Marx, la sfera della circolazione e i diritti umani

La metamorfosi dell’attività lavorativa – che produce il valore di scambio – in lavoro salariato e, dunque, in capitale è una necessità immanente del sistema in cui l’apparente uguaglianza e libertà della sfera della circolazione ha il suo fondamento reale nella disuguaglianza e negazione della libertà della sfera produttiva.


Marx, la sfera della circolazione e i diritti umani

Nella sfera della circolazione proletario e capitalista scambiano merci di eguale valore, sono libere persone giuridiche, ognuna delle quali porta avanti il proprio utile sulla base dell’uguaglianza formale sancita nel contratto. Dunque, come osserva acutamente Marx, la sfera dello scambio delle merci, della circolazione “entro i cui limiti si muovono la compera e la vendita della forza-lavoro”, si presenta quale “vero Eden dei diritti innati dell'uomo[1]. L’uomo libero, fondamento della persona giuridica, già nel diritto romano è colui che gode del diritto di poter acquistare per sé mediante lo scambio [2]. La sfera della circolazione si presenta quale domino incontrastato del diritto, della libertà, dell’eguaglianza, della proprietà e dell’utilitarismo. Nella determinazione formale mediante cui gli individui sono legati nello scambio qualsiasi differenza sociale o politica è annullata, “la loro relazione è quella di uguaglianza” [3]. In effetti, nel libero mercato “entra in ballo anzitutto il momento giuridico della persona, e della libertà nella misura in cui vi è contenuta” che prevede l’eguaglianza giuridica di contraenti che scambiano merci d’eguale valore, “nessuno si appropria della proprietà dell’altro con la violenza. Ognuno se la aliena con libera volontà” [4]. Quindi, le persone giuridicamente eguali scambiano le loro libere proprietà di eguale valore sulla base dello scopo comune delle loro libere volontà, sulla base dell’utile individuale sancito dal contratto, diritto su cui si fonda l’interesse generale quale generalizzazione degli interessi egoistici. Ricapitolando: “se dunque la forma economica, lo scambio, pone da tutti i lati l’uguaglianza dei soggetti, il contenuto, la materia, sia individuale sia oggettiva, che spinge allo scambio, pone la loro libertà” [5].

La fictio iuris del contratto, dunque, fonda la parvenza ideologica per la quale lavoratore e capitalista non sono individui socialmente determinati in quanto appartenenti a una diversa classe sociale, ma sono come soggetti giuridici liberi, i quali, nel capovolgimento ideologico, possono avere anche la coscienza esaltante che proprio il soddisfacimento del loro brutale interesse singolo è la realizzazione dell’interesse singolo superato, dell’interesse generale. Dall’atto dello scambio stesso ciascuno dei soggetti torna, come fine ultimo dell’intero processo, in se stesso, come soggetto predominante. Con ciò è quindi realizzata la piena libertà del soggetto.

Il piano dei diritti umani è funzionale al piano della circolazione, al piano del mercato, soprattutto della forza lavoro, dove è necessaria la libertà e l’eguaglianza e a livello internazionale anche la fraternità. Tale piano è essenziale anche per l’ideologia borghese e nasconde la reale ineguaglianza, mancanza di libertà della produzione, e la mancanza di fraternità, l’imperialismo a livello mondiale [6].

La sfera dello scambio, il paradiso dei diritti umani “nella totalità dell’attuale società borghese” non è che la superficie sul fondo della quale “si verificano ben altri processi nei quali questa apparente eguaglianza e libertà dell’individuo” [7] dilegua, in quanto è revocata. Emerge così quale “desiderio tanto pio quanto sciocco” la pretesa di realizzare la configurazione ideale della società borghese, senza cogliervi la trasfigurazione ideologica della sua realtà. Marx parla a questo proposito dell’utopismo “di non capire la necessaria differenza tra configurazione reale e ideale della società borghese, e di volersi perciò assumere il compito superfluo di volerne realizzare di nuovo l’espressione ideale, ove questa è in effetti soltanto la trasfigurazione di questa realtà” [8]. Allo stesso modo, Marx irride “l’inettitudine dei socialisti (soprattutto dei francesi, che pretendono di additare il socialismo come realizzazione delle idee della società borghese espresse dalla rivoluzione francese)”. Infine, Marx metta alla berlina l’idealizzazione della società di mercato, la sfera dello scambio quale “originariamente (ossia nel tempo) o concettualmente (ossia nella loro forma adeguata) un sistema della libertà e eguaglianza di tutti (…) poi adulterati dal denaro, dal capitale ecc.” [9]. In realtà la metamorfosi dell’attività lavorativa – che produce il valore di scambio – in lavoro salariato e, dunque, in capitale è una necessità immanente del sistema in cui l’apparente uguaglianza e libertà della sfera della circolazione ha il suo fondamento reale nella disuguaglianza e negazione della libertà proprie della sfera produttiva. Dunque ai socialisti utopisti “va risposto”, come scrive Marx: “che il valore di scambio o più precisamente il sistema del denaro è effettivamente il sistema dell’uguaglianza e della libertà, e che quegli elementi di disturbo che compaiono a contrastarle nello sviluppo più immediato del sistema sono disturbi immanenti al sistema stesso, e appunto la realizzazione dell’uguaglianza e della libertà, che si mostrano come disuguaglianza e illibertà” [10].

Presupposto celato “del valore di scambio quale base oggettiva dell’intero sistema di produzione” è la coercizione sociale che fa sì che l’oggettivizzazione dell’attività generica dell’uomo sia riappropriata dal produttore solo mediante l’esito positivo di un processo sociale le cui condizioni di possibilità e di realizzazione sono del tutto al di fuori del suo controllo [11] e in cui il suo oggetto assume una forma tanto generale quanto estrinseca: il denaro. Nella società capitalista, denuncia Marx, “l’individuo ha ormai un’esistenza soltanto come entità produttiva di valore di scambio, nel che è già implicita la negazione totale della sua esistenza naturale; che esso dunque è totalmente determinato dalla società” [12]. Non solo la sua posizione sociale dunque, ma la sua stessa esistenza materiale è dipendente dalla capacità di realizzazione del valore di scambio, che “presuppone una divisione del lavoro ecc., nella quale l’individuo è già posto in rapporti del tutto differenti da quelli dei semplici individui che scambiano[13].

Tuttavia, nella semplice determinazione del valore di scambio e del denaro, che presiedono alla sfera della circolazione in cui ogni differenza è meramente formale e dunque indifferente, “è contenuta in forma latente l’antitesi tra lavoro salariato e capitale” [14]. In conclusione, i socialisti utopisti non vanno al di là dei “rapporti economici più semplici, i quali, presi autonomamente, sono pure astrazioni, mentre nella realtà sono mediati dalla più profonde antitesi e ne presentano soltanto un lato in cui la loro espressione è cancellata” [15].

 

Note:

[1] Marx, Karl, Il capitale, vol. I, tr. it. di Cantimori, D., Editori Riuniti, Roma 1989, p. 208.

[2] Come chiarisce a tal proposito Marx: “perciò nel diritto romano il servus è esattamente definito come colui che non può acquistare per sé mediante lo scambio (vedi Institutiones). E perciò è altrettanto chiaro che questo diritto, per quanto corrisponda ad una condizione sociale nella quale lo scambio non era affatto sviluppato, tuttavia, essendo stato elaborato in determinate sfere, poté sviluppare le definizioni di persona giuridica, e cioè appunto di individuo dello scambio, e anticipare così (nelle determinazioni fondamentali) il diritto per la società industriale, ma soprattutto dovette esser fatto valere, di fronte al Medioevo, come il diritto della nascente società borghese.” Id., Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, tr. it. di Grillo, E., Nuova Italia, Firenze 1968, p. 215.

[3] Ivi, p. 209. Come chiarisce meglio a tal proposito Marx: “non esiste assolutamente alcuna differenza tra loro finché si considera la determinazione formale, che è la determinazione economica, la determinazione in cui essi sono reciprocamente legati nel rapporto di traffico; l’indice della loro funzione sociale o della loro relazione sociale reciproca. Ciascuno dei soggetti è un individuo che scambia; ciascuno cioè ha con l’altro la medesima relazione sociale, che questi ha con lui” ibidem.

[4] Ivi, p. 213.

[5] Ivi, p. 214.

[6] Ciò spiega anche perché tutti i governi che nel bene, in senso socialista, o nel male, in senso precapitalista, pongono argini al mercato o all’imperialismo siano accusati di non rispettare i diritti umani.

[7] Ivi, p. 218.

[8] Ivi, p. 219.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem. Marx conclude osservando con tutto il suo appassionato sarcasmo che “è desiderio tanto pio quanto sciocco che il valore di scambio non si sviluppi in capitale o che il lavoro che produce il valore di scambio non si sviluppi in lavoro salariato” ibidem.

[11] Il prodotto immediato del lavoro del salariato “non è un prodotto per lui bensì lo diventa soltanto nel processo sociale ed è costretto ad assumere questa forma generale ma estrinseca” ivi, p. 218.

[12] Quindi, osserva acutamente Marx, “il presupposto non solo è un presupposto che non scaturisce né dalla volontà dell’individuo né dalla sua natura immediata, ma è un presupposto storico che pone l’individuo già come individuo determinato dalla società”. Ibidem

[13] Ibidem.

[14] Il socialista utopista, dunque, “dimentica che le forme superiori in cui [si realizza] lo scambio o i rapporti di produzione che si realizzano in esso non restano affatto fermi a questa semplice determinazione dove la più alta differenza cui si perviene è una differenza formale e perciò indifferente. Infine non si vede che già nella semplice determinazione del valor di scambio e del denaro è contenuta in forma latente l’antitesi tra lavoro salariato e capitale ecc” ibidem.

[15] Ibidem.

28/07/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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