“È un onore per un cittadino guidare la propria città., insieme a una squadra di consiglieri e assessori. Certo è una città difficile, ci sono responsabilità che conoscevamo. Con consiglieri e assessori va tutto bene.. tutto bene… tutto bene”. Così la Raggi in TV da Floris. Nella trasmissione “Di martedì”, su La7. Da quelle vetrine over mediatiche escono allo scoperto il volto e la maschera del personaggio Raggi, sindaca della Capitale, da sei mesi e passa.
La pentastellata è personaggio complesso, fornito almeno di due volti. Le sue sembianze nature, tramite le quali appare inesperta, fragile e smarrita. Una novella “Alice nel paese delle meraviglie”, in quel del Campidoglio, in cui serpeggia, inespugnabile, l’oscura ombra della mafia. L’altro volto della sindaca è quello di una maschera carnascialesca cangiante, sulla quale appaiono all’occasione vari tratti identitari, fra cui prevale inequivocabilmente l’espressione della menzogna.
L’incoronata con diadema di stelle deve fingere e non può farlo con il suo vero volto, le serve la maschera. É stata tarata dal suo direttorio (parola che la dice lunga su quella particolare fabbrica delle maschere) sin dall’inizio del suo mandato, sul filo della menzogna, sul quale si sposta con evidenti difficoltà. E la maschera è all’uopo. Le è utilissima per gestire al meglio una situazione macchinosa, inquinata che distruggerebbe in breve anche “l’uomo forte al potere”. E Raggi, potente politicamente non lo è davvero. Di suo. É un amministratore senza poteri. Ci sono poteri e poteri. Quello che gli elettori auspicavano nel nuovo sindaco è un potere che non intende l’idea populista dell’uomo che comanda e che dà effimere sicurezze di ordine. Quello espresso pienamente da Renzi (il rottamatore decisionista) e Trump (il rozzo tycoon) e che rimanda ai tempi più bui della nostra storia.
Un sindaco dovrebbe meramente essere al servizio dei cittadini, decidere e lavorare per ripristinare un welfare quantomeno ai limiti della normalità. In tal caso, il potere a cui mi riferisco è quello che le è stato regalato da una maggioranza esponenziale di elettori romani. Perfino fra i movimenti di lotta sociale, in particolar modo nella Carovana delle periferie e in piccola parte in Decide Roma, da soggettività che raccolgono le forze dal basso è partito un afflato comune riponendo aspettative e fiducia in lei e nel M5s per un cambiamento. Sia pur per ribaltare quello status di degrado sociale in cui versava la città, ai tempi del Pd. Un potere offertole su un vassoio d’argento, da gestire con i guanti bianchi. Un sostegno forte, quello di alcuni movimenti neomunicipali che le avrebbe consentito, priva della maschera, di essere autonoma nelle scelte per il bene comune. Quel potere incentrato sulla fiducia e conseguente credibilità si acquista solo bypassando con determinazione tutte le illegalità su cui, in quella rete di corruttele, l’amministrazione capitolina inciampa ogni giorno.
Virginia, arroccandosi nella torre grillina, tutta presa dagli affari interni alla sua giunta, non ha ancora volto il suo sguardo da gazzella smarrita a quell’inestimabile potere della solidarietà e della fiducia dato dal supporto dei cittadini, preferendo poggiare il capo pentastellato sulla spalla del suo potente creatore e affidarvisi totalmente, come la più devota delle “vergini”. La Raggi è attualmente indagata, ma è “serafica”. Il suo patriarca rassicura “Virginia è serena, le sono vicino”. Così, come a un figliolo che ha incassato una nota scolastica o una delusione amorosa. Eppure, dietro quello scricciolo di donna, vorrei ancora immaginare persona degna di fiducia, se non fosse che vi ha rinunciato, esautorata e spersonalizzata da quel sistema a cui è devota . Come fosse una fede.
A suo carico oggi, oltre le accuse mosse dai pm “falso e abuso d’ufficio”, vi è un altro capo d’accusa che segna indelebilmente la sua credibilità.
É l’aver acconsentito di diventare un prodotto costruito e forgiato nell’atelier grillino e come tale programmato non per agire autonomamente, ma per ubbidire al suo produttore. Immagino anche, presa ormai nello scrivere da vena fantapolitica, che nella fase di costruzione del personaggio, oltre alla maschera, le sia stato applicato un dispositivo che le consente di mantenere un aplomb sconcertante per un umano. Con questo marchingegno la Raggi sindaco espleta la sua funzione pubblica. Nel dispositivo vi sono contenuti centinaia di file. Basta selezionare accuratamente da un browser criptato a cinque stelle, che neanche Julian Assange saprebbe violare, e come dalla tuba del cappellaio magico fuoriescono i link più conformi all’occasione. Link che si traducono istantaneamente in mantra, di cui il sistema comunicativo della sindaca è ben fornito.
Ed è tutta un’apoteosi di mantra ripetuti fino allo sfinimento del giornalista di turno e di qualsiasi suo interlocutore ufficiale. Ed è una rotatoria continua di “Abbiamo esaminato il curriculum di Marra. Era perfetto. Non avevamo motivo di sospettare… abbiamo esaminato il curriculum di Marra, era perfetto… É solo uno dei 23mila dipendenti capitolini, non è il mio braccio destro… è solo uno dei 23mila… chiedo scusa ai cittadini, ho sbagliato... chiedo scusa ai cittadini ho sbagliato… sono pronta a dare ogni chiarimento… sono pronta a dare ogni chiarimento… ho informato mastro Geppetto (alias Beppe Grillo, nda)… ho informato… Sono serena, ho molti fiducia nella magistratura... sono serena ho molta…”. Non è lei che parla, è il dispositivo, in loop permanente.
E così, più aliena che umana, la sindaca riesce a sostenere, coadiuvata ad ogni inciampo dal suo tutor/costruttore, quel padre bonario che l’ha creata, tutto l’establishment corrotto e di carattere altamente sismico che le ruota attorno. Povera Virginia. Povera Roma.