La destabilizzazione dell’Unione Europea, le prossime elezioni presidenziali negli USA e la recrudescenza della “guerra al terrorismo”, rappresentano solamente alcuni dei fattori di allarme che devono risospingere i comunisti a riavviare una nuova e ampia mobilitazione internazionalista contro la guerra e contro la NATO.
di Bruno Steri
Di questi tempi, i commentatori più avveduti non mancano di esprimere viva preoccupazione per l’evolvere del contesto internazionale: il destino dei singoli Paesi, la credibilità dei loro governi ma anche delle opposizioni interne, appaiono sempre più connessi a vicende generali che sembrano giungere al loro epilogo. Ciò vale massimamente per l’Europa, dove la vicenda greca - al di là dell’esito che ricade specificamente sul Paese ellenico - evidenzia un’incertezza più complessiva concernente la tenuta della compagine Ue in quanto tale. I nodi stanno venendo rapidamente al pettine. Ma a rendere ancor più problematico il quadro e a far salire la tensione delle opinioni pubbliche continentali contribuiscono i ripetuti e raccapriccianti episodi terroristici che stanno insanguinando le moschee del Medio Oriente così come le spiagge turistiche del Mediterraneo. Sull’onda dell’emozione, torna così a farsi largo la prospettiva di una “guerra al terrorismo” da parte del “civile” Occidente: in qualche editoriale c’è perfino chi sciaguratamente rievoca le imprese di Bush figlio.
Tre fattori rendono poco rassicurante la situazione odierna. Primo. Manca poco più di un anno alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti (novembre 2016) ed il percorso di avvicinamento a tale scadenza non lascia intravedere nulla di buono: il dibattito già in corso nel più potente Paese capitalistico e gli umori prevalenti nella sua opinione pubblica prefigurano un’ulteriore involuzione politica. Basti pensare alla possibile staffetta che sul versante democratico sembra imporre la signora Clinton al posto dell’uscente Barack Obama e, sul fronte repubblicano, alla possibile candidatura di Jeb Bush, fratello di George W. (come dire, un nome un programma).
Secondo. La stessa destabilizzazione dell’Unione Europea, peraltro iscritta sin dalla nascita nel suo impianto liberista e antipopolare, è destinata ad aggravare la prospettiva globale: il progressivo indebolimento di uno dei maggiori competitor nel quadro delle relazioni interimperialistiche potrebbe lasciare un campo più libero al settore più oltranzista dell’establishment statunitense (non dimentichiamo ad esempio che il patto di Minsk, che ha inteso frenare una pericolosissima deriva bellica nel cuore dell’Europa stabilendo una pur fragile e provvisoria tregua, ha visto protagonisti Merkel e Hollande insieme a Putin, in assenza - sembrerebbe all’insaputa - del presidente Usa).
Terzo ed ultimo ( ma non per importanza), la sostanziale irrilevanza oggi di un movimento contro la guerra.
In tale contesto, la grancassa mediatica si prepara a farci scegliere tra due opzioni irricevibili: lasciare che i tagliagole continuino a imperversare sui territori di tre continenti; oppure rompere gli indugi e intervenire militarmente (a 360 gradi e a cominciare dalla Libia) con una rinnovata - e motivata - “guerra al terrorismo”. Ciò che in una tale alternativa astutamente viene a scomparire è il fatto che coloro che dovrebbero intervenire contro il Califfato nero (la coalizione Nato a egemonia Usa e loro alleati mediorientali) sono gli stessi che in questi anni hanno creato e foraggiato il radicalismo sunnita in funzione anti-Iran e anti-Siria, dopo aver desertificato in rapida successione Iraq, Afghanistan e Libia (con relativo sterminio di centinaia di migliaia di vittime civili). Non a caso: la vera partita ha riguardato infatti il controllo delle fonti energetiche ed oggi concerne la destabilizzazione di quanti preferiscono guardare a Russia e Cina, cioè ai due Paesi che insidiano da vicino la supremazia globale Usa.
Benchè sottaciute dai mezzi di informazione, così stanno le cose.
Per questo è urgente demistificare la suddetta alternativa e provare a far tornare sulla scena della politica un movimento contro la guerra e contro la Nato. Questa deve essere l’opzione dei comunisti, della sinistra, dei democratici.
Nel nostro Paese c’è chi è già impegnato in tale difficile ma ineludibile compito: ad esempio il ComitatoNoNato, che da qualche mese è presente nelle nostre piazze dove sta raccogliendo migliaia di firme per sottrarre l’Italia all’escalation bellica (adesioni a: ) e riconsegnarla al dettato della sua Costituzione. Sosteniamolo, aggiungiamo nuove iniziative e moltiplichiamo gli sforzi. Contro la guerra e contro la Nato.