Otto sono stati i ministri [1] del governo dell’URSS che nell’agosto del 1991 hanno organizzato quello che è passato alla storia come un golpe contro il Presidente dell’URSS di allora Michail Gorbaciov [2]. Gorbaciov venne trattenuto contro la sua volontà, almeno come è stato raccontato dai media, nella sua residenza presidenziale in Crimea dove si trovava in vacanza presso la sua dacia a Foros e gli fu impedito di recarsi a ratificare il nuovo trattato dell’Unione tra la Federazione russa, il Kazakhstan e l’Uzbekistan, che era in programma per il 20 agosto e che avrebbe rinnovato le basi federative dell’URSS. Ad assumere i poteri presidenziali fu il vicepresidente Gennadij Janaev che fu nominato capo del costituito, Comitato per lo stato di emergenza.
Tutto iniziò nella notte del 19 agosto quando la radio pansovietica, in tutte le lingue dell’Unione, e la Televisione Centrale Sovietica, in tutto il territorio nazionale, presentarono un comunicato della TASS con il quale veniva dichiarata l’incapacità di Gorbaciov di assolvere alle sue funzioni di Presidente dell'URSS per motivi di salute e la sostituzione con il vicepresidente Gennadij Janaev. L’effetto immediato, ben gestito, fu che entrò immediatamente in vigore lo Stato di Emergenza [3], che servì a controllare i media su tutto il territorio dell'Unione Sovietica. L'obiettivo dichiarato era quello di superare la crisi economica e di ripristinare l'ordine e la stabilità. Furono sospese le attività dei Partiti e furono proibiti gli scioperi. Si tenga conto che il 28 giugno del 1991 era stato annunciato lo scioglimento del Consiglio di mutua assistenza economica e il 1 luglio dello stesso anno era stato sciolto il Patto di Varsavia. Questi due eventi determinarono la fine dell'influenza dell’URSS nell'Europa orientale e prepararono gli eventi di agosto. La fase si concluse il 26 dicembre del 1991 quando fu dichiarata la fine dell’URSS.
L’obiettivo dichiarato di questo golpe, che non è stato un golpe, non è stato mai chiarito né allora e né successivamente. Di certo, è fino ad un certo punto vero che con queste azioni si volessero contrastare i processi di quella che era stata la democratizzazione capitalistica di Gorbaciov. Contrasto mai attuato pienamente, in quanto la democratizzazione era stata agevolata, sebbene in un comunicato [4] si dichiarasse che fosse in pericolo l’integrità statuale dell’URSS, insidiata dalle tendenze separatiste di varie repubbliche.
Come sappiamo questo pseudo golpe fu soffocato sul nascere e in pratica fu rilanciato il processo di dissoluzione dell'Unione Sovietica. Il protagonista indiscusso che gestì le azioni contro questo non golpe fu Boris Eltsin, allora presidente della Federazione russa, la più grande e la più importante delle repubbliche federative dell'URSS. Eltsin denunciò con forza quello che definì “un colpo di stato di destra” e invitò la popolazione allo sciopero generale. Insieme a lui parteciparono anche Eduard Shevardnadze, ex ministro degli Esteri di Gorbaciov, e Aleksandr Iakovliev, stretto collaboratore di Gorbaciov. Le azioni furono una sequela di farse sotto una regia esterna all’URSS, gestita dagli USA, mediante la CIA, e dalla UE di allora, con il supporto di tutti i media internazionali.
Col passare delle ore, la popolazione si mobilitò anche perché i militari, con i carri armati, erano in strada in varie città contro i golpisti, falsi o veri. Il golpisti ci sono stati veramente, e ci credevano. Per questo si doveva manifestare e contrastare il percorso dei carri armati che, come si è visto in alcuni video, erano in realtà più o meno fermi. Migliaia di persone scesero in strada a Mosca, anche a presidio dei principali edifici istituzionali, mentre le forze militari fedeli a Eltsin presero posizione a difesa dei punti nevralgici della città. La comunità internazionale al completo si schierò a difesa di Gorbaciov. Il Comitato degli Otto, che così era stato chiamato, cominciò ad avere dubbi, secondo quanto riportarono alcuni articoli, sulla riuscita del golpe che non doveva esserci; tanto che alcuni suoi componenti si dimisero quasi in tempo reale. Eltsin, del quale è rimasta famosa la foto che lo ritraeva su un carro armato mentre arringava la folla dei suoi sostenitori, il 21 agosto annunciò il fallimento del tentato golpe e annunciò il ritorno a Mosca di Gorbaciov insieme alla moglie Raissa.
Il bilancio di quei tre giorni drammatici fu di tre vittime, tre giovani moscoviti travolti dai carri armati nel centro di Mosca nel corso delle proteste, e il suicidio, per non comparire in giudizio, di Boris Karlovi Pugo, ministro degli affari interni dell'URSS, che uccise anche la moglie prima di spararsi in bocca. Tutti questi fatti dovrebbero essere analizzati dagli storici, ma è chiaro che Pugo non ha colto il contesto politico complessivo di quella fase anche se in quella operazione, chiamata golpe, ci aveva creduto.
Il tentato golpe aveva messo in moto un processo non solo politico, ma di fatto anche economico-istituzionale. Questo processo era diventato ormai irreversibile. Avrebbe portato alla dissoluzione dell'Unione Sovietica e di conseguenza alla fine del comunismo nell’URSS. Gorbaciov, il 24 agosto, si dimise da segretario generale del Pcus e, successivamente, anche dalla presidenza dell'URSS, carica che fu abolita il 25 dicembre 1991. Quella stessa sera, 74 anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre, la bandiera rossa venne ammainata dalla torre del Cremlino.
Personalmente non ho mai creduto che sia stato un colpo di stato, perché troppi elementi, a parte s’intende quelli del drammatico suicidio di Pugo e della morte dei tre giovani, che si pongono ai margini delle interpretazioni che si presentano in questo articolo e andrebbero approfonditi, indicano che non si è trattato di un tentato golpe, ma di un’operazione con atti programmati in precedenza che avevano l’obiettivo di non ratificare il nuovo trattato tra l’Unione della Federazione russa, il Kazakhstan e l’Uzbekistan, programmato per il 20 agosto.
Il fatto che gli otto ministri dell’URSS, autori del presunto golpe, siano stati considerati ultraconservatori e nazionalcomunisti da parte dei media e indicati come contrari a Gorbaciov e alla sua politica liberista, nota come perestrojka (ricostruzione) e glasnost (trasparenza), non è accettabile in quanto erano stati nominati dallo stesso Gorbaciov per favorire la stabilità del suo governo. Inoltre nei giorni precedenti lo pseudo golpe non erano apparse forti dichiarazioni di contrasto tra Gorbaciov e i suoi ministri, anche se forse su qualche questione ci fosse qualche dissenso. Quindi possiamo dire che il governo di Gorbaciov non aveva in quella fase al suo interno contrasti tale da giustificare la decisione di un golpe poiché fino ad allora tutti gli atti di governo erano stati approvati a maggioranza. Bisogna quindi guardare oltre il governo di Gorbaciov e l’URSS, verso gli Stati Uniti e l’Unione europea, per comprendere il golpe.
Decisivo è stato il ruolo di Eltsin, che non fu mai solo ed ebbe contatti ordinari con l’Occidente e gli USA. Il perno principale di tutto è però rappresentato dalla ratifica del nuovo trattato dell’Unione tra la Federazione russa, il Kazakhstan e l’Uzbekistan. Questa non avvenne, poiché non si era voluto farla, essendo stati contrari i vari attori internazionali, tra cui USA e UE di allora. La ratifica non era gradita all’Occidente, primariamente ai paesi oggi dell’UE, la CEE di allora, che avevano nei loro obiettivi l’unione economica tra gli Stati membri, quali Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania (appena riunita nel 1989). L’area URSS era, invece, rimasta esclusa da questa unione economica. Gli obiettivi della CEE erano soltanto quelli di una maggiore circolazione delle merci e dei servizi, dei lavoratori e dei capitali con l'abolizione dei cartelli e lo sviluppo delle politiche congiunte e reciproche nel campo del lavoro, nonché delle innovazioni tecnologiche, dell'agricoltura, dei trasporti e del commercio estero. Questi obiettivi si erano formati durante le fasi della “Guerra Fredda” e, a poco a poco, si stavano realizzando. Infatti non erano più soltanto visibili all’orizzonte, ma erano diventati evidenti, compresa la teorizzata “Casa Comune Europea”, obiettivo presentato da Gorbaciov, il 6 luglio del 1989, mentre era in visita a Strasburgo come Capo di Stato dell’URSS al Consiglio d’Europa. Com’è noto, in quel famoso emiciclo, le cui immagini sono state pubblicate da tutti i giornali e da tutte le televisioni con roboanti servizi giornalistici che mostravano la notizia in prima pagina, Gorbaciov inaugurò una svolta. In quell’occasione, il Presidente dell’URSS tenne un discorso in cui presentò la Casa Comune Europea, comprendente anche l’URSS. Un’ottima sintesi in italiano di quel discorso fu pubblicata in un articolo di Giulietto Chiesa sul giornale Unità [5].
Poco tempo dopo una serie di eventi mutarono radicalmente lo scenario europeo: l’Europa, che era stata divisa per mezzo secolo, ritrovava la sua unità e i paesi dell’Europa centrale e orientale si avviavano ad approvare riforme per instaurare i valori della democrazia e dei diritti umani. L’economia in Europa era sempre più capitalistica e continuava a seguire obiettivi in contrasto con il nuovo quadro politico delineato da Gorbaciov, come l’accumulare profitti. Mentre la CEE offriva una serie di garanzie, questa Casa Comune Europea, disegnata da Gorbaciov, non le offriva ed era, quindi, vista come un ostacolo da eliminare.
Gorbaciov aveva messo l’accento sopratutto sugli aspetti di sicurezza condivisa: la riduzione delle spese militari, delle armi nucleari e di quelle convenzionali, lo smantellamento dei blocchi contrapposti, la rinuncia alla gara nelle tecnologie militari. C’era stato un graduale avvicinamento all’obiettivo della piena denuclearizzazione. Queste tematiche della sicurezza reciproca e della denuclearizzazione erano sensibili e centrali nei programmi delle multinazionali che avevano le loro sedi a Bruxelles e seguivano da vicino gli eventi. La Casa Comune Europea, delineata da Gorbaciov, contemplava anche l’abbattimento delle barriere commerciali e la cooperazione economica, scientifica, tecnologica e culturale. Più significativa era stata l’affermazione che il nuovo ordine dovesse porre in primo piano i valori comuni europei. Questi valori, che erano ancora in formazione nella CEE, erano inconciliabili. Il liberismo conclamato dell’Occidente era lontano dalle dichiarazioni di Gorbaciov. Nella sua politica economica erano state delineate componenti di liberismo, ma non chiaramente esplicitate, sebbene fossero comunque racchiuse nella sfera del libero mercato europeo.
La ratifica del nuovo trattato dell’URSS, che era in programma per il 20 agosto, avrebbe rinnovato le basi federative dell’Unione Sovietica ed era stata considerata come l’inizio della costruzione della Casa Comune Europea di Gorbaciov. Quindi il golpe che era iniziato come un fatto interno all’URSS, era stato immediatamente seguito e, in tempo reale, manovrato fino alla dissoluzione della stessa URSS.
Note:
[1] Baklanov, primo vicepresidente del Consiglio della difesa dell'URSS; Krjučkov, presidente del KGB dell'URSS; Pavlov, primo ministro dell'URSS; Pugo, ministro degli affari interni dell'URSS; Starodubcev, presidente dell'Unione dei contadini dell'URSS; Tizjakov, presidente dell'Associazione delle imprese statali e degli impianti industriali, delle costruzioni, dei trasporti e delle comunicazioni dell'URSS; Jazov, Ministro della difesa dell'URSS; Janaev, presidente ad interim dell'URSS.
[2] A. Graziosi, Uno stato che non riesce a disfarsi del sistema con cui è nato: il golpe di agosto, in: L'Urss dal trionfo al degrado. Storia dell'Unione Sovietica, 1945-1991, Parte Quinta XV n. 4 pp. 641-650, 2011.
[3] Comitato statale per lo stato di emergenza nell'URSS: acronimo GKCP.
[4] Alberto Stabile, Gli otto padroni del Cremlino, La Repubblica 20 agosto 1991.
[5] Giulietto Chiesa, La «casa europea» di Gorbaciov «Giù tutte le barriere della guerra fredda», l’Unità 7 luglio 1989, p. 9.