Sabato, 11 marzo 2017.
La manifestazione del movimento “Mai con Salvini”, nata in opposizione al comizio del leader leghista che si è svolto nella Mostra d'Oltremare, è stata rapidamente liquidata dalla stampa nazionale nella solita retorica della guerriglia urbana e della contrapposizione tra pochi facinorosi, militanti dei centri sociali, e onesti rappresentanti delle forze dell'ordine.
In realtà, analizzando gli eventi che hanno preceduto la manifestazione, si possono identificare le incongruenze di questa ricostruzione di comodo dei fatti, e delineare le linee guida necessarie per un'analisi politica degli avvenimenti.
L'occupazione della Mostra d'Oltremare
Venerdì 10 marzo, nel pomeriggio, oltre un centinaio di giovani del movimento “Mai con Salvini” occupa pacificamente i locali della Mostra d'Oltremare. Nella concertazione che segue, si giunge ad un accordo tra gli occupanti, i rappresentanti dell'ordine pubblico e l'Ente che gestisce la Mostra: il convegno di Salvini dovrà trovare un'altra sede.
Qui c'è la prima incongruenza: poche ore dopo la rescissione del contratto, l'intervento diretto del Ministro dell'Interno, Marco Minniti obbliga i gestori della Mostra a fare dietrofront; il convegno si terrà come stabilito precedentemente sabato alle ore 17.00.
Nessuna motivazione d'ordine pubblico, solo una netta prevaricazione del sentimento popolare, incarnato dagli occupanti, giustificata con la necessità di dare libertà di parola al leader leghista, nel rispetto dei principi della democrazia. Un cortocircuito nel quale cade anche la maggior parte della sinistra moderata, che per difendere a spada tratta la libertà d'espressione, finisce per dare agibilità politica ai peggiori esponenti della politica italiana, partendo da Forza Nuova e Casapound, e finendo appunto con Salvini.
Il corteo
Il corteo che si riunisce alle 14 a Piazza Sannazaro, nella sua eterogeneità, è quanto di meglio il movimento sia riuscito a mettere insieme. Centri sociali, sindacati di base, partiti minoritari, associazioni e comitati, migranti e precari riuniti per portare folklore (molto) e contenuti politici (pochi, ad essere onesti) da opporre al populismo impregnato di xenofobia e sessismo di Salvini.
I numeri sono consistenti, per lo meno considerando la fase storica in cui viviamo, le cifre riportate oscillano tra dieci e quindicimila manifestanti, che pacificamente si muovono verso la Mostra d'Oltremare, trasformata per l'occasione in zona rossa, e presidiata da non meno di un migliaio di agenti in assetto antisommossa. Mobilitati per l'occasione anche elicotteri e blindati.
Nell'insieme più che sede di un comizio, la Mostra d'Oltremare sembra una fortezza bizantina.
Repressione e dispersione
Nei circa novanta minuti di scontri, che iniziano negli spazi antistanti la Mostra d'Oltremare, e terminano a chilometri di distanza, c'è riassunta tutta la situazione della politica antagonista italiana.
C'è il tentativo di forzare la zona rossa, per consegnare il “foglio di via popolare” a Salvini, come sintesi della giornata di protesta; tentativo ovviamente fallimentare in partenza, e probabilmente approvato nella teoria, ma non nella prassi, da parte del corteo.
C'è la dialettica tra manifestanti e forze dell'ordine, che si sviluppa nello scambio di lacrimogeni, fumogeni e petardi, anche a ritmi sostenuti, e c'è la ritirata un po' rocambolesca ma tutto sommato ordinata del corteo nella zona autorizzata; fin qua niente di nuovo.
Il meccanismo, tristemente ben oliato da anni di manifestazioni tanto sceniche quanto inutili nei risvolti politici, si rompe verso le 17.30.
Carabinieri e polizia caricano violentemente la coda del corteo: è una scena drammatica.
Migliaia di manifestanti provano a mantenere compatto il corteo, che si sfalda sotto il costante tiro di idranti e lacrimogeni e la brutalità delle forze dell'ordine, che isolano e manganellano diversi militanti bloccati a terra.
L'inesorabilità dell'azione, ben visibile grazie a diversi video dall'alto facilmente reperibili sul web, emerge come il dato purtroppo più interessante della giornata: sommata all'inusuale dispiegamento di forze, mostra una radicalizzazione della risposta istituzionale alle mobilitazioni, che sa tanto di banco di prova per il futuro.
Un'operazione praticamente militare, orchestrata magistralmente per reprimere e disperdere i manifestanti (andando ben oltre la semplice protezione della zona rossa: in realtà il corteo non ha nemmeno sfiorato il comizio di Salvini) che trova poi complementarietà nelle analisi della stampa nazionale, che fornisce una perfetta copertura mediatica (come già detto, la retorica dei black block e della devastazione urbana) all'azione repressiva delle forze dell'ordine, alimentando la distanza tra un movimento che non riesce a rimodernare la prassi politica, e una base sempre più lontana dai contesti di piazza a base di fumogeni, bombe carta, idranti e lacrimogeni.
Difficile fare un bilancio complessivo della giornata, ma si possono almeno riassumere i punti chiave in vista del futuro: la frattura, ulteriormente amplificata, tra sinistra moderata e radicale nei contenuti e nella prassi politica; la gestione della piazza, sempre più complessa anche in virtù di una probabile radicalizzazione della risposta istituzionale; il problema mediatico, probabilmente di peso specifico addirittura maggiore rispetto ai primi due, considerando quanto in fin dei conti sia esiguo il numero di partecipanti ad un corteo come quello di sabato 11 marzo, in rapporto alle milioni di persone che seguono telegiornali o leggono articoli sul web.