Dall’alienazione alla nevrosi, un parallelo fra Marx e Freud

Marx e Freud descrivono una situazione di sofferenza e patologia caratteristica dell’uomo odierno, dipendente dal fatto che egli cerca al di fuori di sé il proprio compimento. Le diverse prospettive di analisi portano i due pensatori a soluzioni diverse degli stati di alienazione e nevrosi.


Dall’alienazione alla nevrosi, un parallelo fra Marx e Freud

Marx e Freud sono stati due grandi osservatori della loro epoca, dei sistemi socio-economici caratteristici del loro tempo, ma anche dei tratti antropologici dei loro contemporanei. Assieme a Nietzsche, come è noto, sono stati nominati da Ricoeur i “maestri del sospetto”, in quanto sarebbero stati in grado di mostrare il tratto parziale e mistificato della scienza platonico-cartesiana, nonché dello sguardo che tradizionalmente l’uomo occidentale getta sul mondo, e proponendo una nuova prospettiva. Marx, sondando i presupposti del sistema capitalistico, rivela come il servo può sollevarsi e diventare padrone del proprio padrone; Freud svela invece come le azioni che apparentemente vengono guidate dalla coscienza siano in verità governate dall’inconscio. [1] Gli sconvolgimenti teorici apportati da entrambi sono stati di una tale portata che anche a livello pratico hanno comportato vere e proprie rivoluzioni.

Un aspetto lumeggiato sia da Marx che da Freud è quello per cui gli uomini, inseriti in questo sistema sociale, debbano contravvenire al rispetto della loro natura, quella che per Marx (soprattutto il Marx giovane) è la Gattungswesen, e che per Freud è la condizione dell’uomo non sottoposto ai dettami e alle costrizioni della società organizzata. Questa condizione obbligante viene nominata da Marx “alienazione” e da Freud “nevrosi”, e sebbene questi concetti presentino dei caratteri differenti, che non li rendono completamente sovrapponibili, entrambi sottolineano il fatto che gli esseri umani attualmente non stiano adempiendo alle necessità determinate dalla loro natura.

Il concetto marxiano di alienazione è di fatto una revisione di quello proposto da Hegel; sinteticamente, essa prevede che l’uomo non sia in grado di percepirsi come soggetto delle proprie azioni, ma solo attraverso la mediazione degli oggetti che ha creato. Per Hegel, lo Spirito (Dio nell’uomo) ritorna a sé stesso con coscienza piena ed accresciuta, attraverso il percorso storico, partendo da uno stato di auto-alienazione. L’interpretazione di Feuerbach richiede invece che Dio non sia altro che una proiezione delle facoltà umane in una dimensione esterna, tale per cui l’uomo diventa consapevole delle proprie forze solo attraverso l’adorazione. Marx traspose l’interpretazione feuerbachiana dal piano religioso a quello del lavoro (pur conservando l’idea per cui anche la religione costituisca una forma di alienazione)[2]. L’uomo, insomma, è alienato dal proprio lavoro, dal prodotto del proprio lavoro, dalla propria natura e i suoi simili. Questa condizione non consiste in un neutro stato psicologico, ma in un grave problema morale. Leggiamo dai Manoscritti:

“Ogni uomo si ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo a una nuova dipendenza, e spingerlo a un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica. […] Ogni necessità è un’occasione per presentarsi al proprio prossimo sotto le più allettanti spoglie e dirgli: caro amico, io ti do quel che ti è necessario, ma tu conosci la conditio sine qua non, tu sai con quale inchiostro devi scrivere l’impegno che assumi con me; nel momento stesso in cui ti procuro un godimento, ti scortico.” [3]

 Il meccanismo sottostante alla genesi della nevrosi in psicanalisi è effettivamente simile a quella dell’alienazione, in particolar modo perché è la dinamica del transfert a generare la nevrosi. Il nevrotico non è in grado di percepirsi come soggetto attivo della propria esperienza di vita, si sente vuoto, dunque proietta le proprie qualità umane su un oggetto esterno, e ad esso si sottomette. [4]

La patologia cui Freud fa riferimento si focalizza quindi sulla condizione individuale [5], più che su quella sociale, come invece era per Marx. Tuttavia, anche il primo non negò una possibile trasposizione del fenomeno descritto anche sul piano collettivo:

“Se l’evoluzione della società è tanto simile all’evoluzione dell’individuo, e se in ambedue sono usati metodi uguali, non sarebbe giustificata una diagnosi la quale sostenesse che alcune civiltà o epoche – o possibilmente l’intero genere umano – sono divenuti nevrotici sotto le tendenze civilizzatrici? […] A dispetto di tutte queste difficoltà possiamo attenderci che un giorno qualcuno intraprenda questo studio sulla patologia sociale.” [6]

Se entrambi i pensatori ravvedono una forma patologica nell’uomo contemporaneo, agendo così da “maestri del sospetto”, essi delineano anche quali sarebbero le condizioni fisiologiche di una società conforme alla natura umana. 

Da un certo punto di vista, per Freud solo l’uomo primitivo può essere detto sano, in quanto solo un soggetto non sottoposto alle costrizioni sociali può rispondere ad ogni impulso naturale senza la necessità di reprimerlo o sublimarlo. Ma è comunque possibile indicare dei parametri in base ai quali anche un soggetto contemporaneo può sfuggire da uno stato di piena nevrosi. Considerando l’evoluzione della libido, un uomo è sano se ha raggiunto lo stadio genitale senza regressioni, se è in grado di produrre oggetti e riprodurre la specie (che abbia, cioè, una soddisfacente attività lavorativa e sessuale). Considerando poi il rapporto del soggetto con l’alterità, questi è sano se si è emancipato dalla dipendenza da padre e madre, agendo con la propria forza e giudizio. 

L’indipendenza descritta da Freud, ad ogni modo, che implica la “sanità” umana, sembra essere più parziale e ristretta rispetto a quella voluta da Marx. Per Freud, l’uomo adulto ha interiorizzato le norme paterne (con la funzione del Super-Io), essendo in grado di adempiere ad esse senza che vengano apertamente imposte dall’esterno; insomma, l’indipendenza freudiana consiste nella sottrazione dell’uomo da un’autorità esterna esplicita. L’uomo sano descritto da Freud dunque è pienamente autosufficiente rispetto ai suoi simili, eccetto per il fatto che gli altri possono essere un mezzo di soddisfazione dei suoi impulsi istintuali.  

Di contro, per Marx l’uomo è costitutivamente sociale, ed è solo nella sua dialettica con la società che egli riesce a ricavare una condizione conforme alla sua essenza. Per Marx è nella prassi che l’uomo compie la propria essenza, nella propria autocreazione; il fatto che vengano garantiti i diritti astratti della società borghese non implica che siano poste le condizioni per cui ciascuno può realizzarsi. Infatti “un essere si considera indipendente soltanto quando è padrone di sé, ed è padrone di sé soltanto quando è debitore a sé stesso della propria esistenza” [7]; ma l’uomo marxiano è indipendente, si appropria di sé, solo nel suo essere onnilaterale, cioè in quanto uomo totale (vale a dire nella misura in cui l’uomo sia padrone di sé sotto tutti i rapporti che intesse con il mondo) [8]. 

Il comunismo è allora la forma sociale che permetterà la 

“soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell’uomo, e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi.” [9]

Un importante punto di contatto fra le due teorie è costituita dall’idea per cui lo stato di nevrosi e alienazione è superabile attraverso una presa di coscienza [10], da una parte con la terapia psicanalitica, dall’altra con necessari mutamenti a livello sociale. Resta infatti il divario fondamentale per cui se per Freud gli uomini possono superare individualmente il proprio stato di obnubilamento, per Marx lo stato di coscienza dell’uomo è strettamente legato alle condizioni sociali in cui egli è inserito. In questo, le valutazioni di Freud non tengono conto del fatto che nel mondo contemporaneo moltissimi dei pensieri “coscienti” sono in realtà indotti da influenze propagandistiche, mediatiche, politiche, ideologiche, e che dipendono dal fatto che, sebbene gli uomini siano convinti di essere pienamente padroni del proprio pensare, essi conformano il proprio agire e riflettere all’apparato ideologico propugnato dal sistema capitalistico. La narrazione ideologica borghese descrive il capitalismo come pienamente naturale e legittimo, e gli individui che “liberamente” prendono parte a questo meccanismo forzoso sono formalmente depositari delle condizioni di cui si avvalgono i loro sfruttatori. [11]

È quindi evidente che l’uscita da uno stato di alienazione richiederà non solo uno sguardo introspettivo ed un lavoro individuale, ma un radicale rovesciamento dele condizioni sociali attuali. 



Note: 

 

[1] Ricoeur Paul, Dell’interpretazione. Saggio su Freud, trad. di E. Renzi, Il Saggiatore, Milano, 2002.

[2] Di più, per il Marx della quarta delle Tesi su Feuerbach l’alienazione economica costituisce il presupposto di quella religiosa: “Feuerbach prende le mosse dal fatto che la religione rende l'uomo estraneo a se stesso e sdoppia il mondo in un mondo religioso immaginario, e in un mondo reale. Il suo lavoro consiste nel dissolvere il mondo religioso nella sua base mondana. Egli non si accorge che, compiuto questo lavoro, la cosa principale rimane ancora da fare. Il fatto stesso che la base mondana si distacca da se stessa e si stabilisce nelle nuvole come regno indipendente non si può spiegare se non colla dissociazione interna e colla contraddizione di questa base mondana con se stessa. Questa deve pertanto essere compresa prima di tutto nella sua contraddizione e poi, attraverso la rimozione della contraddizione, rivoluzionata praticamente. Così, per esempio, dopo che si è scoperto che la famiglia terrena è il segreto della sacra famiglia, è la prima che deve essere criticata teoricamente e sovvertita nella pratica.” (Marx, Tesi su Feuerbach, trad. di Palmiro Togliatti, in appendice al vol. Ludwig Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1950, pp. 77-80).

[3] Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, a cura di N. Bobbio, Einaudi, Torino, 1975, pag. 128.

[4] Freud, Il disagio nella civiltà, trad. di  J. Flescher, Editrice Scienza Moderna, Roma, 1949

[5] Freud accosta peraltro la dinamica psicologica che determina l’insorgenza delle religioni con quella che genera le nevrosi, senonché la prima ha a che fare con rituali e proiezioni collettive mentre la seconda individuali (si veda Freud, Totem e tabù, a cura di S. Daniele e E. Panaitescu, Bollati Boringhieri, 2011)

[6] Freud, Il disagio nella civiltà, pp. 148-149.

[7] Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, pag. 123.

[8] Ibidem, pag. 116.

[9] Ibidem, pag. 111.

[10] Freud, Avvenire di un’illusione, a cura di S. Mistura, trad. di E. Ganni, Einaudi, 2015. 

[11] Engels, Marx, Ideologia tedesca, trad. di F. Codino, Editori Riuniti, 2018.

03/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Agnese Tonetto

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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