L’approvazione del pacchetto sicurezza segna una svolta securitaria nella gestione dell'immigrazione e del conflitto sociale e sindacale. Inutile ripetere quanto già scritto da molti sulle severe pene detentive previste per gli organizzatori di picchetti, blocchi stradali e occupazione di immobili. Nelle settimane scorse è partito il censimento delle occupazioni con tanto di circolare Ministeriale ai Prefetti che si avvarranno a loro volta delle forze dell'ordine e degli enti locali.
La nozione di degrado coniata dal Pd e dall'allora Ministro Minniti è stato solo l'inizio di un percorso oggi entrato nel vivo, quello dell'uso della polizia locale come forza di ordine pubblico nell'ottica di rivedere e stravolgere le normative vigenti che considerano la polizia locale come supporto a polizia di stato e carabinieri.
Sempre per restare al pacchetto sicurezza non sarà sfuggita agli osservatori più attenti che la critica della Cgil, della società civile, e dell'associazionismo era rivolta prevalentemente alla parte che disciplina l'immigrazione, come se i reati previsti per le azioni sociali non li riguardassero.
In questo scenario, l'opposizione al pacchetto sicurezza nella sua interezza non poteva che riguardare solo una piccola parte di quanti sono in disaccordo con l'attuale Governo. Per noi i diritti civili non sono barattabili con quelli sociali, evidentemente a pensarla diversamente sono molti altri della cosiddetta sinistra (o di quanto ne rimane oggi).
Focalizziamo l'attenzione su un punto secondario, il capitolato di appalto per i servizi di accoglienza pensato appositamente per ridurre gli oneri dell'accoglienza dei migranti richiedenti asilo e con ripercussioni negative anche sulle cooperative sociali che certi servizi gestiscono da lustri. L'obiettivo finale non è solo il risparmio di spesa come chiedono settori padronali ma piuttosto rimettere in discussione l'accoglienza verso i migranti, ridurre ai minimi termini le prestazioni a loro favore, fino alla esclusione di molti di loro dal servizio sanitario nazionale.
Le norme internazionali in teoria impongono ai governi di adoperarsi al fine di offrire rifugio e accoglienza a quanti scappano via da un paese in guerra o attraversato da conflitti che mettono a rischio la sicurezza. Questo diritto oggi viene messo in discussione dal Governo che vorrebbe anche sottrarsi alla adesione al global compact. Eppure le migliaia di migranti provenienti dai paesi africani non arrivano da aree geografiche di benessere ma piuttosto da guerra, carestia e persecuzione. La digressione allora tra il migrante per ragioni umanitarie e quello ‘economico’ ci pare la classica distinzione di lana caprina finalizzata a riscrivere il diritto in materia di immigrazione lasciando il richiedente in balia di tribunali e senza assistenza e sostentamento, visto che nel frattempo sta venendo meno proprio quell'obbligo dell'accoglienza nel periodo di eventuale contenzioso giurisdizionale.
Il capitolato, in attesa del nulla osta della Corte dei Conti, non potrà che ricevere le critiche espresse già da tempo dalla Magistratura contabile sulla spesa eccessiva e fuori controllo. Ma qui non siamo davanti a un eventuale sperpero di denaro pubblico. Sicuramente i nostri soldi dovrebbero e potrebbero essere spesi meglio e anche ad altri fini; è indubbio che sulla immigrazione ci sia qualcuno che da tempo lucra. Ma denunciare il lucro oggi diventa funzionale a cancellare quelli che erano fino ad oggi diritti acquisiti, la morale si piega da una parte alla ragione economica e dall'altra alla deliberata volontà di costruire la società della non accoglienza. Del resto chi poteva vigilare negli anni passati non ha mosso foglia. È innegabile che dietro l'accoglienza si celi anche lo sfruttamento della forza-lavoro che opera nei centri ma ciò non significa assumere il punto di vista della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Ricordiamo che la Corte dei conti aveva a suo tempo criticato la erogazione delle prestazioni di integrazione sociale anche a favore di chi va verso il diniego del riconoscimento di rifugiato; è in questo modo che la integrazione è stata combattuta con i tagli all'insegnamento della lingua italiana, una condizione essenziale per potere accedere ad un lavoro e affrancarsi così anche dal sistema di accoglienza. Ma non solo si è tagliato deliberatamente l'insegnamento della lingua italiana. Anche innumerevoli servizi socio sanitari come l'assistenza psicologica spesso dirimente per vivere e ambientarsi in una società tanto diversa da quella di provenienza sono stati cancellati.
Alcuni osservatori attenti ci facevano notare le dimensioni del nuovo capitolato, quasi 400 pagine rispetto alle 100 dei capitolati precedenti. Eppure ogni giorno leggiamo di esponenti del Governo che chiedono la semplificazione in materia di appalti o hanno eliminato perfino il sistema di tracciabilità dei rifiuti come richiesto da alcune associazioni datoriali.
Ci piacerebbe che su questi temi il mondo delle cooperative aprisse una seria riflessione, anche rimettendosi in gioco dopo anni di tacita accettazione di normative che hanno progressivamente portato alla situazione attuale. Non è solo un problema economico ma culturale e politico, si vuole ridisegnare il welfare e la spesa pubblica e per farlo si inizia dai migranti, l'anello debole della catena contro cui scatenare la deriva xenofoba e razzista. Poco conta poi che al migrante sia dato un paio di pantaloni per la stagione estiva e per quella invernale, poco conta che un eventuale ricorso alla domanda di asilo comporti tempi lunghi di un anno e mezzo, i soldi a sua disposizione saranno così pochi da non bastare neppure a pagarsi una scheda telefonica per parlare con i familiari o per acquistare un kebab.