BREMA. Rileggendo la questione Brexit (l’uscita con referendum della Gran Bretagna dell’Unione Europea) si ha la netta impressione di una confusa situazione che anziché chiarirsi diventa sempre più oscura. Da un lato un Paese spaccato in due e con Stati come la Scozia che rivendicano di scegliere il proprio destino rimanendo nell’UE, dall’altro lato del tavolo i rappresentanti di un’Europa sempre più disunita e precaria. Il ballottaggio per la presidenza della Francia dirà domani se nel bagaglio dell’UE ci sarà o meno un deciso fautore dell’Europa forte, quella sostenuta dalle banche e dalla loro azione finanziaria capitalista e liberista, sporca nel desiderio di avere la moneta forte e l’aggregazione degli Stati verso politiche economiche che favorendo gli Stati forti incrementerà scelte di austerità nei confronti di Stati deboli da sfruttare e magari anche allontanare senza bisogno di referendum per l’uscita.
Il favore verso Macron da parte dei governi tedesco e italiano – il neosegretario del PD poi è un supporter da curva ultras verso il suo amico Macron – sottende la scelta dell’Europa delle banche e della finanza capitalista. Se domani vincesse la Le Pen la situazione per la Francia e per l’Europa cambierebbe, le difficoltà aumenterebbero, ma molti economisti ritengono che si potrebbe arrivare a una discussione più saggia. L’affermazione dell’exit al referendum in Gran Bretagna è inevitabile che abbia aperto una crisi pericolosa, sussiste la possibilità dello sgretolarsi dell’eurozona. Bisogna sottolineare che molti economisti avevano avvertito, nel giugno 2010, ai primi segnali di crisi avviata negli USA un paio d’anni prima, in merito ai pericoli insiti nelle politiche di “austerità” imposte dai Trattati, che avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Nel novembre 2013 il Financial Times pubblicò il monito degli economisti dove era scritto che, in assenza di una svolta espansiva e di uno sforzo concertato per la ricomposizione dei crescenti squilibri macroeconomici, l’Unione Europea non avrebbe potuto reggere. I processi di divergenza erano già impetuosi tra Paesi che traevano vantaggio dal quadro di regole europee (Germania in testa) e Paesi che invece ne subivano le conseguenze. Abbiamo ancora a che fare con la cecità di economisti liberisti che non pensano neppure di valutare una revisione dei Trattati e un cambiamento in senso espansivo delle politiche fiscali.
Il Regno Unito ha avuto una forte crescita del disavanzo commerciale, così è diventato sempre più dipendente dai capitali stranieri. È una logica conseguenza che la Brexit darà una spinta a tutte le forze politiche anti-euro, anche senza dipendere dalla vittoria in Francia della Le Pen piuttosto che di Macron. Il quadro macroeconomico dell’area euro è sempre più oscuro. La divergenza e la lotta tra Paesi centrali – e qui sì vale considerare la vittoria di Macron sulla Le Pen e la conferma in Germania, nelle elezioni autunnali, della scelta capitalista e liberista, sia che venga riconfermata la Merkel sia che vinca Schults – e Paesi periferici (l’Italia, malgrado ciò che sostiene il Governo, sta qui) diventerà sempre più aspra.