A parere di Antonio Gramsci non si può identificare parlamentarismo e regime rappresentativo, dal momento che è possibile, anzi auspicabile “una diversa soluzione sia del parlamentarismo che del regime burocratico, con un nuovo tipo di regime rappresentativo” [1]. In effetti, come non manca di far notare Gramsci, la “razionalità storicistica” del sistema elettorale parlamentare fondato sul principio una testa un voto è, di fatto, “sistematicamente falsificata dall’influsso della ricchezza” (13, 30: 1626).
Solo superando la democrazia meramente formale del sistema rappresentativo borghese sarà possibile operare in direzione di un consenso “supposto permanentemente attivo, fino al punto che i consenzienti potrebbero essere considerati come «funzionari» dello Stato” (ibidem). Le elezioni non saranno allora il momento “terminale” della costruzione del consenso, ma “un modo di arruolamento volontario di funzionari statali di un certo tipo, che in un certo senso potrebbe ricollegarsi (in piani diversi) al self-government” (ibidem).
Il limite principale del modello elettorale borghese è l’assenza di “chiarezza nel mandato” che conferiscono, poiché i partiti sempre meno si definiscono intorno a un programma determinato e i candidati hanno in genere fini personali o al massimo locali. Inoltre, tendono a prevalere governi “di coalizione, e di coalizione sul terreno strettamente parlamentare, quindi spesso tra partiti lontani uno dall’altro” (7, 102: 929). Al contrario nel sistema socialista le elezioni, per Gramsci, non avverranno più “su programmi generici e vaghi”, ma saranno finalizzate al lavoro concreto: “chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli, a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile” (13, 30: 1626). Il momento delle elezioni riconquisterà la sua importanza perché i candidati non saranno selezionati da parte di “cittadini amorfi” all’interno di una corporazione, di un ceto di professionisti della politica, ma fra “elementi produttivi qualificati” (ibidem) al contempo elettori ed eletti.
Si dovrà mirare a superare, con la tendenziale “eleggibilità di tutte le cariche”, la debolezza principale del liberalismo: “la burocrazia, cioè la cristallizzazione del personale dirigente che esercita il potere coercitivo e che a un certo punto diventa casta” (6, 81: 752). In tal modo il fondamento del liberalismo, la divisione dei poteri, sarà portata alle estreme conseguenze sino al superamento della sua contraddizione interna. Inoltre, nel sistema borghese “gli organi deliberanti tendono a distinguere la loro attività in due aspetti «organici», quella deliberativa che è loro essenziale e quella tecnico-culturale per cui le quistioni su cui occorre prendere risoluzioni sono prima esaminate da esperti” (12, 1: 1532) [2].
In tal modo si crea un corpo separato di “specialisti”, ovvero una “burocrazia di carriera” che pone sotto il proprio controllo “i regimi democratici e i parlamenti; ora il meccanismo si va estendendo organicamente ed assorbe nel suo circolo i grandi specialisti dell’attività pratica privata, che così controlla e regimi e burocrazia” (ibidem). Certo l’integrazione fra politici e funzionari specializzati è un processo progressivo che non deve essere interrotto, tuttavia occorrerà in un sistema socialista mutare la formazione del personale politico, “integrando la sua cultura secondo le nuove necessità e di elaborare nuovi tipi di funzionari specializzati che collegialmente integrino l’attività deliberante” (ibidem).
Il personale dirigente non limiterà la propria specializzazione al campo giuridico-formale, ma dovrà possedere “quel minimo di coltura generale tecnica che gli permetta, se non di «creare» autonomamente la soluzione giusta, di saper giudicare tra le soluzioni prospettate dagli esperti e scegliere quindi quella giusta dal punto di vista «sintetico» della tecnica politica” (ibidem). Più in generale si dovrà mirare a integrare, per quanto possibile, lavoro pratico e intellettuale, in modo da mirare a una sintesi del potere legislativo con l’esecutivo, “per cui i funzionari eletti, oltre che del controllo, si interessino dell’esecuzione degli affari di Stato” (13, 36: 1632).
Note:
[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1977, p. 1708. D’ora in poi citeremo quest’opera fra parentesi tonde direttamente nel testo, indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.
[2] Gramsci prosegue osservando acutamente che “questa attività ha creato già tutto un corpo burocratico di una nuova struttura, poiché oltre agli uffici specializzati di competenti che preparano il materiale tecnico per i corpi deliberanti, si crea un secondo corpo di funzionari, più o meno «volontari» e disinteressati, scelti volta a volta nell’industria, nella banca, nella finanza” (ibidem).