Ad inizio settembre, le cronache social sono state movimentate dalla notizia che Facebook chiudeva gli account ad alcune organizzazioni di estrema destra perché producono odio e falsità. I commentatori si sono sostanzialmente divisi in due schieramenti: chi plaudeva alla decisione e chi la criticava. I primi notando che Mark Zuckerberg riusciva ad applicare la nostra Costituzione - che vieta la ricostituzione del partito fascista sotto qualsiasi forma - meglio di politici e magistrati. I secondi, al contrario, lamentando che oggi tocca a loro e domani potrebbe toccare anche ad altri.
Poi, lo scorso 19 settembre, il parlamento europeo ha votato una vergognosa risoluzione che equipara nazisti e comunisti e con una solerzia a dir poco sospetta sono cominciate le ritorsioni anche nei confronti dei compagni nostrani. Sia chiaro, la censura informatica che colpisce i gruppi di estrema destra non può che essere salutata positivamente ma essa non deve essere sopravvalutata in quanto non li elimina dalla società che li riproduce ma li presuppone e ne presuppone anche la sorveglianza, la conoscenza e dunque la tolleranza da parte delle autorità. Inoltre a ben vedere, questa censura assomiglia al fiore all’occhiello del boia. Facebook, infatti, sta compiendo un vero e proprio rastrellamento che non colpisce solo i fascisti del secondo o terzo millennio ma soprattutto chi questo odio lo combatte, vale a dire i gruppi di estrema sinistra, per lo più comunisti.
Questo non è un atteggiamento nuovo. Già nell’agosto 2018 Zuckerberg aveva oscurato l’account di Telesur e da oltre un anno i motori di ricerca e i social network si sono attrezzati per rendere maggiormente difficile la ricerca di determinati contenuti e quindi, a contrario, la promozione di altri [1]. Ma tre giorni dopo l’approvazione della risoluzione europea, la rappresaglia ha cominciato a colpire anche nel nostro paese i profili di singoli compagni e organizzazioni comuniste tra cui anche un nostro collaboratore, Alessandro Pascale, e successivamente altri, tra cui l’Ex Opg occupato Je So Pazzo di Napoli.
E questa volta l’offensiva non si limita ad impedire la promozione a pagamento di determinati contenuti o l’oscuramento di foto compromettenti, segno di un innalzamento del livello dello scontro. E non si tratta solo di Facebook. Anche Tiscali, il noto provider sardo, ha censurato il Partito marxista-leninista italiano, imponendogli la rimozione di due articoli sulle malefatte di Denis Verdini risalenti al lontano 2010-2011, pena l’oscuramento dell’intero sito internet in caso di inadempienza.
Ai compagni colpiti diamo la nostra solidarietà ed offriamo, se lo desiderano, lo spazio sui nostri canali per diffondere le comunicazioni importanti.
Nel complesso, si tratta di censure gravissime che mostrano ancora una volta come la borghesia non è più in grado di tenere in piedi neanche la parvenza del liberalismo e viaggia sempre più rapidamente verso metodi apertamente coercitivi. Con il Parlamento europeo a decretarne l’istituzionalizzazione, l’odio e la falsità legalizzati che lasciano morire gli immigrati ai confini dell’Europa, degli Usa, dell’Australia e del Giappone, sono ora più forti, dovendo chi pratica o anche solo propaganda l’odio di classe - l’odio per la classe degli oppressori - e la verità rivoluzionaria, guardarsi non solo dalla polizia politica e dalla magistratura, sempre pronte ad affibbiare un 270 (bis, ter, quater, quinquies, sexies e chi più ne ha, più ne metta) ma anche da quella privata. E smentendo chi, per anni, ci ha venduto i paesi Occidentali e la Rete come luoghi al riparo dalla censura. Come il “padre di Internet”, Vint Cerf, che nel novembre 2007 dichiarava addirittura di non credere che la censura si sarebbe sviluppata in quanto “il 99% di Internet, l’Internet fisico, è nelle mani dei privati”.
Il tempo si è incaricato di confermarci che sbagliava, dimostrando che pure i grandi proprietari dei mezzi di telecomunicazione, e non soltanto i loro governi, hanno l’interesse a tapparci la bocca ed il potere di farlo. Ma si è anche incaricato di mostrare che malgrado le storiche sconfitte patite nel corso del XX secolo, ai padroni facciamo ancora paura.
Note:
[1] Come ciò viene fatto è parte del segreto industriale di ciascuna azienda ma anche la semplice rimozione di un “target” per le inserzioni pubblicitarie può servire allo scopo. In Facebook il “target” rappresenta l’identificatore chiave della struttura del database. Non chiamano le persone “abbonati” o “utenti” o altro, li chiamano “target” (bersaglio). Quando si effettua una campagna pubblicitaria, si sceglie il “target” in modo tale che le pubblicazioni siano dirette esclusivamente a quelle persone e in tal modo si forma indirettamente una sorta di gruppo di persone che si informa su quel tema. Si noti che dal prossimo gennaio, da esempio, Facebook non consentirà più di usare “Antonio Gramsci” come “target” per le inserzioni.