Nonostante la dura sconfitta nella seconda guerra mondiale, a opera del movimento internazionale di resistenza e dell’Unione Sovietica, il fascismo non è mai morto. Non solo perché è stato presto riciclato nel mondo capitalista in funzione anticomunista nella Guerra fredda, ma in quanto rappresenta un effetto, in qualche modo necessario, della crisi strutturale del modo di produzione capitalistico.
In primo luogo per motivi inerenti al necessario sviluppo della struttura socio-economica del capitalismo, che nella sua forma superiore o suprema assume la forma imperialista, brodo di cultura dello sciovinismo, del totalitarismo e dei fascismi. In secondo luogo perché la tendenziale caduta del tasso del profitto rende sempre meno praticabili le soluzioni proprie della rivoluzione passiva socialdemocratica (bismarkiano-keynesiana), volta a redistribuire una parte degli extra-profitti a un’aristocrazia operaia, per spaccare l’unità della classe e le tendenze rivoluzionarie.
Per tali ragioni assistiamo nei paesi a capitalismo avanzato, anche per i rapporti sfavorevoli nel conflitto di classe negli ultimi trent’anni, a una deriva autoritaria di stampo bonapartista regressivo, in Italia resa pubblica attraverso il Piano P2, come è noto quasi integralmente realizzato dai successivi governi.
In altri termini la crescente polarizzazione sociale, la precarizzazione dell’occupazione, il potere sempre più totalitario nei luoghi di produzione, la progressiva proletarizzazione del ceto medio, rendono l’attuale modo di produzione sempre più irrazionale. Perciò da una parte lo strumento egemonico di dominio deve divenire sempre meno razionale, tornando ai miti ideologici del fascismo, dallo sciovinismo al razzismo, dall’ altra, quando questa barbara ideologia non ha presa il partito dell’ordine ricorre all’ostentazione del proprio monopolio della violenza legale, ad esempio schierando l’esercito in armi nei principali nodi delle vie di comunicazione e nelle principali piazze.
Dinanzi a tale tendenza storica, che favorisce la resistibile ascesa dei fascismi, è necessario evitare due interpretazioni opposte, entrambe indotte dall’ideologia dominante. Da una parte il fare da cassa di risonanza alla tendenza internazionale alla ripresa dei fascismi, impiegandovi il massimo risalto prima di ogni tornata elettorale, lasciando sempre più spazio alla propaganda fascista nei grandi mezzi di comunicazione. In tal modo, con la classica dinamica della profezia che si autoavvera, l’ascesa dei fascismi viene naturalizzata, quasi si trattasse di un oscuro destino al quale non si può far altro che assistere passivamente. Dall’altra, una volta che candidati filofascisti vincono le elezioni, l’opinione pubblica, egemonizzata dall’ideologica dominante. Essa tende, inoltre, a minimizzare i tragici effetti e a normalizzare le politiche sempre più apertamente fasciste, per prevenire la formazione di un nuovo movimento antifascista a livello internazionale, in grado di sconfiggere nuovamente questo infausto tentativo di reimporre con la violenza un lavoro sempre più servile a livello internazionale.
Da questo punto di vista emblematica è stata la reazione dell’opinione pubblica italiana e della stessa classe dirigente, da subito intente a normalizzare la tragica elezione di un presidente e di una classe dirigente, nella maggiore potenza mondiale, dai tratti sempre più marcatamente filofascisti. Emblematica la reazione della presidente della Camera, che dovrebbe rappresentare l’anima di “sinistra” delle grandi istituzioni, che ha subito minimizzato i rischi connessi all’elezione di Trump, sostenendo che il discorso di insediamento era in fin dei conti moderato e che i toni sopra le righe della campagna elettorale non avrebbero influito sul governo della massima potenza mondiale.
In tal modo è stata del tutto anestetizzata la possibilità stessa delle classi dominate di reagire in qualche modo a questo ritorno al governo di forze filo-fasciste, che purtroppo non riguarda solo gli Stati Uniti, ma Stati decisivi di tutti i continenti. Dal Giappone, all’India, dalla Nigeria, al Brasile, dalla Francia, all’Olanda, dalla Polonia all’Austria e all’Ungheria etc.
Si rischia così di non isolare e contrastare i governi filo-fascisti, anzi di lasciare sempre più spazio alle loro politiche aggressive, con la scusa di evitare escalation nei rapporti internazionali. In tal modo si favorisce, al contrario, come negli anni precedenti alla Seconda guerra mondiale, l’autoritarismo e le persecuzioni su basi ideologiche e razziali all’interno e una politica sempre più aggressiva all’esterno, che rischia di portare a guerre sempre più spaventose.
Così, ad esempio, difronte alla spaventosa politica di riarmo lanciata dal neoeletto presidente degli Stati Uniti – che viola palesemente gli stessi accordi sul nucleare, mette in discussione tutti i trattati di tregua firmati a livello internazionale dalla precedente amministrazione, provoca pesantemente la Repubblica popolare cinese (Rpc), afferma di voler inviare truppe di occupazione in Siria e Iraq – i governi dell’Ue tendono ad adeguarsi impegnandosi a contribuire con maggiori spese al finanziamento della più potente alleanza militare della storia: la Nato a trazione statunitense.
Dall’altra parte i grandi mezzi di (dis)-informazione, strumentali alla “narrazione” della classe dominante, tendono a vedere nell’affermazione delle forze filofasciste a livello internazionale una messa in discussione di stampo populista e protezionista alle politiche ultra-liberiste, finalizzate alla costituzione del mercato mondiale, di cui i maggiori fautori sono divenuti oggi l’Ue e la Rpc.
Sembrerebbe dunque che l’unica alternativa al populismo e al protezionismo sia far blocco intorno ai governi e alle forze politiche maggiormente proni alle politiche ultraliberiste imposte dalla Troika, come ci vogliono far intendere i principali mezzi di comunicazione a partire da “La Repubblica”. In altri termini l’alternativa sarebbe ultraliberismo o barbarie, per cui i benpensanti come avevano per anni votato, turandosi il naso, Democrazia cristiana, dovrebbero ora adattarsi a sostenere il Pd e i suoi satelliti.
Evidentemente tale ragionamento tiene soltanto se si occulta la reale alternativa che la crisi strutturale del capitalismo pone all’attuale generazione: o continuare ad affidarsi a un modo di produzione che rischia di trascinare nella sua decadenza l’intera civiltà umana, oltre a distruggere l’ambiente, oppure realizzare l’unica alternativa progressista, in grado di risolvere le contraddizioni dovute agli attuali rapporti di produzione, rilanciando la transizione al socialismo. In altri termini, come già denunciava Gramsci di fronte alla resistibile ascesa al potere del fascismo nella sua epoca, dinanzi alla crisi strutturale del modo capitalistico di produzione, l’unica reale alternativa all’affermazione di forze filo fasciste è la realizzazione della Repubblica socialista dei consigli.
Allo stesso modo per smascherare lo pseudo-ragionamento del populismo di destra – per cui bisognerebbe aumentare le discriminazioni verso la forza-lavoro straniera in quanto toglierebbe occupazione, risorse sociali, abitazioni agli autoctoni e favorirebbe la diminuzione dei salari e delle condizioni di lavoro – sarebbe indispensabile mostrare come tutto ciò sia un prodotto del modo di produzione capitalistico. E sarebbe risolvibile solo con l’affermazione del socialismo a livello internazionale. Il capitalismo, infatti, avendo come scopo il mercato mondiale e riducendo a merce la stessa forza-lavoro, fa sì che essa debba essere posta in vendita sul mercato globale. Inoltre il capitalismo si fonda sul profitto, reso possibile da bassi salari, prodotti da un forte esercito industriale di riserva che preme sugli occupati. Proprio per questo il capitalismo ha bisogno di importare mano d’opera straniera per mantenere bassi i salari e le misure vessatorie verso quest’ultima sono funzionali ad asservirla sempre di più. Si mettono in tal modo in discussione le condizioni di lavoro conquistate dagli autoctoni. Infine la creazione di una nuova classe in stato sempre più servile, spezza l’unità dei lavoratori e riduce il proletariato moderno all’antica plebe.
Di fronte a tutto ciò la sinistra del nostro paese appare impotente. La componente moderata, in linea con la socialdemocrazia europea, insegue le politiche di destra, spingendo i populisti di destra sempre più su posizioni fasciste. Così, ad esempio, il nuovo rappresentante della sinistra Pd, insieme a Minniti, ha realizzato una legge sull’immigrazione che si muove nella stessa direzione del populismo di destra, appoggiata anche dai fuoriusciti a sinistra dal Pd. Inoltre la sinistra moderata tende, come già ai tempi di Berlusconi, a criticare da destra i governi filofascisti per il loro populismo, per la loro infedeltà con la linea della Nato – condannando ad esempio la distensione con la Russia – contrapponendovi un rafforzamento dell’Unione europea e della stessa alleanza atlantica.
La componente radicale della sinistra, che però si ostina a pensare la propria politica essenzialmente nelle istituzioni borghesi, per paura di esserne esclusa si guarda bene dal battersi per l’alternativa socialista al sistema capitalistico, mirando a governarlo per democratizzarlo.
Particolarmente aberrante, sia per la sinistra moderata, sia per ampi strati della sinistra radicale è la prospettiva eurocentrica quale antidoto sia alle forze sovraniste europee, sia alle politiche apertamente di destra del governo statunitense, di fronte alle quali bisognerebbe rafforzare l’unificazione politica europea. In tal caso non si esce dalla riduzione della possibili alternative: o politiche Ue o populismo di destra. Né si supera la contrapposizione fra lavoratori autoctoni ed extracomunitari e si scade nel mito di una superiore civiltà europea, dimenticando che ha prodotto il colonialismo, l’imperialismo, il fascismo e il nazismo.
Vi è infine una frangia estremista della sinistra che, seguendo la semplicistica e perdente logica del tanto peggio tanto meglio, si illude che il successo di esponenti radicali di destra come Trump sia preferibile, dal punto di vista delle classi dominate, al successo di sostenitori delle politiche liberiste