Nella tarda notte di giovedì 15 di novembre, il governo è arrivato ad un accordo con “quasi” tutte le forze di opposizione per la formazione di una “Convenzione Costituente”. Fuori da questo “quasi” ci siamo ovviamente noi del Partito Comunista, ma anche altri nostri alleati e perfino alcuni di quelli che formano parte della coalizione di centrosinistra Frente Amplio – la stessa che ha preso parte, insieme ad altre forze, alla stesura dell’accordo. Ma al tavolo ha pesato soprattutto l’assenza di una vera rappresentanza del movimento; per esempio la Unidad Social – che convoglia più di 200 organizzazioni e che ha agito da protagonista non solo partecipando alle manifestazioni ma anche organizzando Cabildos a tappeto su tutto il territorio nazionale – non è stata invitata alla discussione. E, difatti, essa si è da subito espressa contro l’accordo.
A chi mi dice che l'importante sia essere riusciti ad avanzare - cosa senza dubbio vera - rispondo che il prezzo pagato è stato troppo alto rispetto agli obiettivi raggiunti. Per questo è importante non mollare la lotta. Non ora. Non dopo tutto quello che è successo. Il dettaglio del perché una nuova Costituzione sia vitale per il Cile e di quali siano le trappole della Carta Fondamentale del 1980 lo espongo in un altro articolo. Qui vedremo, invece, cosa non va nell'attuale accordo tra maggioranza ed opposizione.
Innanzitutto, non è accettabile - e lo dico da militante di un partito e per nulla appassionato alle sempre più diffuse posizioni “anti-politiche” - che si sia scelto di discutere tra quattro mura senza invitare (o quantomeno provare a rappresentare meglio) le organizzazioni sociali le quali, come del resto la stragrande maggioranza dei manifestanti, hanno messo bene in chiaro che non si riconoscono nelle forze presenti in parlamento. C'è da considerare che in Cile la metà delle persone non hanno votato; una maggioranza finora “silenziosa” di individui i quali avrebbero avuto diritto ad avere voce in capitolo in questo processo che potremmo definire senza timori “precostituente”.
Grave inoltre la “bassezza” (anche se in qualche modo giustificata dalla pressione di cui parleremo tra poco) di avere stretto accordi con una destra non scevra da gravi responsabilità sulla struttura di massima del documento, prima ancora che il resto delle forze di opposizione o in lotta fossero presenti.
Un altro aspetto importante di cui tenere conto è che la genesi del processo è ancora una volta - come nel 1980 - viziata dalla brutalità della repressione e dalle minacce. Già conoscete le violazioni ai diritti umani di cui abbiamo parlato su La Città Futura, quelle dei numeri ufficiali e quelle che non sono state denunciate o non possono essere provate. Ma a ciò possono essere aggiunte le voci insistenti circolate martedì 13 e giovedì 15 di stato d'assedio e di dittatura imminente.
Col senno di poi, sembra che certe storie siano state fatte girare ad arte, come parte della “terapia shock” che il Cile ha già sperimentato. In parole povere: hanno intimorito il movimento con minacce velate, ma anche con un’onda di saccheggi sospetta avvenuta proprio il martedì e che sembra stata quantomeno “indirizzata”, non in funzione di un “autogolpe” come temevamo in quel momento ma per condizionare la nascita di una imminente trattativa. Riuscendo quindi a dividere e soprattutto a mettere fretta per fare accettare un accordo ingiusto, poco rappresentativo, ed affrettato. Il testo infatti è troppo corto ed ambiguo, per nulla vincolante. Possibile che per aprire un conto corrente o iscriversi ad una mail ci siano pagine e pagine da firmare, mentre per un processo storico così importante sia sufficiente solo una paginetta e mezzo?
Dopo aver discusso della “forma” e degli antefatti – che a mio giudizio non sono mai irrilevanti in un’analisi – passiamo ad analizzare i punti del documento.
L’aspetto più contestato è relativo all'elevatissimo quorum di due terzi richiesto dal punto 6 per prendere decisioni in sede costituente. Esso potrebbe anche sembrare ragionevole (per esempio è lo stesso che si scelse in Bolivia, mentre in Italia si optò per la maggioranza semplice), se non fosse che il meccanismo elettorale sarà (punto 4) lo stesso o simile a quello parlamentare, per cui è probabile che le organizzazioni sociali non riusciranno ad avere adeguata rappresentanza dovuto non solo alla sproporzione dei rapporti di forza finanziari e mediatici, ma anche al fatto che – rebus sic stantibus – potranno candidarsi solo gli appartenenti ai partiti.
In parole povere: per il momento, le organizzazioni politiche e sociali di base sono escluse non solo dagli accordi preliminari ma anche dal futuro processo Costituente.
I partiti di opposizione firmatari affermano che, in base al testo, si partirà da un “foglio in bianco” Ma, ovviamente, come ben immaginate ci sono aspetti che non possono rimanere “in bianco” nella Costituzione, le quali dovranno essere per forza definite o per via legislativa (quindi dalla destra di Chile Vamos) o addirittura mantenendo porzioni della Carta del 1980. Quest’ultimo caso, scartato a priori nelle dichiarazioni pubbliche, possiamo forse considerarlo più improbabile ma non è esplicitamente escluso dall’accordo: del resto nel punto 12 si parla di “Progetti di riforma Costituzionale” anche se “presentati all’approvazione del Congresso” come un tutt’uno, e mai direttamente di “Nuova Costituzione”.
L'ambiguità di cui sopra è rafforzata dalla scelta del nome "Convenzione Costituente" (punto 2) invece di Assemblea Costituente; essa è stata propagandata come una mera questione di dicitura, ma rappresenta senza dubbio un'altra zona di grigio in un futuro contesto negoziale dove potrebbe non esserci più la pressione delle masse.
Nel punto 5 del testo si dichiara che “L’organo costituente […] avrà come unico obiettivo la redazione della nuova Costituzione senza influire nel resto di competenze ed attribuzioni degli altri organi e poteri dello Stato”; questa frase, se opportunamente interpretata in un futuro scenario di “tira e molla” o di “do ut des”, potrebbe anche portare a non riuscire a modificare quelle parti della costituzione che riguardino per esempio la Banca Centrale, le Forze Armate o la Corte Costituzionale; si potrebbero addirittura permettere ingerenze di questi o altri poteri dello Stato sulla Commissione eletta. Ovviamente lo scopo dichiarato è un altro – limitare i poteri dalla “Convenzione Costituente” rispetto agli altri – però risulta quantomeno sospetto che nel contesto di un esercizio di bilanciamento di poteri si specifichi come limitarne uno solo mentre per gli altri – tutti in mano alla destra – non si stabiliscano vincoli.
Concludendo e riassumendo: il quorum, che sarebbe anche ragionevole in un contesto normale, rappresenta in questo caso una truffa dato che vengono rappresentate solo forze minoritarie (l’80% o più del movimento non si riconosce nell’attuale parlamento) e considerando che, in caso di non raggiungimento dello stesso, la “prima mossa” è affidata alle forze di destra del potere costituito dato che il testo non specifica in dettaglio cosa succede nei vari casi. Inoltre, la genericità della redazione lascia molte porte aperte a limitazioni importante del potere della futura Convenzione Costituente, e/o a rovesciamenti degli accordi presi.
La nuova Costituzione nascerebbe quindi in un contesto gattopardesco ma anche antidemocratico, dovuto alla poca rappresentatività ed alle violente pressioni e minacce che ne stanno condizionando l’elaborazione in questa fase “embrionale”.
Tutto ciò frappone degli evidenti ostacoli all’introduzione di un vero cambio di modello socioeconomico nella futura Carta Fondamentale cilena. Il vero paradosso è rappresentato da un sistema che, per riformarsi, sceglie come unica opzione una presunta “legittimità democratica” basata sul modello anteriore, nato a sua volta in un contesto profondamente antidemocratico. Da questa contraddizione in termini si potrebbe uscire solo affidando la definizione dei contenuti in forma diretta alla cittadinanza, i quali potrebbero poi venire plasmati tecnicamente con l’aiuto di esperti – eletti con dei canoni che rispettino il più possibile il principio di universalità – e comunque sottomettendo a ratifica referendaria (come prevede anche l’attuale accordo nel punto 8, del resto) il “prodotto finale”.
Bisognerebbe inoltre specificare cosa succede nel caso di un “no” al referendum, per evitare di trovarsi di fronte a un “aut-aut”, una scelta tra un ipotetico meno peggio e la conservazione del sistema attuale.
Dal punto di vista teorico è stato sottolineato (i riferimenti alle fonti di Rescigno e del sociologo norvegese Elster sono citate dal paper a cui il link ridirige) come: “Solo un processo che sia, in ultima analisi, «autofondato» può essere considerato realmente «costituente», dovendo invece essere considerato «costituito» il processo che nasce per decisione di un organo preesistente”.Ma anche che: “In occasione dei processi costituenti, i rapporti tra vecchio e nuovo regime originano spesso un paradosso logico, in ragione del tentativo dei costituenti di attribuire alle proprie azioni una legittimità formale basata sui previgenti istituti giuridici, sicché non è chiaro se a dominare siano le nuove o le vecchie regole”.
Come ha reagito il movimento cileno a queste discussioni svoltisi “tra quattro mura”? Il giorno dopo “la calle” non sembra essere stata condizionata dagli accordi presi. In TV e sui giornali si è provato a far sembrare che in piazza Italia si festeggiasse l’accordo. Ma la realtà delle cose è che il venerdì è stato un giorno di manifestazione come un altro. Del resto, la repressione brutale della polizia non ha lasciato alcun dubbio rispetto al fatto che non si trattasse di una “festa” ma di una protesta: l’uso, su manifestanti pacifici, di lacrimogeni mischiati al gas al peperoncino è stato diffuso.
Il fine settimana i Cabildos sono ripresi, in molte riunioni si sono stabilite fitte agende per organizzare seminari, simulacri costituzionali, commissioni e gruppi di studio, ma anche attività di coordinazione e di sistematizzazione degli sforzi di tutti i gruppi a livello comunale, regionale e nazionale. Ed il lunedì 18 sono riprese, massicce, le manifestazioni.
È importantissimo che anche in parlamento e nelle strutture ufficiali, si stia molto attenti a non cadere nel solito vecchio giochetto di “divide et impera” di una destra becera ed antidemocratica. Ma soprattutto, militanti, indipendenti, o semplice gente che non ne può più, devono rimanere compatti ed uniti per l’obiettivo comune.
Si ringrazia Dario Santoro per l’importantissimo contributo all’analisi dei processi costituzionali in generale ed i riferimenti a quello italiano in particolare.