di Bassam Saleh
L’accordo, annunciato in contemporanea sia a Roma che ad Ankara dal Primo Ministro israeliano e dal Ministro degli Esteri turco, ha ripristinato i rapporti fra i due paesi, interrotti sei anni fa dopo la strage compiuta dalla marina israeliana contro la nave Mavi Marmara diretta a Gaza con un carico di aiuti, con l’uccisione di 9 cittadini turchi.
Il governo turco, con questo accordo, riprende le relazioni storiche intrattenute con Israele fin dalla sua nascita nel 1948, relazioni commerciali, politiche, militari e di intelligence. Si può affermare, senza voler mettere in discussione il diritto di ogni Stato di mantenere relazioni con chi vuole, che questo accordo rappresenta un concreto atto di realpolitik fra Stati, cioè un'azione politica governata dagli interessi e non dalle ideologie, interessi per i quali questi Stati sono disposti a sacrificare ideologia e parole d’ordine, comprese quelle religiose.
Va ricordato il ruolo della Turchia nella cosiddetta primavera araba, e le sue ambizioni di egemonia sul mondo arabo e islamico sunnita. In questo quadro si collocano sia l’alleanza con l’Arabia Saudita e il Qatar contro il governo patriottico della Siria, sia l’appoggio, fallito, ai fratelli musulmani in Egitto, sia la carta di Gaza e di Hamas, che è stata il vero motivo della rottura dei rapporti con Israele.
La Turchia, un paese che fa parte della Nato, aveva posto delle condizioni per riprendere i rapporti con Israele: la fine dell’embargo contro Gaza e il risarcimento alle famiglie delle vittime della Mavi Marmara. L’accordo appena varato concede molto poco alla Turchia: 21 milioni di dollari per le vittime, che non è detto che arriveranno davvero. Qualche briciola per Gaza: Israele ha accettato di facilitare l’ingresso di alcune merci turche, e c'è una intesa di principio per la costruzione di un ospedale e di una centrale elettrica.
Le questioni geostrategiche e riguardanti la sicurezza tra i due paesi rappresentano i punti principali dell’accordo, mentre Gaza e la questione palestinese sono rimaste ai margini. Questo significa una clamorosa sconfitta per coloro che hanno scommesso sulle posizioni di Erdoğan e sulla supremazia della fratellanza islamica a guida turca.
Il governo turco sa perfettamente che la striscia di Gaza è ancora sotto occupazione israeliana, che è sottoposta a un illegale e selvaggio embargo che Israele considera indispensabile alla sua sicurezza nazionale, e inoltre che la separazione di Gaza dalla Cisgiodania rientra nel bilanciamento regionale e internazionale, che la Turchia da sola non può cambiare.
Quindi questo accordo va letto come conseguenza dello scenario regionale e della situazione interna della Turchia, in particolare da quando la Turchia è entrata con tutto il suo peso nella crisi siriana e ha dovuto affrontare sfide inaspettate, come il deteriorarsi dei rapporti con la Russia, i problemi interni con il Partito dei lavoratori curdo, i rapporti con l’Isis ed infine i rapporti con i partiti dell’opposizione. Per non parlare dell’arretramento della crescita economica e della crisi energetica causata dalle tensioni con la Russia. Potrebbero essere questi i motivi che hanno spinto la Turchia a rivedere le relazioni con Israele: debolezza e necessità.
Ma un'analisi approfondita vede in questo accordo una nuova fase di normalizzazione dei rapporti non solo fra i due paesi, bensì fra lo Stato occupante di Israele e il mondo arabo ed islamico, con la benedizione del movimento islamico mondiale (i fratelli musulmani). In questo ruolo la Turchia dovrebbe promuovere Israele a livello internazionale come lo Stato che cura la pace nel mondo ed è alla testa dei paesi nella lotta contro il terrorismo. Vedi il voto della Turchia e di altri quattro paesi arabi in sesta commissione all'Onu, voto che ha eletto Israele alla presidenza di tale commissione. Infine la Turchia di Erdoğan e Israele vorrebbero arrivare ad una alleanza geopolitica, militare ed economica in cui Israele avrà la piena egemonia in tutta la regione del Medio Oriente, con effetti devastanti per la Palestina e la Siria, anche perché l’accordo prevede una stretta collaborazione in materia di sicurezza fra Israele e Turchia nella crisi siriana.
Per ultimo, la Turchia si è impegnata, per conto di Hamas, a che quest'ultima non lanci più missili contro Israele, e faciliti la trattativa per il rilascio o il ritrovamento di soldati israeliani dispersi nel corso delle più recenti aggressioni contro Gaza.