Anche in Germania l'ombra dell'estrema destra. Seconda parte di un'approfondita analisi sulla tornata elettorale dello scorso 13 Marzo riguardante il rinnovo dei parlamenti regionali tedeschi.
di Guido Tana
segue da Parte I
Analisi, Reazioni e Prossimi Scenari
Alcune conclusioni post-elettorali si possono a questo punto già formalizzare: Die Welt nota come in tutti e tre i Länder, le coalizioni di governo perdano la maggioranza parlamentare posseduta prima delle elezioni. Se in alcuni casi la perdita è limitata, come nella Renania-Palatinato dove è solo il partner minore di governo a subire le perdite peggiori, negli altri due Länder, le coalizioni a guida CDU-SPD, specchio del governo Merkel attualmente in carica, subiscono delle sconfitte di proporzioni ragguardevoli per entrambi i partiti. La costante sembra però essere che il principale partito della coalizione sia ancora nella situazione di sedersi alle contrattazioni in posizione di forza.
Necessario è inoltre rilevare come in tutte e tre le regioni, i risultati di Allianz für Deutschland siano dipesi sia da una fluttuazione dei voti da aree non interamente appartenenti o riducibili ai classici bacini elettorali nazional-conservatori (che hanno formato per decenni il nucleo dei voti dei cristianodemocratici, soprattutto nelle regioni meridionali, impedendo la nascita e lo stabilirsi di formazioni alla loro destra prima di AFD) e soprattutto provenienti dalla rinnovata partecipazione al voto regionale. Infine appare evidente come le dinamiche nazionali si siano riflesse sugli scenari regionali in maniera più imponente che in passato, specialmente nelle perdite elettorali di CDU e SPD.
La presenza e il lavoro sul territorio sembrano essere stati premiati solamente in quelle situazioni di eccezione dove le performance del partito vincitore sono il risultato di un radicamento pregresso e corrispondente a dinamiche locali, come il caso dei Verdi nel Baden-Württemberg, principale forza di centro-sinistra riconosciuta come tale dagli elettori, o il caso dei socialdemocratici nell'area Renana.
Anche in queste situazioni però si sono riflesse dinamiche nazionali di campagne elettorali e proposte politiche estremamente incentrate su questioni personalistiche e di popolarità di taluni candidati, dinamiche che spingono la stampa tedesca a rilevare come i programmi dei partiti politici sembrino non avere più forza reale nelle motivazioni al voto.
Questo giudizio si è concretizzato nella vittoria elettorale dell'SPD in Renania, attribuita principalmente alla forza e al supporto di cui godeva e gode ancora la Ministerpräsidentin Malu Dreyer o nella completa debacle della CDU del Baden-Wurttemberg, simboleggiata dal tracollo di preferenze ottenuto dal leader locale Guido Wolf. Tuttavia, è necessario osservare come questo tipo di lettura si scontri con l'affermazione di AFD, nel Länder occidentali; i grandi personalismi che si sono edificati negli ultimi 12 mesi di aspro dibattito riguardo politiche e migranti portate avanti dai populisti di destra si sono principalmente riflessi nelle dinamiche politiche orientali, e a livello nazionale è comunque ancora la proposta populista contenuta nelle politiche di AFD a riscuotere successo, ancor prima della sua cristallizzazione entro determinate figure politiche. A testimonianza di tale influenza è da registrare lo slogan annunciato la sera da Alexander Gauland (parlamentare regionale nel Brandeburgo) “Non vogliamo accogliere rifugiati” in chiara e netta contrapposizione alle politiche del governo nazionale, inteso come rifiuto prima di tutto popolare all'accoglienza verso i rifugiati.
In questo senso lo scenario politico tedesco acquista un elemento singolare rispetto ai binari politici europei, dove le forze populiste di destra portano avanti un programma elettorale basato essenzialmente su pochi punti programmatici di grande presa sull'elettorato più conservatore o messo in svantaggio dagli attuali equilibri economico-politici, portato però avanti contemporaneamente da figure estremamente carismatiche e capaci di attirare l'attenzione dei mezzi di informazione.
Frauke Petry non buca ancora lo schermo, e in questo senso anche nei Länder orientali la vittoria di AFD non è completa, ma è una domanda legittima chiedersi cosa possa succedere se questa transizione verso situazioni politiche avvenute finora al di fuori dal suolo tedesco si concretizzerà del tutto.
Le reazioni a livello nazionale non si sono fatte attendere; di particolare interesse sono le dichiarazioni del leader Bavarese della CSU che suonano come un avvertimento verso le politiche nazionali della CDU di Angela Merkel. Per Horst Seehofer, i risultati del 13 Marzo sono un “Fallimento Gigantesco” e la responsabilità di questo fallimento è interamente sulla politica di accoglienza dei migranti della Cancelliera, considerata dalla leadership Bavarese come motivo fondamentale dei risultati nei tre Länder, difatti raddoppiando la critica già riportata da Alexander Gauland. Seehofer legge la vittoria di AFD come un terremoto del panorama politico tedesco, a cui l’Unione (il nome con cui è chiamata la coalizione a livello nazionale tra CDU e CSU) deve saper rispondere, pena una possibile debacle elettorale al prossimo giro federale, debacle che il leader CSU ha già dovuto affrontare nel 2008 quando la CSU perse la maggioranza assoluta alle elezioni Bavaresi.
Interessante è notare la preoccupazione della CSU per questo risultato e la chiamata ad una presa di responsabilità direttamente indirizzata ad Angela Merkel. Prima dell'avvento di AFD, la CSU poteva essere ragionevolmente considerata come la formazione più a destra dello scenario nazionale tedesco, se ignoriamo le parentesi dei neonazisti dell'NPD in alcuni parlamenti regionali a metà degli anni 2000. Appare evidente come la CSU si senta minacciata nel suo stesso Land dalla presenza di una forza politica capace di strappargli voti significativi, nonostante la Baviera abbia una storia elettorale assolutamente ferrea. Seehofer si è dunque premurato nel raccomandare un inasprimento delle politiche di accoglienza, basate su 4 punti che concernono in particolar modo una posizione più dura e inflessibile verso il ruolo della Turchia, da sempre grande interlocutore della Repubblica Federale Tedesca vista la presenza storica di immigrati turchi sul suolo della Germania Occidentale.
Le accuse verso l'attuale conduzione di governo non provengono solo dagli ambienti della destra Bavarese: la Frankfurter Allgemeine Zeitung è chiara nell'identificare il risultato elettorale come un effetto, e una condanna esplicita, dei vari governi CDU-SPD-Verdi che da vent'anni dominano gli equilibri politici nazionali e regionali, complici anche la scomparsa a livello nazionale dei liberali dell'FDP (storici partner di governo di qualunque partito avesse la maggioranza relativa nel Bundestag) e il fallimento della Linke nel riguadagnare posizioni di rilevanza nei Länder occidentali.
Tuttavia non sembra apparire all'orizzonte una alternativa a questo tipo di conduzione di governo, e la CDU è particolarmente deficitaria, come evidenziato dai fallimenti dei propri candidati di punta in queste elezioni, nell'identificare una via d'uscita dalla situazione attuale che sappia riscuotere consenso nel suo stesso elettorato.
La crescita elettorale di AFD è dunque anche da leggersi in un contemporaneo logoramento dei principali attori governativi, sia a livello nazionale che locale, incapaci di sostenere politiche con riscontro popolare favorevole, e una sistematica incapacità dei partiti socialdemocratici ed ecologisti nel proporre qualcosa di realmente alternativo alla conduzione della nazione di stampo Merkeliano, entrata ormai nel suo undicesimo anno.
I risultati di AFD, di contro all'ondata di preoccupazione e di smarrimento cui hanno dato luogo nell'elettorato e nella stampa tedesche, in linea con gli altri paesi europei dove formazioni populiste di destra hanno registrato risultati analoghi, hanno però trovato supporto in area mittel-europea, specialmente in Austria, dove AFD intrattiene un rapporto di collaborazione con il suo omologo FPO, ovvero l'ex-partito di Jorg Haider, e in Svizzera, dove formazioni di estrema destra e neonaziste hanno salutato con favore il risultato elettorale di AFD nel confinante Baden-Württemberg, quasi a sottolineare la possibile creazione di un asse alpino anti-immigrati e di estrema destra in un nemmeno troppo remoto futuro.
Lo stesso risultato nel Land meridionale potrebbe però aprire degli scenari inediti all'interno della leadership di AFD: se, come riportato in precedenza, sono ancora gli slogan populisti a fare grande presa sull'elettorato nazional-conservatore, l'identificazione del partito con la segretaria nazionale Petry è un fenomeno in crescita sin dalla uscita dal partito del suo ex-rivale Bernd Lucke.
Tuttavia i leader a livello nazionale sono due, e il secondo è il principale artefice della vittoria in Baden-Württemberg, ovvero Jörg Meuthen, il cui stile politico è considerato più professionale e meno estremo di quello messo in mostra dalla Petry. Potrebbe essere questo l'elemento mancante a AFD per cominciare ad essere un partito di rilievo sia a livello locale che a livello nazionale, ovvero la possibilità di venire considerato come partner di coalizione, una prospettiva che sia Frauke Petry che tutti i partiti attualmente presenti in parlamento federale non intendono considerare.
Questa crescita di influenza, considerato anche che il risultato della Petry nel suo Land, la Sassonia, nel 2014 fu ben più modesto che quelli raggiunti nei tre Land andati al voto il 13 Marzo, potrebbe cambiare presto gli equilibri all'interno di un partito le cui differenze tra le anime populiste e liberiste corrono più profonde di quanto non appaiano in superficie.
Proprio sugli scenari di coalizione si muoveranno ora i partiti e le influenze nazionali per ottenere dei governi stabili a livello locale. Le prospettive però non sembrano andare incontro al giudizio di insostenibilità delle attuali conduzioni regionali emerso dalle urne; specialmente nei due Länder occidentali, la riconferma del partner di coalizione maggioritario nei governi uscenti sembra essere la prospettiva più realistica, anche in virtù dell'attuale impossibilità di condurre trattative di governo con il reale vincitore di questa tornata elettorale, e il fallimento della Linke nel superare la soglia di sbarramento del 5% a Ovest. La principale differenza rispetto a come si strutturarono i governi nel 2011 appare essere il cambio della forza minoritaria nelle singole coalizioni di governo.
Nel Baden-Württemberg l'unica coalizione possibile sembra una inedita collaborazione Verdi-CDU, dove la riconferma sarebbe quella del partito ecologista. Il tracollo dell' SPD rende impossibile la continuazione dell'alleanza di centro-sinistra, in cui però i socialdemocratici erano già il partner minoritario di governo, confermando il trend nazionale in vigore da diversi anni ove è il partito secondario nella coalizione a subire i risultati peggiori [1].
Al fine di non continuare la permanenza in una coalizione in posizione di chiaro svantaggio contrattuale e politico, la SPD ha precluso la possibilità di una coalizione Giallo-Nero-Rossa (incidentalmente i colori della bandiera tedesca, da qui il nome di “Deutschland-Koalition”) includente anche i liberali pro-euro dell' FDP che, come abbiamo rilevato, sembrano essere ritornati stabilmente oltre la soglia elettorale del 5% che li escluse dal parlamento federale nel 2013.
Nella Renania-Palatinato, il Land dove i primi due partiti delle precedenti elezioni hanno subito la variazione minore, il copione sembra ripetersi, con una Grosse Koalition tra SPD e CDU come unica possibilità, a causa del tracollo dei Verdi, anche qui aventi la colpa di essere seconda forza di governo nel precedente parlamento. Una eventuale “Lampe-Koalition”, ovvero Rossa-Verde-Gialla sembra poco probabile a causa dei rapporti storicamente difficili tra Verdi e Liberali.
La situazione più incerta sembra dunque quella nel Land orientale della Sassonia-Anhalt: i risultati non hanno dato una indicazione chiara su come si possa formare una maggioranza stabile, e il largo successo di AFD, 24%, unito al tracollo dell'SPD (e della Linke in misura leggermente minore). La coalizione naturale sembrerebbe essere l'unione di CDU e AFD, ma la messa fuorigioco della formazione populista da qualunque trattativa di governo esclude di fatto l'opzione ideologicamente più affine.
Le forze di centro-sinistra e sinistra giacciono ben al di sotto della soglia di 44 deputati per ottenere una maggioranza, come anche una coalizione CDU-SPD, deficitaria di 3 voti al riguardo. É possibile una coalizione che preveda anche i Verdi, ma i Socialdemocratici non sono inclini a posizioni subalterne verso i cristianodemocratici nei Länder orientali, visto il loro scarso radicamento e la competizione con la Linke nel medesimo bacino elettorale in tali regioni.
La proposta forse più bizzarra di tutte è però giunta proprio dalla Linke, per voce del suo decano Berlinese Gregor Gysi, dimessosi qualche mese fa dal suo ruolo di capo dell'opposizione nel Bundestag per limiti di età, una coalizione Linke-CDU sulla quale mancherebbe però la minima traccia di intesa, a partire dal nome per il presidente del governo regionale. Al fine di risolvere la situazione di impasse sono attualmente in corso dei sondaggi informali per la formazione di un governo a guida CDU che comprenda sufficienti deputati appartenenti alle fila di SPD e Verdi.
E la Linke?
Come dovrebbe ormai già essere apparso chiaramente, la Linke esce sonoramente sconfitta da questa tornata elettorale: l'aver confermato i voti del 2011 nei Länder occidentali non può essere considerato un successo di tenuta, poiché già nel 2011 quel medesimo risultato significava un arretramento notevole al di sotto della soglia di sbarramento regionale.
Se le elezioni del 2006 e quelle nazionali del 2009 avevano permesso a Die Linke di comparire per la prima volta sul radar delle regioni occidentali, rendendo possibile uno scenario a sinistra del partito socialdemocratico e investendo a pieno titolo Die Linke all'interno del dibattito democratico della repubblica federale tedesca, a partire dalle elezioni del 2011 si è registrata una costante regressione dei risultati elettorali, sia a livello regionale che nazionale, con la conseguente uscita da quasi tutti i parlamenti locali dei Länder occidentali, tornando ad una situazione quasi analoga a quella registrata nel 2002, quando Die Linke non superò lo sbarramento del 5% alle elezioni nazionali.
Anche il risultato della Sassonia-Anhalt è una sconfitta, sia per la retrocessione a secondo a terzo partito e la perdita di una percentuale consistente di elettori, sia per la consapevolezza di aver perso buona parte di quei voti precisamente verso la destra populista di AFD. Se dopo l'investitura in Turingia di Bodo Ramelow come Presidente del Land, primo Presidente proveniente da Die Linke, si parlava di una seconda analoga occasione proprio nel caso della Sassonia-Anhalt con il leader locale Wulf Gallert, il risultato elettorale esclude ora qualunque possibilità di partecipazione governativa realistica.
La campagna elettorale, secondo l'analisi della Roxa-Luxembourg Stiftung [2] si è concentrata più sul programma nazionale, basato principalmente su temi di politica sociale, mercato del lavoro e questione dei migranti. I rappresentanti nazionali hanno portato nella campagna le lotte al TTIP e politiche di welfare mirate alle fasce più rappresentative dell'elettorato di sinistra, ma una mancanza all'attenzione più locale e una marcata assenza di personalizzazione della campagna stessa, in controtendenza rispetto agli altri partiti, anche dove uno dei portavoce nazionali del partito Bernd Riexinger era candidato (Baden-Württemberg), hanno di fatto marginalizzato la concretizzazione e la possibilità di una alternativa a sinistra a socialdemocratici e verdi.
In maniera più marcata, la perdita di voto in Sassonia-Anhalt verso AFD simboleggia una perdita della fiducia dell'elettorato nei confronti del lavoro svolto nell'area. Se è vero che è tutta la sinistra che è in crisi negli ex-Länder orientali, e che le regioni della Sassonia tutta sono sempre state un bacino elettorale molto forte per i partiti conservatori (basti osservare i risultati storicamente alti della CDU), la Linke rischia di perdere la partita sul campo delle forze populiste e xenofobe di destra.
Negli anni 2000, Die Linke era stata una delle prime realtà della sinistra socialista e post-comunista europea a porre il problema dei migranti e del lavoro, nel senso dello sfruttamento da parte del capitalismo dei migranti disposti a lavorare a salari e in condizioni non adeguate alla dignità del lavoro svolto e di come questo si ripercuoteva sui salari e le condizioni del lavoratori tutti, ma gli avvenimenti storici che hanno caratterizzato il dibattito politico europeo hanno spostato il dibattito su una semplice dicotomia anti o pro- immigrazione, come abbiamo d'altronde già visto in altri paesi tempo addietro, Italia prima tra tutti.
Questa impossibilità di condurre il dibattito politico entro binari non appartenenti alle destre, unita alla prolungata ambiguità del partito sulla questione europea, ovvero un euroscetticismo soft che non accontenta buona parte dell'elettorato attuale e potenziale, rischia di far perdere uno dei serbatoi di voti principali in ottica delle elezioni nazionali del 2017, e di mettere la parola fine a qualunque tentativo di legittimazione politica ad ovest.
La confusione riguardo il da farsi richiede probabilmente una forte autocritica dell'attuale gruppo dirigente, evidentemente non all'altezza di quella classe politica che aveva portato alla fondazione di Die Linke e che aveva vissuto in prima linea sia la riunificazione tedesca che le contraddizioni da sinistra delle svolte liberiste dell'SPD di Schröder. Le stesse analisi che propongono una collaborazione tra Linke e CDU in nome di un “compromesso storico” all'italiana, come contenuto nella analisi della Rosa-Luxembourg Stiftung, suonano più come proposte riparatorie, senza una efficace proposta programmatica alle spalle.
Se esiste uno spazio entro cui poter portare avanti la battaglia per una alternativa di Sinistra e comunista non solo in Germania ma anche in Europa, il caso del declino di Die Linke mostra come ora più che mai sia necessario riuscire a strappare l'egemonia del dibattito economico e sociale, riguardante migranti e politiche monetarie europee, al dominio delle destre e del liberismo. Continuando a scendere a compromessi o a cercare un confronto dialettico sul medesimo piano di proposte populiste e predazione economica stile Bundesbank, l'unico risultato sarà l'affievolirsi e in ultima istanza lo scomparire della possibilità di una alternativa reale, socialista e marxista.
Die Linke ha già affrontato periodi difficili, come la già citata tornata elettorale del 2002 (dove però il partito non comprendeva l'ala di Oskar Lafontaine che si sarebbe staccata dall'SPD di lì a poco, e conservava ancora il nome di PDS, reminescenza diretta della SED di Erich Honecker), ma se allora si trattava di un periodo di indebolimento della sinistra in generale in un tempo di vacche grasse, in un momento di crisi storico come quello attuale, dove la crisi non è già più solo monetaria ma ben più ampia e diversificata, la necessità di riconquistare una posizione programmatica e sociale strappandola alle destre è sempre più pressante.
Note
- Le elezioni nazionali del 2009 e del 2013, dove prima SPD e poi FDP subirono tracolli significativi è un ottimo esempio di questa caratteristica delle elezioni tedesche
- http://www.rosalux.de/fileadmin/rls_uploads/pdfs/sonst_publikationen/2016-03-14_BW_RP_ST_WNB.pdf