Nuovi scenari e nuove sfide si aprono per la sinistra di classe in Italia alla luce delle recenti elezioni in Francia, Argentina e Venezuela. È necessario comprendere i limiti e gli errori, anche inconsapevoli, che hanno portato le sinistre di queste nazioni a delle sconfitte che avranno conseguenze nefaste sui loro paesi e più in generale sugli equilibri internazionali. La tragedia ha senso solo se si conclude con la catarsi, ossia con la capacità del pubblico, attraverso la compassione e il terrore dinanzi alla sconfitta dei personaggi in cui si impersona, di non ripeterne gli errori superandone i limiti.
di Renato Caputo
I risultati dei ballottaggi delle regionali francesi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, la destra radicale del Fronte nazionale non è riuscita a conquistare nessuna regione trovandosi dinanzi dove era più forte un fronte delle altre principali forze politiche in nome dei valori della Repubblica. La rotta della “sinistra” di governo è stata inoltre arginata in cinque macroregioni dalla ricostruzione dell’unità delle “sinistre”. In tal modo i valori repubblicani appaiono salvi, l’incubo che pareva mettere in discussione lo stesso processo di unificazione europea sembra esorcizzato. Così già prima dei ballottaggi anche in Italia si sono levate le voci dei sindaci eletti grazie all’unità delle “sinistre” che auspicano, per evitare il grave errore di una separazione fra “sinistra radicale” e “sinistra moderata”, che favorirebbe i populisti di destra, un’alleanza elettorale con il Pd. Tale soluzione è stata al momento scartata dai principali esponenti di “Sinistra italiana”, in quanto resa impraticabile dalla volontà di Renzi di rompere i ponti alla sua sinistra, per costruire con forze di destra il Partito della nazione. Ciò non toglie che, a loro avviso, quandunque e ovunque prevalga invece lo spirito del centro-sinistra sia necessario sfruttare l’occasione per rilanciare la prospettiva ulivista. A tale scopo vi sarebbe bisogno di costruire una “sinistra di governo”, che favorisca la ricostruzione dell’alleanza con la sinistra moderata e il centro democratico per sconfiggere anche in Italia i populismi. Tanto più che la sinistra massimalista, che pretendeva di governare da sola, senza legarsi alle forze dell’internazionale socialista, è stata sconfitta anche in Venezuela, o ha dovuto abbandonare come in Grecia le sue velleità radicali e rientrare nelle compatibilità dei trattati europei, divenendo una “sinistra di governo” in grado di governare la crisi alleggerendosi del peso ideologico della “sinistra settaria e minoritaria”.
Tale concezione dimentica però degli aspetti piuttosto significativi della realtà nella sua contraddittoria complessità: in Francia la destra radicale si consolida come prima forza politica del paese aumentando ulteriormente il suo già impressionante bacino di voti. Tanto più che molti dei suoi consensi vengono da regioni che una volta erano bastioni non solo della sinistra, ma della sinistra radicale. Peggio i neo o post-fascisti francesi sembrano avere la maggioranza relativa anche fra le classi subalterne che si recano ancora a votare e fra le giovani generazioni. In secondo luogo in diversi casi i candidati della destra repubblicana, appoggiati anche dai socialisti, che hanno perciò dovuto rinunciare a ogni forma di rappresentanza in regioni che precedentemente governavano, hanno sfidato il Fronte nazionale sul suo terreno, accentuando le proprie posizioni reazionarie e xenofobe. Così in alcune macroregioni – visto che per dirottare più risorse ai privati e ridurre gli spazi di democrazia, le regioni sono state accorpate a gruppi di tre – vi sarà un governo di destra ultraconservatrice con all’opposizione la sola destra radicale e populista. Tutto ciò in nome della difesa dei valori repubblicani, dimenticando che nella loro forma attuale essi sono il prodotto di un colpo di Stato istituzionale ordito dalla destra imperialista francese che ha imposto una Quinta Repubblica sul modello presidenzialista degli Stati Uniti, in cui l’assemblea legislativa è depotenziata e gran parte dei poteri sono nelle mani dell’esecutivo.
Anche la salvaguardia di governi socialisti in cinque macroregioni, ossia in meno della metà di quelle precedentemente controllate, è stata realizzata sacrificando la credibilità dell’opposizione di sinistra alle politiche liberiste e imperialiste del governo socialista, che ha portato avanti sul piano interno politiche non dissimili da quelle del governo Renzi, mentre in politica estera ha scavalcato a destra gli stessi Stati Uniti ponendosi come il più deciso sostenitore della teocrazia saudita, centro propulsore e principale finanziatore del fondamentalismo islamico reazionario. Dunque la tenuta del fronte repubblicano, sostenuto solo dalle sinistre, ma rifiutato dalle destre golliste, ha favorito la piena affermazione nel centro-destra francese delle posizioni più reazionarie sostenute da Sarkozy, mettendo all’angolo le posizioni più centriste. Allo stesso modo il sostegno dell’opposizione di sinistra ai socialisti, che gli ha consentito di non uscire con le ossa rotte dalle elezioni, ha favorito la linea continuista di Hollande e Valls, che si ritiene legittimata a proseguire nella sua politica liberista all’interno e guerrafondaia all’estero, mettendo all’angolo i dissensi interni.
Con le ossa rotte è invece uscita la “sinistra radicale francese” che già al primo turno ha perso notevoli consensi proprio nelle sue roccaforti popolari, passate all’astensionismo o al populismo della destra radicale, situazione confermata se non addirittura aggravata dai risultati del secondo turno. La “sinistra radicale” francese paga in primo luogo la sua incapacità di opporsi alla perversa spirale fra guerre imperialiste e terrorismo fondamentalista. Anzi ha finito al contrario per restare invischiata in questa spirale ordita dai suoi mortali nemici, spaccandosi fra chi sosteneva l’aggressione imperialista alla Libia, ma criticava quella in Mali, e chi al contrario sosteneva la seconda e criticava la prima. Dinanzi all’irrazionale e controproducente reazione terrorista alla politica guerrafondaia e neocolonialista francese, a cui ancora una volta la “sinistra radicale” non è stata in grado di opporsi, essa si è accodata al blocco della reazione, comprendente in questo caso lo stesso Fronte nazionale, che ha reagito da par suo imponendo una progressiva istituzionalizzazione dello stato di eccezione, favorendo una ulteriore deriva in senso bonapartista e autoritario e imponendo l’unità nazionale. La natura interclassista di quest’ultima nasconde che le classi dominanti, controllando il potere politico ed economico, continueranno a portare avanti la loro lotta di classe “istituzionalizzata”, mentre sarà ancora più stigmatizzata e criminalizzata la lotta di classe anti-sistemica dei subalterni.
In tal modo la “sinistra radicale” ha perso la grande opportunità di sfruttare la campagna elettorale per denunciare dinanzi alle masse le politiche filo padronali del governo francese e la finta opposizione della destra che nasconde la propria adesione a tali politiche antipopolari spostando l’attenzione sulle politiche securitarie e fomentando la guerra fra poveri mediante la xenofobia. In tal modo la “sinistra radicale” francese ha finito per perdere credibilità fra i propri ceti sociali di riferimento, seguendo la tragica parabola dei propri cugini italiani e anticipando la sorte che toccherà alla terza grande forza della Sinistra europea, Syriza, se continuerà ad applicare le logiche di austerità imposte dall’Unione europea.
Certo si dirà se la “Sinistra europea” piange le proprie sconfitte e i propri fallimenti anche la sinistra sudamericana non può certo ridere. Anche in questo caso è però necessario sgomberare il campo da alcuni equivoci. I peronisti, recentemente sconfitti nelle elezioni in Argentina, non sono affatto una forza di sinistra, se questo termine ha ancora un senso, ossia se significa sostenere gli interessi delle classi subalterne di contro a quelle delle classi dominanti. Non a caso i peronisti avevano candidato alla presidenza un imprenditore, che poi è stato sconfitto da un imprenditore ancora più reazionario. Non a caso proprio l’Argentina è la patria di uno dei più efficaci revisionismi del XXI secolo, elaborato da Ernesto Laclau, che sostiene la necessità di una sinistra di governo, come unica alternativa efficace alla restaurazione liberista. In tal modo però si opera una netta cesura con la tradizione marxista che sorge proprio dalla critica del Moro di Treviri alle illusioni idealiste della scuola hegeliana per cui le istituzioni dello Stato, una volta dirette da funzionari illuminati e interessati, avrebbero potuto mettere le redini agli spiriti animali della società civile borghese, dominata dalla logica individualiste della ricerca del profitto. La sinistra egemonizzata da tali tesi idealiste e revisioniste in tutto il mondo ha in primo luogo puntato ad affermarsi elettoralmente conquistando il voto del ceto medio, finendo così non solo per accettare le istituzioni dello Stato liberal-democratico, ma anche alcuni aspetti importanti della sua ideologia, considerati indispensabili per conquistare le classi intermedie. In tal modo ha finito con il perdere sempre più il consenso attivo dei ceti sociali subalterni, che hanno finito almeno in parte per cadere nelle trappole dell’antipolitica sia nella forma dell’astensionismo, sia in quella del voto di protesta a forze populiste.
Così anche quando tali forze di sinistra hanno vinto da sole o più spesso in coalizione le elezioni continentali, nazionali o locali, non sono riuscite a portare avanti politiche realmente di sinistra, ossia in grado di favorire gli interessi dei subalterni colpendo i privilegi delle classi dominanti. Si è, infatti, dovuto fare i conti con istituzioni nazionali e locali e trattati e accordi sovranazionali che limitavano in modo strutturale le possibilità di favorire le classi subalterne, tanto più che queste ultime erano state anestetizzate dalle illusioni del governismo fondato sul principio liberale e antidemocratico della delega. Inoltre ponendo come obiettivo essenziale il mantenimento del governo si è finito per sottostare alle posizioni ancora più liberali dei propri alleati o si è comunque puntato alla rielezione sempre mirando alla conquista dei ceti medi. Senza contare come la spirale diabolica del debito pubblico e la crisi economica riducessero a quasi nulla i margini per la ridistribuzione di una parte, per quanto minoritaria, dei profitti ai subalterni. Con l’opposizione di sinistra al liberismo e al capitalismo al governo, inoltre, nell’immaginario collettivo formato principalmente dal pensiero unico dominante, le forze anti-sistemiche sono sembrate le forze populiste e oscurantiste xenofobe e/o religiose.
Persino in Venezuela – anche se su questo caso particolare sarà necessario tornare per sviluppare più a fondo la riflessione – nonostante la sinistra avesse conquistato e mantenuto per quasi vent’anni il governo con un programma favorevole alle classi subalterne, le logiche revisioniste del governismo hanno avuto degli effetti nefasti. Data la carenza e i tempi necessariamente lunghi per la formazione di intellettuali organici alle classi subalterne, si è lasciato spazio a intellettuali tradizionali dei ceti medi che hanno propagandato le tesi revisioniste per le quali era possibile un’alternativa di sistema occupando per via elettorale le istituzioni senza dover spezzare la macchina statale elaborata dalla borghesia per costruire quella necessaria all’esercizio del potere dei subalterni e senza dover espropriare gli espropriatori, ossia non socializzando i mezzi di produzione. Purtroppo anche in questo caso le vetuste tesi del marxismo hanno avuto successo su queste modernissime tesi post-moderne, ossia ancora una volta le forze economiche della società civile hanno finito grazie al proprio enorme potere ripreso il controllo di una parte significativa delle istituzioni dello Stato. Certo in quest’ultimo caso la sinistra venezuelana non si è suicidata, cercando il consenso dei ceti medi e trascurando i ceti subalterni, e proprio per questo mantiene ancora diverse istituzioni, a partire dal presidente, è ancora il primo partito del paese e ha tuttora un certo controllo sulle forze armate, senza il quale un governo di sinistra corre sempre il rischio di essere rovesciato o tenuto sotto ricatto.