Il dirigente assume un ruolo centrale nella scuola dell’autonomia a discapito degli organi collegiali che rischiano invece di essere esautorati. I dirigenti non avvertono però il perverso legame fra maggiori poteri e nuovi oneri non facilmente assolvibili, fra managerialità e dirigismo esercitato in condizioni finanziariamente e strutturalmente sfavorevoli. Infine, un riflessione, sulle donne in carriera, soprattutto nella scuola pubblica, che spesso non riflettono su come gestiscono, al maschile, le loro professioni.
di Renata Puleo 1
Seconda parte, segue da http://www.lacittafutura.it/italia/universita-e-scuola/la-dirigenza-del-terzo-millennio-prima-parte.html
La Dirigenza realizzata?
Se si guarda alla nuova normativa, attraverso quest’ultimo anno di proposte governative, lotte sindacali, prese di posizione e approdo alla Legge 13 luglio 2015 n.107, si può ipotizzare che la dirigenza scolastica abbia avuto il suo compimento di profilo.
Nel testo del settembre 2014 La Buona Scuola, il capitolo 3 parlava già chiaro: l’autonomia (come si è detto parola-chiave per architettare tutto il processo trasformativo della scuola pubblica) prevede risorse, ma soprattutto nuove responsabilità nella scelta della “squadra” (p.63)2 che, in quanto tale, deve essere formata e guidata da un efficiente coach (allenatore, istruttore, mentore), un dirigente a sua volta “selezionato in maniera nuova” (p.64) che sceglie, organizza, dispone. Il tutto collegato ad un sistema nazionale di valutazione che deve costituire una soluzione, ad un tempo, per la selezione, la formazione, la progressione di carriera di docenti e dirigenti (p.65). Anche se nel testo non esplicitamente menzionato, sappiamo come, nel corso dell’anno scolastico 2014/2015, l’INVALSI ha interpretato il mandato, soprattutto mediante la predisposizione del RAV (Rapporto di Autovalutazione). Si tratta, continua il testo di Giannini-Renzi, di mettere nelle mani del dirigente “le leve del governo”, di farne “il timoniere”, il primo organo decisionale, fuori dalle spire di un’inutile “burocrazia” (p. 62 passim).
Il DdL del 27 marzo n. 2994 rinforza il nesso fra autonomia, offerta formativa, squadra-docente, sottolineando la funzione di cardine del dirigente. All’art. 2 il comma 1 recita: “Il dirigente assume il ruolo centrale per la determinazione del fabbisogno e della migliore offerta formativa […] al fine di garantire la gestione immediata ed efficiente delle risorse umane”; il comma 5 prevede che il dirigente presenti “la proposta del piano triennale”; l’art. 7 stabilisce in otto commi le sue competenze: determina, sceglie, attribuisce, nomina, stabilisce la logistica organizzativa, tutte azioni dal forte valore monocratico (un solo uomo al comando!). L’art 11 sancisce che effettui la “valorizzazione del merito del personale docente” mediante l’attribuzione del bonus ai meritevoli (La Buona Scuola utilizzava la singolare definizione di “innovatore naturale”, p. 47).
Come giungono questi presupposti alla legge definitiva? Tutti confermati nell’impianto della legge, come già delineati nel disegno di marzo esaminato nelle commissioni. Si evince dalla lettura dei 212 commi della Legge 13/07/2015 n 107 che l’autonomia resta l’elemento propulsore e l’esito di qualsiasi azione intrapresa dal dirigente. I suoi compiti rimangono sanciti nel comma 78 come assolutamente centrali nell’organizzazione e nella gestione dell’istituzione scolastica diretta, il Piano dell’Offerta Formativa è decisamente verticalizzato nella fase di proposta e nella messa a valore.
Il riferimento agli organi collegiali sembra confermarsi come un accenno solo formale. Organismi passati, nei testi provvisori, preparatori, al setaccio della retorica che vede la collegialità come “sinonimo di immobilismo, di veto, di impossibilità di decidere alcunché” (La Buona Scuola, p. 71), non intaccano la centralità e “l’immediatezza” dell’azione del dirigente. La “gestione immediata” per garantirsi l’efficienza nell’uso delle “risorse umane” deve essere –fuor di metafora - priva di mediazione. Gli organi collegiali di cui conosciamo l’importanza nel passato, malgrado l’indebolimento subito di recente, andranno ancora soggetti ad altri mutamenti. Il Collegio Docenti, nel comma 14 b4 che corregge il decreto 275/1999, viene marginalizzato nella funzione di sede di elaborazione del POF (Piano dell’Offerta Formativa), mentre si enfatizza la base di indirizzo amministrativo, economico, educativo definita dal dirigente. Infatti, il dirigente, “di concerto con gli organi collegiali”, individua percorsi formativi, modalità di valorizzazione dei talenti (c. 29, p. 4), può decidere qual è il numero di alunni per classe funzionale al buon andamento, detta le azioni per l’organizzazione del lavoro che debordano invadendo il campo stesso dell’educativo e del didattico (c. 84, p.10). Soprattutto trova conferma la cosiddetta assunzione diretta legata al potenziamento del POF, appena mitigata dal richiamo al divieto dell’ottica familistica (cc. 80, 81, p.10)
I commi dall’80 al 92 (pp. 10-11) puntualizzano i termini dell’esercizio della funzione dirigenziale come datore di lavoro, non solo per quanto concerne l’organico dell’autonomia, il suo potenziamento, dunque la vera e propria assunzione di personale, ma anche come decisore ultimo rispetto allo svolgimento della carriera dei docenti. Come succede nel privato ad un Amministratore Delegato, o a un Direttore del Personale, il lavoro di controllo sui dipendenti produrrà beneficio o danno alla progressione della sua stessa carriera. I termini della verifica dell’operato del dirigente sono contenuti nel comma 92 che conferma la vigenza del DPR 28/03/2013 n. 80, il Regolamento sulle misure nazionali di valutazione ai vari livelli. Fatto salvo il Regolamento n. 80 (malgrado risulti pendente l’impugnativa della FLC-CGIL per vizio costituzionale) anche le funzioni di “supporto” a cura dell’INVALSI sono confermate al comma 144 (p. 17). Nella permanente confusione fra “chi valuta chi” troviamo vari livelli: la valutazione degli apprendimenti come misura del valore aggiunto da parte dei docenti; la valutazione di merito direttamente operata dal dirigente sugli insegnanti; la controversa modalità dell’autovalutazione.
Non mi addentro oltre nel fitto e disorganico testo del “maxiemendamento”3, mi limito a segnalare che le aspettative, più su commentate, delle associazioni professionali dei dirigenti, dei consessi confindustriali, sembrano soddisfatte, checché ne pensi il Nuzzaci di cui su. Il potere non deve circolare, esso deve addensarsi su un unico polo. L’assurda manovra per le assunzioni in atto, la frammentazione della carriera dei docenti, l’instabilità lavorativa che sta al posto, e in realtà fa il paio, con il preteso “svuotamento e azzeramento” del precariato, come recitava La Buona Scuola in una delle sue più enfatiche pagine (p. 12 passim), rende ancora più pericoloso questo accentramento. Gli stessi dirigenti dovrebbero avvertire il doppio vincolo, il perverso legame fra maggiori poteri e nuovi oneri non facilmente assolvibili, fra managerialità e dirigismo esercitato in condizioni finanziariamente e strutturalmente sfavorevoli, facilmente sottoposto al ricatto e alla minaccia degli organi superiori.
In ultimo: quote rosa e potere, spunti per una riflessione
I dati del MIUR relativi al numero di posti disponibili per incarichi conferibili a tempo indeterminato (comunque pro-tempore, triennale, come specifica il contratto individuale) ai dirigenti scolastici si assesta abbastanza stabilmente, da qualche anno, intorno alla cifra di 8000 unità. Gli istituti sono in numero maggiore ma, per ragioni di dimensioni, non tutti sono attribuibili e dunque sono destinati a incarichi di reggenza4.
In un rapporto del Ministero relativo all’anno scolastico 1998/99 sul fenomeno della “femminilizzazione della scuola italiana” si poteva leggere che, mentre il numero di docenti-donne era complessivamente, sommati i dati dei diversi gradi scolastici, l’80% del totale, “le” dirigenti si attestavano al 37%.
Il 20 marzo 2015 il sito del quotidiano La Repubblica, Repubblica.it, in attesa che si definisse il tormentato percorso de La Buona Scuola, tentava una fotografia del dirigente scolastico in ragione dei nuovi compiti che il testo gli attribuisce. Nell’anno 2013/14, l’età media risultava fra le più alte d’Europa, 57 anni, il 55% dei posti occupati da donne, e ultimo, ma non ultimo, solo l’8% sembrava insoddisfatto o pentito per la scelta di carriera effettuata. Dunque il “tetto di cristallo”, come viene definito dai sociologi l’impedimento per le donne a raggiungere le carriere dirigenziali, sembra anche nella scuola infranto.
Mi preme ricordare questi dati perché il gioco delle “quote rosa”, squallido espediente per occultare la discriminazione culturale, ci ha fornito alcune pessime ministre (soprattutto nell’istruzione!), spregiudicate dirigenti di azienda e di organizzazioni politico-sindacali. Il fenomeno si ripropone a livello mondiale, ed è stupefacente la dose di ingenuità delle valutazioni che esso suscita, dopo quarant’anni di femminismo. In questi giorni molti commentatori della vicenda greca hanno fatto notare che la conduzione politica delle trattative vedeva la presenza di due donne - la Merkel e la Lagarde - assai poco dotate di caratteristiche “femminili”: la capacità di ascolto e di cura delle relazioni, l’attenzione materna ai bisogni, estensione del destino biologico. Insomma, come se fosse lecito aspettarsi un loro atteggiamento più morbido verso le difficoltà del popolo greco rispetto a quello del cinico Schäuble, ministro tedesco delle finanze.
Considerato che il tema del potere è terribilmente complesso per un breve commento, mi limito a qualche sommaria considerazione. I movimenti delle donne – chiusa la fase di lotta per la sola emancipazione politica (di fatto fino al diritto di voto dal 1948 in Italia, arrivando alle conquiste legislative degli anni ’70) - sono passati nel secolo scorso attraverso varie forme di definizione del potere e dei suoi luoghi, definizioni utili a individuarlo, stanarlo, abbatterne i simulacri, operare occupazioni simboliche e pratiche dei suoi centri di emanazione.
L’emancipazione è stata una condizione di liberazione ma, in chiave logica e temporale, la liberazione dai ruoli, oltre un semplice riconoscimento giuridico, sembrava aver guadagnato il campo. Nel 1996, la rivista della Libreria delle Donne di Milano, annunciò la fine del Patriarcato. Fine: fine della millenaria storia della sopraffazione maschile, fine della sua simbologia, fine anche delle rappresentazioni del potere tributarie della filosofia maschile.
Ma oggi, nel secondo decennio del XXI secolo, quale esito è visibile nella quotidianità delle relazioni fra uomini e donne e fra le donne medesime? Oltre-oceano da qualche tempo si è aperto un dibattito su questi aspetti, nello specifico sull’esercizio di professioni che implicano comando e supremazia, e sul modo con cui tali professioni finiscono per condizionare tutte le relazioni. Nel posto di lavoro, ma anche in famiglia, nella coppia, nei rapporti amicali. Judith Butler, filosofa statunitense, crede che le donne siano tuttora intrappolate nei “performativi di genere” che le inchiodano a rappresentazioni fittizie di sé, nei ruoli professionali e in famiglia. Nancy Frazer, teorica del femminismo, è convinta che il femminismo abbia tradito le aspettative di donne e uomini proprio in relazione ad un diverso statuto dei rapporti di potere e abbia finito per corteggiare spudoratamente la managerialità neoliberista. Come dar torto ad entrambe?
Dal mio piccolo osservatorio io conosco la profonda frustrazione di molte dirigenti, addirittura la loro paura in questa fase di riforma del ruolo, che smentirebbe quel risicato 8% di insoddisfatti/e. Ma devo constatare anche un pericoloso bisogno di rivincita da parte di molte dirigenti scolastiche proprio sul “corpo” docente, su quello femminile e su quello maschile, finalmente subalterno. Del resto, anche da un osservatorio più ampio le peggiori nefandezze denunciate dai docenti ai loro danni sono siglate da una mano femminile. Molto comune è la struttura relazionale a doppio vincolo: atteggiamenti di benevolo maternage, alternati a decisionismo mascolino, rompono ogni forma di corretta interpretazione dei diritti dei lavoratori e soffocano, nella lotta che i soggetti intraprendono per ottenerne la soddisfazione, ogni forma di cooperazione.
Faccio un solo esempio perché funzionale a questa breve riflessione. Una dirigente di un istituto di Reggio Emilia censura un passaggio del POF sulla differenza di genere, il cui rispetto veniva concepito come competenza da educare, non mediante specifici e inutili progetti, ma come abito culturale nei rapporti all’interno della scuola, soprattutto come modello adulto. La dirigente, operato il taglio, si giustifica con le redattrici del testo chiamando in causa un altro gruppetto di prudenti censori…tutte donne!
Mentre ci permettiamo di discutere su scontri di civiltà, su migranti con il velo e sulle loro fedi religiose, abbiamo paura di risultare antiquate, inutilmente pignole, se parliamo del potere esercitato da donne. Oppure, plaudiamo a quei gruppi di donne in carriera, di recente e labile costituzione, che si indignano per le forme “alte” di prostituzione (le escort, per intenderci),e non riflettono su come gestiscono, al maschile, le loro professioni 5
C’è un enorme inganno, un fraintendimento della memoria: le conquiste legislative, i cambiamenti culturali si sono ottenuti con l’elaborazione teorica e la prassi, con la lotta. Nulla è dato una volta per sempre, le ambivalenze si celano sotto la veste di una ipocrita uguaglianza delle opportunità.
Oggi, più che nel passato, la scuola è attraversata dal fiume carsico di questi temi, perché un dicastero al femminile è in realtà diretto da uomini i cui scrupoli verso la scuola si fermano sulla soglia del valore economico dell’istruzione. Perché quel quasi 60% di donne dirigenti non pare destinato a modificare una pessima riforma, né tantomeno sembra in grado di valutare criticamente il retroterra culturale e l’impatto sul futuro di un Paese della manovra governativa..
Note
1 Maestra elementare dal 1971 al 1981; Direttrice Didattica fino al1998, anno in cui diventa Dirigente.
2 Nell’individuare i numeri di pagina dei testi governativi faccio riferimento alle versioni ufficiali scaricabili dal sito del MIUR .
3 In Spagna, paese governato dalla destra conservatrice e neoliberista, la Ley Orgánica per l’Istruzione Pubblica attualmente in vigore, si configura come un testo unitario, molto chiaro su tutto l’impianto; ogni livello, dalla scuola per l’infanzia(0-6 anni) agli studi superiori (obbligo fino a 16 anni ), è descritto con precisione.
4 Sul sito dell’ANP (Associazione Nazionale Presidi e Alta Professionalità della Scuola,attualmente affiliata alla internazionale ESHA, European School Heads Association) trovo i dati del 2012/13 che registrano: 8003 posti ordinari, 14 di lingua slovena, 128 per gli ex Centri Territoriali per l’Istruzione Adulta, ora CPIA non ancora completamente attivi su tutto il territorio nazionale. Del totale dei posti 1118 sono destinati a reggenza.
5 Un riferimento va al manifesto “Se Non Ora Quando”, lanciato dalla giornalista Concita De Gregorio nel febbraio 2011, centrato sulla lotta per una rinnovata identità femminile (per tutte le donne, dice il testo, di destra, di sinistra, ricche, povere!) contro la mercificazione, soprattutto berlusconiana. Ne è seguita un’affilata risposta della filosofa Luisa Muraro che richiama a non fare demagogia sulle spalle delle donne mercificate, come se davvero si trattasse di povere merci.