In Australia il 14 ottobre il Referendum deciso il 30 agosto sulla costituzione di un organo consultivo in Costituzione per riconoscere gli aborigeni è stato vinto dai No con 8.287.581, il 60,59% dei voti mentre il Sì ha ricevuto 5.390.891, il 39,41%. I votanti sono stati 13.824.381 a fronte degli elettori aventi diritto che erano 17.676.347.
Se avesse vinto il Sì, la comunità indigena avrebbe avuto una rappresentanza in Parlamento con un istituto costituzionale che in campagna elettorale è stato denominato Voce, con la possibilità di poter esprimere pareri non vincolanti sulle leggi che la riguardavano. Il Sì è stato sostenuto dai laburisti, dai verdi, e alcuni liberali, David Pocock e Jacqui Lambie che hanno sostenuto il disegno di legge per celebrare il referendum. Affinché in Australia un referendum sia valido è necessaria una doppia maggioranza, cioè oltre il 50% degli elettori in tutto il Paese (17 milioni in totale) e almeno il 50% nella maggioranza degli Stati (almeno quattro su sei).
Anche se sono già stati approvati diversi provvedimenti negli ultimi anni gli abitanti delle isole dello stretto di Torres hanno un’aspettativa di vita di circa dieci anni inferiore al resto della popolazione, per via di un elevato tasso di suicidi e di diffusione di malattie, nonché un basso livello di istruzione con un precario accesso ai servizi sanitari.
L’Australia ha una forma istituzionale di Monarchia parlamentare, il capo dello stato è il Re d'Australia Carlo III che è anche il Re del Regno Unito ed è rappresentato in Australia da un governatore generale, David Hurley, dal 1 luglio 2019. Il Primo Ministro è Anthony Albanese che è stato eletto il 23 maggio 2022, e dal 30 maggio 2019 è stato il leader del Partito Laburista Australiano. È grazie al governo Laburista se si è svolto questo referendum.
Il riconoscimento costituzionale delle popolazioni indigene era sostenuto da una larga maggioranza e quest’organo consultivo, denominato Aboriginal and Torres Strait Islander Voice (Voce aborigena e isolana dello Stretto di Torres) era stato proposto dalla dichiarazione di Uluru del 2017 con la quale i leader delle diverse comunità indigene avevano tracciato un possibile percorso di riconciliazione con gli australiani di altre etnie. Il tema era stato molto dibattuto negli ultimi mesi, ma purtroppo ha perso consensi.
Il governo laburista di Anthony Albanese aveva considerato il referendum importante per il suo programma di governo, ma dopo che il risultato è stato reso noto ha assunto una posizione più distaccata, dicendo che, sebbene il risultato non corrisponda a ciò che sperava, rispetterà l’esito del referendum.
Vinnie Molina, Presidente del Comunist Party of Australia (Guardian n. 2075 del 23 ottobre 2023 p.2), ha dichiarato l’impegno dei comunisti australiani per gli aborigeni. Ecco l’articolo, tradotto in italiano:
«Sconfitta referendaria, una “giornata triste” di Vinnie Molina
Sì, l’attivista Thomas Mayo ha detto che la sconfitta del referendum ha segnato un “giorno spiacevole”.
L’Australia ha votato per lo status quo fatto di espropriazione, disuguaglianza, mancanza di riconoscimento e rafforzamento del colonialismo.
È davvero un giorno triste. Sfortunatamente, i risultati mostrano il tipo di società in cui vivono gli australiani. Una campagna di paura e disinformazione, altamente emotiva ed efficace, portata avanti dalla campagna del No, ha vinto.
Il Partito Comunista d’Australia, nell’ambito della campagna del SI per una Voce al Parlamento, si è battuto al referendum dal luglio 2023 fino all’ultimo minuto per il voto al Sì.
Coloro che hanno sostenuto il Sì sono veri sostenitori degli aborigeni e degli isolani dello Stretto di Torres. Sfortunatamente, ciò dimostra che il vero motivo per cui il divario continua a essere una vergogna nazionale è la mancanza di volontà politica, politiche o compassione per affrontarlo.
Come affermato nel materiale del CPA Voice se il voto NO avesse avuto successo:
- Tutti i progressi si fermano in vista di un trattato nazionale, nessun incentivo per ulteriori progressi sui diritti degli indigeni e sulla verità.
- Le forze conservatrici vedranno un voto No come una vittoria e saranno incoraggiate a promuovere i propri obiettivi contro la classe operaia e i Primi Popoli dell'Australia.
- Il Partito Laburista non avrà voglia di indire nuovamente un referendum almeno per i prossimi due mandati, se li otterranno, e la Coalizione non farà nulla (o peggio) nonostante le offerte opportunistiche fatte dal leader dell'opposizione Peter Dutton.
- Anche se la Dichiarazione di Uluru è stata ferita nel profondo, gli indigeni australiani continueranno la lotta. La spinta a dire la verità e a un trattato sarà la via da seguire.
Il referendum sulla voce al Parlamento per gli indigeni australiani è stata un'opportunità per gli australiani di dichiarare la loro opposizione all'eredità continua del colonialismo e agli atti di genocidio. Un voto vincente avrebbe potuto aprire lo spazio per un cambiamento progressista in Australia e dichiarare sostegno al riconoscimento e al miglioramento della posizione dei Primi Popoli in Australia.
Speriamo che la vittoria del “No” non crei ulteriormente polarizzazioni e divisioni. Nel comunicato abbiamo sentito, in modo particolarmente evidente nel NT, che la popolazione indigena ha votato Sì. Sfortunatamente, la popolazione australiana ha deluso i Primi Popoli.
Nel CPA continueremo ad accettare l'invito a camminare con i Primi Popoli e cercheremo alternative per realizzare la dichiarazione di Uluru dal cuore.
Continueremo inoltre a lavorare per i diritti fondiari come mezzo per garantire il futuro degli indigeni australiani.
Il CPA chiede l'unità di tutti coloro che sono stati impegnati nella campagna referendaria negli ultimi mesi. Quelli di noi che hanno votato Sì per una Voce al Parlamento per gli indigeni australiani dovranno lavorare di più per garantire giustizia e un futuro migliore per tutti. In questo senso la verità e il trattato sono essenziali nella lotta per i diritti fondiari e l’uguaglianza per gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres.
Siamo orgogliosi che il CPA abbia mobilitato le sue modeste risorse per il riconoscimento delle popolazioni aborigene e delle isole dello Stretto di Torres e per una Voce consacrata al Parlamento.
Nella sua campagna il CPA ha giustamente individuato la necessità di continuare la lotta indipendentemente dall’esito del referendum.
Il Partito Comunista d’Australia continuerà a lavorare a fianco dei Primi Popoli australiani per la giustizia e per colmare il divario nell’unità tra le popolazioni non indigene e indigene per costruire una società più giusta per tutti».
Gli aborigeni sono circa 700mila e rappresentano il 3% della popolazione australiana, quelli a cui più propriamente si riferiva il quesito referendario sono i discendenti dei primi abitanti dell’Australia arrivati in Oceania oltre 50mila anni fa e appartengono a molte popolazioni diverse per lingua e cultura. In Australia il termine indigeni indica gli aborigeni australiani, abitanti delle isole dello stretto di Torres, in figura si vede l’area in generale. È un arcipelago a Nord dell’Australia abitato da gruppi che sono culturalmente distinti dalle popolazioni aborigene del continente, e a cui di solito ci si riferisce separatamente.
Con la colonizzazione europea del 1788 il controllo su gran parte delle terre che occupavano gli aborigeni fu perso in quanto alcune comunità indigene subirono violenze, fra le quali l’allontanamento forzato di migliaia di bambini dalle loro famiglie per essere affidati a istituzioni statali o ecclesiastiche. Tra l’inizio del Novecento e gli anni Settanta vari governi hanno provato a migliorare le condizioni di vita delle famiglie indigene e dei single ma nonostante i numerosi provvedimenti, e anche sussidi, oggi vivono in povertà con i sussidi statali. Inoltre gli episodi di razzismo e discriminazione sono frequenti. Per queste ragioni molti attivisti politici sostengono che i provvedimenti dello Stato sono stati finora essenzialmente simbolici e che non sono state prese misure necessarie per assicurare un miglioramento della qualità della vita.
Non c’è volontà politica per affrontare questi problemi, al riguardo il leader dell’opposizione Peter Dutton, capo del Partito Liberale dell’Australia, che ha guidato la campagna del No, ha commentato l’esito del voto dicendo: “La cosa che importa adesso è che questo risultato non ci divida come popolo. Ciò che importa è che accettiamo tutti il risultato nello spirito che anima la nostra democrazia”. Ok. Quale democrazia? Appare strano che il capo del Partito Liberale dell’Australia non abbia compreso che non è in programma, e non lo sarà in futuro, una divisione del popolo semplicemente perché il popolo australiano di fatto è già diviso e da sempre, purtroppo.
Il Sì al Referendum non dava obblighi agli aborigeni di decidere leggi e quant’altro, ma solo di presentare a livello costituzionale dei pareri. Chi ha osteggiato il Sì lo ha fatto per altre motivazioni come la paura che la riforma enfatizzasse le distinzioni razziali, che sono una realtà. Si è affermata la sfiducia verso un ulteriore organo del governo federale con possibili proposte di istituire organi locali e non soltanto uno nella capitale per un intervento istituito per legge e non con un referendum costituzionale. Ciò poteva essere in futuro modificato più facilmente qualora si fosse rivelato non funzionale.
Purtroppo, anche tra le comunità indigene ci sono state posizioni a favore del No. Vedremo se il governo laburista a questa sconfitta elettorale risponderà in maniera politica, e nel tempo s’intende, e non con la rassegnazione, che significherà il non promuovere nuovi provvedimenti sul welfare che daranno risposte ai problemi degli aborigeni.
Un Referendum, peraltro consultivo, al di là dei risultati non dovrebbe mai bloccare o annullare azioni di governo e del parlamento per un nuovo equilibrio socioeconomico-culturale per tutti i cittadini. Le comunità aborigene hanno uno status sociale sbilanciato, molto sbilanciato, rispetto alle medie dei sei stati federati dell’Australia quali l’Australia Meridionale, l’Australia Occidentale, Il Nuovo Galles del Sud, la Queensland, la Tasmania, e la Victoria.
Gli stati facenti parte del Commonwealth dell’Australia hanno certo caratteristiche culturali diverse ma una grossa parte della popolazione nativa è integrata. Questo è un valore che va rilanciato continuamente, ed è un elemento, insieme, politico e sociale. Le distanze, che pur ci sono, con un rilancio di una dialettica politica si possono ridurre, anche se l’Australia è un paese capitalistico per eccellenza. È chiaro che il dialogo dovrà vedere il partito laburista come un protagonista primario, anche se forse al momento ha problemi al suo interno per avviare nuovi processi politici per favorire gli aborigeni. Vedremo.