“Lavorare meno, lavorare tutti”, slogan arrugginito o possibile via di uscita dalla crisi? La risposta “ortodossa” alle crisi economiche è da decenni sempre la stessa: più lavoro e meno salario. E se la nostra risposta fosse opposta: meno orario a parità di salario?
di Nadia Rosa
“Esiste un paese dove si vive bene, dove la qualità della vita è migliore perchè si lavora meno e si guadagna di più, dove c’è più tempo libero da poter spendere per sé stessi, per la famiglia e per gli altri, senza dover affrontare grosse rinunce da scontare poi in busta paga. E questo paese non è molto lontano da noi. Stiamo parlando dell’Olanda, dove la settimana lavorativa è cortissima, appena 29 ore (grosso modo 4 giorni, poco più di un part-time italiano), e la paga ottima: 35mila euro di reddito medio all’anno”. (Dall’introduzione al dossier “lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti” del Comitato di Lotta per il Lavoro Metropolitano).
La risposta “ortodossa” alle crisi economiche ricorrenti è da decenni sempre la stessa: più lavoro (e meno salario). Sta di fatto che, tuttavia, il lavoro è ogni giorno di meno: la riduzione dell’orario “medio” è già in atto da decenni in tutti i paesi avanzati, ma si traduce in una crescente polarizzazione tra sottoccupati e sovraoccupati con effetti drammatici per entrambi.
E se l’uovo di Colombo sotto gli occhi di tutti consistesse nella risposta opposta: meno lavoro? Meglio: nella distribuzione più equa di un lavoro in diminuzione, ma più efficiente e dignitoso? Prima di tutto si dovrebbe contrastare la tendenza a far lavorare sempre di più gli occupati. Come ad esempio, il taglio dei riposi e l’aumento degli straordinari obbligatori chiesto da Marchionne ai dipendenti della Fiat. In Italia gli straordinari sono ancora fiscalmente incentivati mentre in altri paesi d’Europa la tendenza è opposta. Dal 1969, quando si è passati dalle 48 alle 40 ore settimanali, non si sono più registrate diminuzioni dell’orario standard di lavoro. Eppure da allora la produttività del lavoro è aumentata vertiginosamente. Nello stesso periodo i salari non sono aumentati in modo significativo: ciò vuol dire che i benefici dell’aumento di produttività sono andati quasi esclusivamente a vantaggio dei profitti.
Attualmente l’orario medio di lavoro è in costante diminuzione. Le ore complessive lavorate dalla totalità della popolazione attiva sono sempre meno, perchè complessivamente si lavora sempre di meno. Ma la diminuzione dell’orario medio, anziché essere ripartita equamente fra la totalità della popolazione attiva, è il risultato di una netta scissione fra una fascia di lavoratori che lavorano troppo e una fascia di lavoratori che lavorano troppo poco o che non lavorano affatto. Questa situazione non si traduce però in un aumento del tempo libero e del benessere. Una politica progressiva di redistribuzione e riduzione dei tempi di lavoro potrebbe rispondere in modo concreto alle contraddizioni e ai problemi attuali dei nostri sistemi economici. E contribuirebbe ad un significativo aumento della qualità della vita individuale e sociale. Ma pare che in Italia questo discorso non riesca a penetrare l’agenda sindacale, per non parlare di quella politica.
I provvedimenti messi in campo con il cosiddetto Jobs Act infatti, oltre non tenere conto di una realtà ormai palese – un lavoro per tutti a 40 ore alla settimana non solo non è ipotizzabile oggi, ma diventa addirittura ridicolo se pensiamo al domani – sembrano andare proprio nella direzione opposta: lavorare molto, lavorare in pochi (e possibilmente precari a vita ), senza diritti e possibilità di organizzarsi, con un salario da contrattare direttamente con il padrone che, avendo a disposizione una massa di uomini e donne disperati pronti a sostituirti, non farà fatica ad abbassare il costo del lavoro prendendo le risorse direttamente dalle tasche dei lavoratori. La pressione dell’ideologia neoliberista per ulteriori deregolamentazioni del rapporto di lavoro, che accentuano la subordinazione dei lavoratori all’impresa, è evidentemente la spina dorsale del Jobs Act.
Credo che, se vogliamo invertire questo processo, non si possa più rimandare, anche nel nostro Paese, una seria discussione su una radicale redistribuzione del lavoro, che passi attraverso la riduzione dell’orario a parità di salario, un intervento sulla previdenza a partire dalla cancellazione della contro-riforma Fornero ed un salario minimo che garantisca una vita dignitosa.
Tre punti necessari a sfatare la radicata convinzione che nulla si può fare e che nulla va fatto, pena un peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Tre punti che appaiono quasi banali. Ma che oggi rappresenterebbero una vera rivoluzione nelle condizioni di vita e di lavoro. Tre punti che potrebbero essere la base di partenza per la costruzione di un Fronte unico della Sinistra antiliberista.
Dopo le grandi mobilitazioni che hanno animato la fine dello scorso anno infatti, e nonostante le rassicurazioni dei sindacati sulla continuazione del percorso di lotta, oggi ci troviamo di fronte ad una fase di stallo. Ma disoccupazione e precarietà di reddito e di vita sono ancora la realtà immanente per gran parte dei lavoratori. E quelle piazze sono ancora in attesa di una rappresentanza politica credibile, forte e non minoritaria.
In queste dispense alcuni articoli propedeutici all’apertura di una discussione vera su salario e orario di lavoro prendendo in considerazione anche quanto accade negli altri Paesi dell’Unione Europea
Scarica la dispensa: “Stipendi e retribuzioni: Italia, un paese estremamente iniquo!”
Scarica la dispensa: “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”