Continua dalla sesta parte.
3. Uno sguardo al futuro
Chiarite le cause di Euromaidan sarà più agevole volgere lo sguardo al futuro immediato dell’Ucraina. Le medesime fratture che hanno reso possibile il fenomeno sociale fin qui analizzato sono, infatti, ancora aperte. Come delle faglie tettoniche esse rischiano di dar vita a spaccature profonde e, in prospettiva, irrimediabili nel tessuto sociale del paese. Un ruolo precipuo nel plasmare il futuro dell’Ucraina è, ovviamente, nelle mani della nuova leadership del regime nato da Euromaidan.Al contempo, sebbene Yevgeny Murayev (l’esponente del partito filorusso Piattaforma d’Opposizione) non lo sottolinei abbastanza, è lampante che la debolezza endogena dell’UE rende la Federazione Russa l’attore esterno più importante, in positivo come in negativo, per il destino del paese.
Un tentativo relativamente più scoperto da parte della Russia di minare la posizione del neopresidente Zelenskiy consiste nell’accesso preferenziale alla cittadinanza per gli Ucraini dell'Est. A sostegno di questa politica Putin ha ricordato che politiche analoghe sono state adottate da Romania, Polonia ed Ungheria. L'iniziativa russa è arrivata pochi giorni dopo che Zelenskiy ha vinto le elezioni e, secondo alcuni, complicherà notevolmente le speranze del nuovo presidente di risolvere il conflitto. Dovesse la situazione in Ucraina peggiorare drasticamente le politiche di Romania, Polonia, Ungheria e Federazione Russa potrebbero effettivamente distruggere lo Stato ucraino come Murayev teme.
3.1. Il rischio “moldavizzazione”
Allontanandosi dal punto di vista del Murayev, la questione della concessione di cittadinanze altre ai cittadini ucraini apre ad un altro scenario, ben più verosimile. Quello che si potrebbe definire rischio di “moldavizzazione” è stato recentemente prospettato, in un post molto personale, dall’ex corrispondente del New York Times James Brooke (2019). Nel futuro dell’Ucraina potrebbe nascondersi l’estremizzazione di una trasformazione già avviata e che, per la sua natura silenziosa, rappresenta una minaccia ancor più rilevante per la tenuta dello Stato. S’è detto che alcuni degli Stati confinanti con l’Ucraina (Polonia, Ungheria, Russia e Romania) hanno iniziato ad agevolare l’acquisizione della cittadinanza per gli Ucraini. Incentivando l’emigrazione senza ritorno si contribuisce ulteriormente a drenare energie produttive e lavoratori dal paese, che nel frattempo sembra avviarsi verso una catastrofe demografica. Dall'indipendenza (1991) ad oggi la popolazione ucraina è diminuita del 23%, da 52 a 40 milioni. Per le élite politiche post-sovietiche si tratta della certificazione del proprio fallimento. Paralizzata da una burocrazia ipertrofica che «soffoca gli affari, ostacola l'immigrazione e incoraggia l'emigrazione» Kiev rischia di diventare una «grande Moldavia». L’Ucraina rischia di diventare poco più che un paese-dormitorio che sforna migliaia di lavoratori-migranti la cui forza-lavoro sarà sfruttata dal capitalismo degli altri Stati europei.
Già da alcuni anni i bilanci dello Stato iniziano a soffrire degli effetti avversi dell’improvviso declino demografico: si pensi solo all’onere pensionistico. In un paese con una popolazione attiva in calo, l’incidenza di 14 milioni di pensioni sul PIL è andata crescendo dal 9,2% nel 2003 a quasi il 18% nel 2019. Si tratta di uno dei dati più gravi a livello globale da diversi anni (Chawla, Betcherman, e Banerji 2007, 157) e l’andamento demografico negativo continua a peggiorare la situazione. La via neoliberista, che passa per l'aumento dell'età pensionabile, è già stata intrapresa e, probabilmente, sarà percorsa a fondo per assicurarsi il sostegno dei partner occidentali (cfr. Honcharov 2019). Comprendere la ragione per cui questa prospettiva sembra oggi più probabile che mai richiede una sintetica analisi dell’evoluzione economica dell’Ucraina post-sovietica. Questa, a sua volta, va inserita nel più ampio contesto di rinnovamento e trasformazione del capitalismo globale.
3.1.1 In Europa Occidentale va in scena la deindustrializzazione
A partire dalla crisi economica degli anni ‘70 e ‘80 il modo di produzione capitalista è andato cambiando aspetto, almeno in Occidente. Ciò ha prodotto casi di massiccia deindustrializzazione intesa come una combinazione tra «diminuzione dell'occupazione nel settore manifatturiero e dell' industria di base» nei Paesi sviluppati e decentramento territoriale verso aree con un «costo del lavoro più basso» (Cowie e Heathcott 2003, 1). Questa trasformazione è tanto più rilevante per questa analisi in quanto conduce ad analizzare la posizione dell’Ucraina nella «nuova divisione internazionale del lavoro» (Fröbel, Heinrichs, e Kreye 1980). Una strategia messa in atto dai datori di lavoro allo scopo di far retrocedere le conquiste salariali degli operai, infatti, consiste nello spostare la produzione in contesti caratterizzati da forza-lavoro a basso costo.
Tuttavia, il che è ancor più interessante, il medesimo risultato può essere ottenuto pure sostituendo la manodopera locale con altra “importata” e «meno battagliera» (Vergallo 2011, 157). A tal proposito è significativo che il Bundestag tedesco stia discutendo una legge per la liberalizzazione, entro il 2020, dei visti di lavoro per gli Ucraini. È evidente, dunque, che la concessione della cittadinanza e, ancor di più, la liberalizzazione dei visti siano solo mezzi per attrarre manodopera a basso costo. Coniugando la nozione marxiana di «esercito industriale di riserva» con gli effetti dell’immigrazione, con poco sforzo si arriverà alla conclusione che la necessità di diminuire gli standard lavorativi nei paesi ricchi dell'UE richiede, per essere soddisfatta, un flusso costante di rifugiati ed immigrati non coperti dal Welfare State ordinario. Insomma, come scrive la Kharchenko (2018): «molti Ucraini di certo non vanno in Europa a bere caffè o ad ammirare il Colosseo».
Continua sul prossimo numero de La Città Futura