Dove rischia di portarci il governo Draghi

Il nuovo governo nasce attraverso un ulteriore scardinamento dello spirito democratico della Costituzione, in continuità con la deriva bonapartista e il commissariamento delle politiche economiche da parte dei poteri forti al fine di implementare, con una nuova controriforma dell’istruzione, la precarizzazione del lavoro.


Dove rischia di portarci il governo Draghi

I governi tecnici sono caratteristici della seconda repubblica liberale; dal suo sorgere, quasi trent’anni fa, se ne sono avuti ben cinque, del tutto estranei alla prima repubblica democratica, sorta dalla sconfitta del nazifascismo e durata ben quarantacinque anni. Ancora più caratteristici di questi ultimi anni di crisi della repubblica parlamentare fondata sulla Costituzione sono i cosiddetti governi del presidente. In tal modo, la forma di governo parlamentare basato sulla Costituzione è stata progressivamente sostituita da forme sempre più esplicite di presidenzialismo, prodotte dalla deriva bonapartista. Tale deriva ha il pieno sostegno dell’ideologia dominante, espressione di classi dominanti che hanno sempre malvisto la democrazia parlamentare, tanto che i mezzi di comunicazione di massa definiscono regolarmente il presidente del consiglio dei ministri “premier

Sulla base della Costituzione il presidente della repubblica dovrebbe affidare l’incarico di formare il governo in seguito alla consultazione dei partiti rappresentati in parlamento, per individuare chi sia maggiormente in grado di ottenere la fiducia dalle due camere

A tale scopo è altresì necessario che l’incaricato di formare un nuovo esecutivo si confronti sulle linee programmatiche del nuovo governo nel giro di consultazione con le componenti politico-parlamentari interessate a sostenerlo. Indirizzo politico che poi non spetta al sedicente premier definire, ma all’organo consiliare di governo, ovvero al consiglio dei ministri. Il presidente di tale consiglio esporrà tali linee guida al parlamento – da cui dovrà ottenere la fiducia indispensabile alla sopravvivenza del governoprodotte dal suddetto organo collegiale.

La stessa scelta dei ministri deve fondarsi sulle indicazioni delle forze politico-parlamentari, durante le consultazioni con l’incaricato a proporre i membri del futuro possibile governo al capo dello Stato. Anche perché i ministri diverranno tali solo grazie alla fiducia da parte della maggioranza delle forze politiche rappresentate nelle due camere.

Dunque, proprio al contrario di quanto previsto dallo spirito della Costituzione democratico-parlamentare, la deriva bonapartista in atto – che ha raggiunto il suo massimo sviluppo proprio ora – ci ha portato ad assistere, come denunciato dall’esimio costituzionalista Mauro Volpi, al “commissariamento della forma di governo parlamentare, che si manifesta con l’esercizio di un potere sostanzialmente personale di scelta sia del programma del futuro governo sia della sua composizione” [1]. In tal modo, in nome di uno stato di emergenza protratto all’infinitoanche perché non si fa nulla per superarlo con un adeguato lockdown – si afferma “una presunta «Costituzione materiale» che ha soppiantato quella formale trasformando di fatto la forma di governo da parlamentare a presidenziale o semipresidenziale” [2]. Così è di fatto in atto una “deriva plebiscitaria e personalistica particolarmente pericolosa nell’attuale contesto di disfacimento dei soggetti politici” [3], senza neppure bisogno di rispettare la forma, che prevederebbe la proposta di una revisione costituzionale in senso presidenzialistico.

D’altra parte tale deriva sta passando con il sostanziale sostegno di tutte le forze parlamentari che, nonostante siano progressivamente esautorate dalla loro determinante funzione stabilita dalla Costituzione, non hanno avuto niente da ridire su un incarico di formare il governo senza nemmeno consultarli, su un programma di governo non discusso con loro e su una lista dei ministri calata completamente dall’alto. Da una parte tale paradossale suicidio dei parlamentari è dovuto alla ormai dominante ideologia populista antipartitica e antipolitica, prodotto di quel pensiero unico neoliberista in grado di egemonizzare un po’ tutte le forze “politiche” presenti in parlamento.

Tanto più che tale ideologia è inscritta nei trattati costitutivi dell’Unione europea, anche essa figlia della dissoluzione dell’Urss, che potrebbero essere modificati solo con una impossibile unanimità fra i paesi contraenti. Peraltro, ormai, anche le due forze che si erano maggiormente affermate nelle ultime elezioni politiche, proprio con le loro posizioni demagogiche euroscettiche, pur di partecipare ai governi nell’attuale deriva bonapartista si sono trasformisticamente mutate in forze filoeuropee, per rendersi presentabili agli occhi dei poteri forti. Così, in nome dell’unità nazionale, che sarebbe resa necessaria dalla normalizzazione dello stato di emergenza, la quasi totalità delle forze politiche italiane rappresentate nel parlamento europeo ha approvato il regolamento del Recovery and Resilience Facility, cioè il Dispositivo di ripresa e resilienza, che rappresenta la parte preponderante del Next Generation Eu

Al di là delle discutibilissime e ancora piene di incognite modalità di finanziamento, il regolamento fissa le stringenti condizionalità che rendono del tutto controproducente per le masse popolari tale strumento. Il dispositivo sancisce, infatti, che la Commissione europeapotrà interrompere l’erogazione dei fondi in caso di disavanzo eccessivo o in caso di squilibri eccessivi” [4]. In altri termini, chi non si atterrà al Patto di stabilità che impone di non superare il 60% nel rapporto fra debito e Pil e il 3% di deficit dovrà necessariamente “adottare un piano «credibile» per conseguirli” [5]. Ciò significa che “i fondi del Dispositivo, erogati a rate, potranno essere sospesi non solo in caso di attuazione non conforme a quanto scritto nel famoso «Recovery Plan» per cui sono stati concessi, ma anche in caso in non conformità dell’orientamento della finanza pubblica nel suo complesso con le prescrizioni della Commissione! Un po’ come se un debitore firmasse un contratto che concede al creditore il diritto non solo di controllare cosa fa con i soldi prestati, ma anche con tutte le sue entrate – e magari anche i ritmi di lavoro; e di porre in atto azioni coercitive se non ne sia soddisfatto” [6]. In tal modo, la Commissione europea avrà a disposizione – nella sua opera di sorveglianza dei bilanci pubblici degli Statisignificative sanzioni per chi non rispetti il dogma dell’austerità.

Peraltro, “in vista del «Recovery Fund» che il governo Draghi dovrà realizzare si spende molta enfasi a descrivere l'istruzione come «formazione professionale, competenze e eccellenze»” [7]. Fra i tecnici, tanto riveriti dall’ideologia dominante, abbiamo come nuovo ministro dell’Istruzione un economista che si propone di implementare ulteriormente le controriforme che hanno progressivamente dequalificato la scuola pubblica a tutto vantaggio della privatizzazione dell’insegnamento qualificato. Il neoministro mira a implementare la famigerata autonomia scolastica, grimaldello atto a scardinare la scuola pubblica democratica, sulla base di quella che la neolingua della dominante pedagogia neoliberista definisce il “territorio educante”. Così, “l’insistenza sulla coppia territorio-autonomia ha prodotto disuguaglianze sociali e povertà educative drammatiche che hanno creato un’autonomia differenziata nei fatti tra le scuole del Nord e del Sud” [8]. Si mira, così, a superare la scuola basata sui contenuti delle diverse materie e sul gruppo classe, in nome di una istruzione fondata sulle famigerate competenze, imposte dall’ideologia dominante, con una ridefinizione degli stessi orari da stabilire localmente. In tal modo, questo sostenitore della governance scolastica, mira al “passaggio dalla scuola intesa come elaborazione dei saperi e della conoscenza alla scuola come trasmissione della capacità di risolvere i problemi. Quest’ultima è l’attitudine richiesta al lavoratore «flessibile» che si adatta «creativamente» alla richieste temporanee dei cicli produttivi e all’andamento erratico del mercato del lavoro che richiede abilità e competenze «morbide» e «trasversali» e mai dense e critiche. Questo è l’orizzonte in cui si muove lo stesso «Recovery Fund» dove prevale una visione professionalizzante della scuola” [9].

 

Note:

[1] Volpi, M., La formazione del governo segnata dall’oscuramento della Costituzione, in “Il manifesto” del 13/02/2021.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Recovery and Resilience Facility, articolo 10, comma 1.

[5] Bortolon, M., Il recovery ora mostra i denti, in “Il manifesto” del 13/02/2021.

[6] Ibidem.

[7] Ciccarelli, R., Patrizio Bianchi, l’ascesa dalla task force di Azzolina alla guida del ministero dell’Istruzione, in “Il manifesto” del 13/02/2021.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

19/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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