonché interventi per favorire la natalità e un sostegno alle famiglie numerose. Più che aumentare le tasse, taglieremo le spese, tranne la spesa sanitaria su cui ci impegniamo a mantenere l'incidenza sul Pil. Tutte le altre avranno dei tagli significativi e costringeremo le amministrazioni a fare risparmi”, queste le parole del Ministro dell’Economia per presentare la manovra di bilancio. Il Ministro ha chiarito che non saranno previste nuove tasse, tanto più a carico delle aziende.
Il proclamato aumento dell’accise sul gasolio è stato modificato in un “allineamento”, ovvero un aumento dell’accise sul gasolio e una diminuzione di quella sulla benzina, in modo da equipararle. È bene, tuttavia, segnalare che la minore tassazione del gasolio è storicamente legata al fatto che è il carburante usato per il trasporto delle merci e diversi settori economici, come ad esempio l’agricoltura. E’ chiaro che, in un Paese dove l’84% del trasporto merci avviene su gomma, l’aumento dell’accise sul diesel si ripercuoterà con un aumento dei prezzi delle merci, e quindi della spesa dei cittadini. Federconsumatori stima con l’aumento previsto dell’accise un incremento della spesa annua per l’acquisto dei beni di largo consumo di 112 euro per ogni famiglia. Eppure, quando era all’opposizione nel 2019, la Meloni aveva fatto della progressiva eliminazione delle accise e dell’IVA dal costo dei carburanti un punto importante della propria campagna elettorale, tanto da girare anche questa pagliacciata. Il succo amaro è che per chi guadagna tanto le tasse si sono ridotte mentre poi le risorse necessarie si vanno a prelevare come sempre dai soliti noti, ovvero da coloro che vivono del proprio lavoro.
Se è assai probabile che le tasse sui carburanti, volute dal governo, determinino un aumento dell’inflazione, quello che è certo è che le risorse stanziate per il pubblico impiego non sono in grado di recuperare la perdita del potere d’acquisto dei salari. Il salario reale è stato infatti eroso per il biennio 2022-2024 da un’inflazione del 16,5%, mentre per i contratti collettivi del pubblico impiego per lo stesso biennio si prevedono aumenti medi del 5,78%, come riportato dal segretario confederale CGIL Christian Ferrari. Ancora non è per nulla chiaro dove il governo pensa di reperire le risorse, sostenendo che arriveranno dalle maggiori entrate fiscali e dai tagli alla spesa pubblica, non a caso ancora per nulla chiari. Per quanto riguarda la tassazione diretta il governo si è distinto per la riduzione delle aliquote IRPEF, cercando progressivamente di arrivare a una “flat tax”; pertanto rimane solo la strada della tassazione indiretta, che colpisce indiscriminatamente tutti, e dell’eliminazione delle agevolazioni fiscali. Eppure si continua a bofonchiare di misure per favorire la natalità, mentre il Paese è afflitto dalla crisi demografica in quanto non si interviene sugli elementi strutturali responsabili della diminuzione delle nascite: emigrazione delle giovani generazioni, assenza di politiche pubbliche a sostegno delle famiglie e precarietà lavorativa.
Nella manovra si prevede un’aumento insufficiente di spesa pubblica per la sanità, ormai al collasso, e un aumento per le spese militari, sebbene non tale da portarle al richiesto, in ambito Nato, 2% del PIL. Si segnala che sulle spese militari la Commisione Europea sta chiudendo tutti e due gli occhi nell’aprire procedure di infrazione per deficit eccessivo, tanto che nel 2023 sia la Finlandia che l’Estonia sono state salvate, nonostante avessero deficit superiori al 3%, proprio per le loro spese militari. Lo stato comatoso della sanità pubblica è stato denunciato anche dal Gimbe, il quale sentenzia che “senza una rapida inversione di rotta,…, siamo destinati a rinunciare silenziosamente al diritto alla tutela della salute...E scivoleremo da un Servizio Sanitario Nazionale fondato per garantire un diritto costituzionale a tutte le persone, a 21 Sistema Sanitari Regionali regolati dalle leggi del libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a che potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative”.
Dulcis in fundo, il governo, “sovranista a parole”, si distingue per aver preso accordi con il fondo di speculazione statunitense BlackRock sulla vendita di parte degli asset strategici del Paese ancora in mano allo Stato, in cambio probabilmente di maggiori investimenti nel debito pubblico italiano, mediante l’acquisto di Titoli di Stato. In questo quadro si inserisce il ricevimento a Palazzo Chigi nell’ambito del G7 in Italia da parte di Meloni dell’amministratore delegato del fondo di investimento americano, Larry Fint. BlackRock farà quindi la parte del leone nell’acquisto delle quote di Poste Italiane e Ferrovie dello Stato che saranno privatizzate (si parla di almeno 6 miliardi di euro), dopo aver acquistato parte di Leonardo, Eni e Mps. Inoltre nell’incontro il governo Meloni si è impegnato con BlackRock per garantire politicamente i prestiti obbligazionari rilasciati dal fondo per la ricostruzione dell’Ucraina e a far diventare il fondo statunitense il player principale nell’archiviazioni dati e nel trasporto energetico in Italia. Tutto questo dopo aver svenduto la rete fissa di TIM al fondo statunitense KKR. Queste privatizzazioni permetteranno nel breve periodo di far cassa, ma comporteranno meno entrate per lo Stato, aggravando i bilanci futuri.