Javier Milei, leader del partito ultraliberista chiamato “La libertà avanza”, è il nuovo presidente dell’Argentina, eletto al secondo turno con il 55 per cento dei voti contro il candidato peronista Massa che, alla testa del partito Unione per la Patria, ha raccolto poco più del 44 per cento. Un successo non schiacciante come si ipotizzava in un primo momento dopo che, in seguito ai risultati del primo turno, il terzo partito più votato “Insieme per il cambiamento”, organizzazione che esprime gli interessi dei settori più strettamente imparentanti con il capitale monopolistico, ha dichiarato il suo appoggio al candidato Milei. Queste elezioni Argentine meritano degli approfondimenti sia per le caratteristiche specifiche di Paese sia perché, in generale, tutte le elezioni di Paesi così grandi e importanti ci mostrano gli avanzamenti nei rapporti di forza tra le classi e il grado di sviluppo delle politiche reazionarie connesse alla fase imperialistica.
Il punto di partenza delle nostre analisi non può che essere l’imperialismo. Su questa importante teoria dovremo sicuramente ritornare, visto anche il dibattito che si è aperto nel movimento comunista internazionale dopo la guerra in Ucraina; ma su un punto penso che si possa trovare una larga convergenza e cioè che la politica dell’imperialismo è una politica reazionaria. Che vi sia un ristretto pugno di Paesi imperialisti, capeggiati dagli USA, che lotta contro il resto del mondo o che lo scenario sia quello più articolato di una piramide imperialista costituita da diversi Paesi anche di diversa gradazione di potenza ma tuttavia inserite attivamente nel sistema dell’imperialismo, una cosa è certa: nella sua fase suprema monopolista il capitale tende a spazzare via ogni residuo di democrazia liberale. Questo non significa, schematicamente, che esso ricorre necessariamente al fascismo ma, certamente, si può dire che approfitta di tutte le occasioni in cui la debolezza delle masse nella lotta per la difesa della democrazia apre dei varchi per l’avanzata reazionaria.
Non è apparso vero, dunque, al capitale finanziario che ha i suoi interessi in Argentina che un candidato potesse raccogliere l’adesione di una fetta consistente delle masse su un programma così apertamente ultraliberista. E da questo punto di vista non è uno “scandalo” che Macrì, leader di Insieme per il cambiamento, abbia scelto di appoggiare Milei al ballottaggio.
Gli interessi del capitale monopolistico in Argentina sono tanti e l’idea di nuove e temerarie scorribande nella pampa fa letteralmente gola ai gruppi finanziari internazionali che puntano a soppiantare definitivamente l’ormai decadente sistema oligarchico basato sulla rendita fondiaria, sostituendolo con la giungla deregolamentata del sistema neo-liberale la cui base è la produzione su schema toyotista, vale a dire fortissima pressione sui lavoratori, nel quadro delle catene del valore fuse sempre più in poche mani, che per molti tratti tende a ricreare forme di sfruttamento schiavistico. Insomma un popolo già stremato da tremendi processi inflattivi si trova ad essere governato da un gruppo che ha apertamente dichiarato di voler spianare la strada al capitale finanziario e tutti i suoi terribili di corollari di super sfruttamento umano e ambientale, e per farlo ha necessità di demolire i pilastri portanti dello Stato liberale.
Come si è arrivati a tutto questo e cioè alla situazione che le masse decidano di farsi governare da gruppi dirigenti i cui interessi sono diametralmente opposti ai loro? Ricordiamo infatti che nel programma di governo del partito del “loco”, così è stato soprannominato il neo presidente eletto argentino, vi sono punti come la chiusura della banca centrale con la dollarizzazione del paese, la drastica privatizzazione della sanità e dell’istruzione, la lotta contro i sindacati e tante altre cosette condite da una buona dose di anti-comunismo.
Intanto dobbiamo sottolineare che il neopresidente non ha la maggioranza in parlamento e, anche se molto preoccupante, questa vittoria non è schiacciante, infatti sia sul piano politico che a livello della società civile nei cosiddetti corpi intermedi (come il sindacato) non appare così forte l’egemonia di questo losco figuro. Tutto ciò fa pensare che le masse argentine abbiano gli anticorpi per respingere l’attuale attacco del capitale finanziario che certamente godrà dell’appoggio dell’imperialismo nordamericano, specie dei settori più reazionari come quello legato all’ex presidente Trump. Tuttavia permangono una serie di problemi da risolvere affinché tali anticorpi possano effettivamente attivarsi e cioè, fuori di metafora, crearsi le condizioni necessarie alle classi oppresse perché inizino a lottare organicamente contro l’imperialismo. Il primo e principale problema è costituito dall’aristocrazia proletaria e cioè quello strato-cuscinetto che si frappone tra gli interessi delle masse e quelli della borghesia, fatto di ceti intermedi - capi sindacali, capi di partiti sedicenti di sinistra - continuamente foraggiati dall’imperialismo e che costituisce il freno principale allo sviluppo di tendenze che si oppongono da sinistra all’imperialismo. La tendenza costante di questo strato a tradire le istanze popolari rappresenta il terreno di coltura per il populismo di destra che porta alla nascita di personaggi che paurosamente si diffondono sempre di più e che sempre più apertamente conquistano il consenso dei subalterni con programmi schiettamente reazionari. L’altro aspetto molto preoccupante è che sempre più spesso avvengono fenomeni di saldatura tra la piccola borghesia e la grande borghesia reazionaria e sappiamo bene che questi fenomeni conducono a situazioni ancor più apertamente reazionarie. Tali saldature sono il risultato anche di una debolezza delle forze di avanguardia del proletariato che, troppo divise, non riescono ad esercitare una reale direzione delle masse e dunque neanche una decisiva politica delle alleanze.