Sta per essere approvato un nuovo codice di comportamento per il personale della Pubblica Amministrazione. Ne hanno già parlato in Consiglio dei Ministri. Trattasi di un intervento legislativo che andrà a ampliare i divieti ai quali già oggi il dipendente pubblico è assoggettato dai regolamenti vigenti e applicati pedissequamente dalle varie Amministrazioni.
Il dipendente sarà tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all'immagine dell’amministrazione di appartenenza o della Pa in generale. Non stiamo parlando di haters (o "leoni") da tastiera ma del diritto di critica che a rigor di logica dovrebbe essere salvaguardato anche dalla Carta Costituzionale.
Viene meno ogni discrimine tra una critica legittima, articolata e riconducibile alla libertà di espressione e un'azione o un commento che venga reputato tale da ledere l'immagine o il prestigio di una Pubblica amministrazione. I termini utilizzati, decoro, prestigio e immagine, possono essere interpretati discrezionalmente per avviare un procedimento disciplinare. Ad esempio criticare l'organizzazione del personale o l'assenza di condizioni di salute e sicurezza potrebbero rappresentare un danno alla immagine dell'Ente e decretare l'avvio di un procedimento disciplinare e di una causa civile e penale.
Vediamo insieme alcune novità.
“Il dipendente esercita i propri compiti nel rispetto dei principi di economicità, efficienza ed efficacia. La gestione di risorse pubbliche ai fini dello svolgimento delle attività amministrative deve seguire una logica di contenimento dei costi e del consumo energetico, dell’ecosostenibilità e di rispetto dell’ambiente, che non pregiudichi la qualità dei risultati dell’azione amministrativa”. Tradotto in altri termini il risparmio delle risorse diventa una sorta di faro guida nel comportamento del dipendente, una sorta di Grande Etica e morale che dovrà guidare il suo operato. Ora, se si tratta di spegnere le luci prima di timbrare il cartellino, non c'è bisogno di codici etici ma solo di normale buon senso, di rispetto minimo dell'ambiente e delle risorse pubbliche. Stessa cosa dicasi sulla necessità di assicurare la raccolta differenziata dei rifiuti. Questi comportamenti non hanno niente a che vedere con i codici aziendali, rientrando nelle buone pratiche di civiltà.
Anche il non pregiudicare la qualità dei risultati dell'azione amministrativa meriterebbe una grande attenzione. Ci sono talvolta disposizioni di servizio che vanno nella direzione opposta e sarà sufficiente l'intervento di un superiore per mortificare ogni buon intento e anche ogni autonomia comportamentale del singolo dipendente. Sarebbe sufficiente a tal fine imputargli scarso impegno e una prassi contraria al buon andamento delle attività lavorative.
Se fino ad oggi era noto il divieto di utilizzare gli strumenti di lavoro a fini diversi da quelli di ufficio un domani dovremo riservare grande attenzione anche alle risposte fornite all'utenza, meglio utilizzare il linguaggio della burocrazia in barba a tutte le teorie comunicative e della semplificazione.
Ma nello Schema del decreto c'è la riscrittura di un articolo, del vecchio Regolamento oggi vigente, che merita grande attenzione, per questo è bene riportarlo integralmente.
Art. 11-ter - (Utilizzo dei mezzi di informazione e dei social media)
- Il dipendente utilizza gli account dei social media di cui è titolare in modo che le opinioni ivi espresse e i contenuti ivi pubblicati, propri o di terzi, non siano in alcun modo attribuibili all’amministrazione di appartenenza o possano, in alcun modo, lederne il prestigio o l’immagine.
- In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale.
- È fatto, altresì, divieto, al dipendente di trattare comunicazioni, afferenti direttamente o indirettamente al servizio, attraverso conversazioni pubbliche svolte su qualsiasi piattaforma digitale.
- Se dalle piattaforme social siano ricavabili o espressamente indicate le qualifiche professionali o di appartenenza del dipendente, ciò costituisce elemento valutabile ai fini della gradazione della eventuale sanzione disciplinare in caso di violazione delle disposizioni dei commi 1, 2 e 3.
- Nei codici di cui all’articolo 1, comma 2, le amministrazioni si possono dotare di una “social media policy” per ciascuna tipologia di piattaforma digitale, al fine di adeguare alle proprie specificità le disposizioni di cui al presente articolo. In particolare, la “social media policy” deve individuare, graduandole in base al livello gerarchico e di responsabilità del dipendente, le condotte che possono danneggiare la reputazione delle amministrazioni. Nell’ambito dei medesimi codici le amministrazioni individuano le modalità di rilevazione delle violazioni delle disposizioni del presente articolo.
- Fermi restando i casi di divieto previsti dalla legge, i dipendenti non possono divulgare o diffondere per ragioni estranee al loro rapporto di lavoro con l’amministrazione e in difformità alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 33, e alla legge 7 agosto 1990, n. 241, documenti, anche istruttori, e informazioni di cui essi abbiano la disponibilità.
Art. 11-quater - (Rispetto dell’ambiente)
- Il dipendente conforma la sua condotta sul luogo di lavoro al rispetto dell’ambiente e per contribuire agli obiettivi di riduzione del consumo energetico, della risorsa idrica e più in generale dei materiali e delle risorse fornite dall’amministrazione per l’assolvimento dei propri compiti, nonché per la riduzione dei rifiuti e per il loro riciclo, in piena aderenza alle direttive impartite dall’amministrazione di appartenenza.
Viene prevista il divieto, nei fatti, di intervenire pubblicamente, sui social o in assemblee pubbliche, su qualsiasi materia se nell'occasione vengono espressi giudizi non in linea con i voleri dell'Amministrazione. Prendiamo ad esempio un delegato sindacale o un lavoratore che critichi il piano occupazionale di un'azienda sanitaria o di un ente locale. Un dirigente o amministratore potrebbero contestare il danno di immagine o semplicemente un'azione che lede il prestigio del proprio datore di lavoro. Se risulta comprensibile il divieto di non divulgare documenti o informazioni, restiamo tuttavia basiti dal fatto che venga messo sotto accusa il diritto di critica scambiandolo per una azione denigratoria della quale rispondere in sede civile e penale costringendo a difendersi da procedimenti disciplinari.
Siamo davanti a una situazione non solo paradossale ma estremamente pericolosa per la democrazia nei luoghi di lavoro: vogliono imporre un clima di paura, e di rassegnazione, scambiando il diritto alla critica con la denigrazione e il danno all'immagine e al prestigio del proprio datore di lavoro.
Questi codici ricordano le regole imposte nelle imprese private Usa o di altri paesi a capitalismo avanzato; codici etici moraleggianti che servono a estrarre maggiore valore, e assoggettamento, attraverso regole ferree che incutono paura e timore. Quando dicevamo, a proposito del PNRR, che la pubblica amministrazione si stava piegando alla cultura delle privatizzazioni e i servizi pubblici sarebbero stati in subordine agli interessi privati, eravamo certi di potere incorrere in una azione disciplinare da parte dei nostri superiori ma al contempo non avevamo dubbi nel dirlo. Oggi i codici etici che, al pari degli algoritmi, schiavizzano la forza lavoro nel privato si vanno estendendo anche alla Pubblica amministrazione il cui operato sarà sempre meno soggetto a controllo e verifica da parte di lavoratori e cittadini.
Da qui al fascismo, aziendale e non, non corre grande differenza; poi possiamo chiamarlo Etica della proprietà e del capitalismo della sorveglianza ma la sostanza del discorso rimane la medesima.