Perché la manovra di Draghi servirà solo alla speculazione, senza risollevarci dalla crisi. Il Qe inoltre prevede che l’erogazione di liquidità sarà proporzionale alle quote di capitale che ogni banca nazionale sottoscrive presso la banca centrale, quindi a beneficiare di questa operazione saranno i paesi più forti come la Germania a discapito dei paesi deboli come la Grecia, a riprova che le politiche di questa UE non sono per nulla basate sulla solidarietà.
di Ascanio Bernardeschi e Pasquale Vecchiarelli
Prima ancora che il quantitative easing (QE) inondi di liquidità l'Eurozona, siamo stati sottoposti a un'altra inondazione: i commenti entusiasti della stampa compiacente su questo “bazooka” che finalmente invertirà le politiche restrittive e permetterà il rilancio dell'economia.
Cos'è il QE (alleggerimento quantitativo)? Secondo la prassi fin qui seguita è un mezzo per creare moneta da parte di una banca centrale e per iniettarla nel sistema finanziario ed economico. L'aumento della massa monetaria in circolazione avviene con l'acquisto di titoli di stato direttamente dagli stati emittenti, nelle aste da questi ultimi indette per collocare i titoli del proprio debito e approvvigionarsi così di liquidità. In questo modo, nelle fasi di recessione, la nuova moneta permette agli stati non fanatici dell'austerità di intervenire con la spesa pubblica a sostegno della domanda. Altro effetto atteso è la riduzione dei tassi di interesse dovuto all'aumento della domanda di titoli nelle aste. Infine si aggiungono l'aumento del saggio di inflazione e la riduzione della quotazione della moneta rispetto alle altre valute, il che favorisce le esportazioni. La combinazione di tutti questi effetti di solito funziona anche da stimolo agli investimenti dei privati e innesca un meccanismo virtuoso (il cosiddetto moltiplicatore keynesiano) in grado di rilanciare l'economia. Così hanno fatto negli anni scorsi, con risultati non trascurabili, la Federal Reserve Usa e le banche centrali giapponese e inglese.
Ma per la Banca Centrale Europea (BCE) questo tipo di manovra è proibito. E il governatore Draghi ha dovuto battere un'altra strada: un programma di acquisto di titoli di Stato, obbligazioni di istituzioni europee, titoli cartolarizzati (Abs) e obbligazioni garantite (covered bond), non direttamente presso gli emittenti, ma presso le banche che detengono tali titoli. Si tratta di 60 miliardi di euro al mese di acquisti e per almeno 19 mesi, fino al settembre 2016. Salvo prorogare il programma se a quella data non si è raggiunto l'obiettivo di avvicinare l'inflazione al 2%. In totale saranno almeno 1.140 i miliardi immessi nel sistema finanziario dell'Eurozona. Si potranno però acquistare solo titoli di stato considerati affidabili (investment grade) da almeno un'agenzia di rating. Dunque i ribelli Greci e i Ciprioti saranno esclusi, a dimostrazione che dietro scelte apparentemente tecniche si possono celare scelte politiche.
A questo proposito desta notevole preoccupazione l’idea, trapelata euforicamente anche in ambienti di sinistra, che la trattativa ellenica possa aver aperto la strada ad un presunto ridimensionamento del ruolo politico della Troika . Si legge in alcune analisi che, grazie ai mutati rapporti di forza in Grecia, la Troika svolgerà nelle prossime trattative un ruolo più tecnico e meno politico. Come non abbiamo mai creduto che possano esistere governi tecnici così non crediamo che l’intervento della BCE, del FMI e della CE possa essere un intervento “tecnico”. Il potere di queste istituzioni sovranazionali è innanzitutto politico e le soluzioni avanzate sul piano economico, come questa sul Qe, rispecchiano in ultima istanza la volontà di risolvere la crisi di accumulazione attraverso una ben precisa strategia, il cui orizzonte, più o meno sfumato, rimane sempre quel complesso di processi che Marx ha definito “fattori di controtendenza”.
Ritornando al QE, ogni banca centrale potrà acquistare titoli nei limiti del 33% del debito di ciascun paese e del 25% dei titoli della stessa specie esistenti sul mercato.
Però, secondo la vulgata prevalente, anche questo meccanismo meno diretto produrrà effetti benefici: la riduzione dei tassi fa salire le quotazioni dei titoli, con effetti a cascata sui rendimenti delle altre obbligazioni. Con ciò si abbasserebbe il costo del credito, con vantaggi per famiglie e imprese. Le banche, presso cui saranno comprati i titoli, si ritroveranno inoltre con nuova liquidità disponibile e questo, ci dicono, dovrebbe favorire la loro propensione a prestare soldi all'economia reale. L'altro effetto, già visto prima del lancio del Qe, è quello sui cambi, con l'euro in discesa fino a raggiungere quasi la parità sul dollaro, favorendo le esportazioni.
Ragionando più realisticamente sulle giustificazioni teoriche e sui possibili effetti pratici di questa manovra le cose sono meno rosee.
L’obiettivo principe sancito nei trattati europei, è quello di tenere sotto controllo l’inflazione. La Bce si è sempre attenuta a questo postulato monetarista e ha escluso tra i suoi obiettivi il sostegno della crescita e dell’occupazione. Se finora il pericolo dell'inflazione è stato il pretesto per legittimare le politiche di austerità, oggi questa scusa non regge più. Il problema è esattamente l'opposto: un'inflazione, che sta registrando valori negativi (circa -0,2%). Quindi serve aumentare la massa monetaria per rilanciare i prezzi. E difatti l'obiettivo di questa misura, dichiarato esplicitamente, è l'aumento dell'inflazione.
Nel momento in cui i margini della manovra della BCE sui tassi di interesse, ormai praticamente azzerati, sono esauriti, l’ultima possibilità per il monetarismo imperante è l'aumento della massa monetaria. Ma in questo caso tale aumento servirà solo a rilanciare i profitti e la speculazione e rifinanziare le banche, non certo a rimettere in moto l'economia e sbloccare il credit crunch (stretta creditizia). Vediamo perché.
1) Gli acquisti verranno realizzati sul cosiddetto mercato secondario (presso le banche private) e non direttamente presso gli stati, che non saranno quindi finanziati. Non c'è molta differenza con le misure già attuate da Draghi nel 2011con cui si offrì alle banche denaro a tassi irrisori perché acquistassero titoli di stato, e tuttavia il credito è ugualmente crollato negli ultimi anni e l'economia reale ha subito un peggioramento. Secondo l'Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre, Cgia, si è verificata nello stesso periodo una contrazione nell'erogazione degli impieghi pari a 110 miliardi di euro. La cosa è comprensibile se si pensa che le “sofferenze” (leggasi crediti a rischio di insolvibilità) detenute dalle banche sono notevoli e che ciò le induce a preferire l'impiego della liquidità in operazioni finanziarie piuttosto che in prestiti all'economia reale, mentre analogamente imprese e famiglie sono poco propense a indebitarsi in una situazione dalle oscure prospettive.
2) Solo una minima parte degli acquisti di titoli, il 20%, verrà effettuata direttamente dalla Bce. La stragrande maggioranza, l’80%, sarà a carico delle banche centrali nazionali, come la nostra Banca d’Italia, che si assumeranno anche i rischi correlati in caso di ipotetico fallimento dello stato. Di fatto, l’operazione è a carico delle singole nazioni, senza traccia alcuna di solidarietà.
3) Gli acquisti saranno proporzionali alle quote che ciascuna banca centrale detiene nel capitale Bce, e quindi saranno più consistenti nei paesi che sono i “maggiori azionisti”, a prescindere dalle effettive difficoltà che ciascuno di essi sta incontrando nel finanziare il proprio debito. E anche questa non è una pura scelta tecnica. La Germania, che paga già interessi reali negativi, verrà “beneficiata” da questa operazione molto di più dei PIIGS, che pagano alti tassi d’interesse. A riprova di ciò, la Grecia, che soffre più di tutti per gli alti tassi, non avrà nessun beneficio!
4) L'operazione va valutata congiuntamente con alcune ipotesi che vanno maturando riguardo alla supervisione bancaria europea. Manfredo De Leo, sul Manifesto del 2 marzo (Quantitative Easing. La grande abbuffata del Governatore) cita un rapporto dell'agenzia di rating Fitch, che parla di questo nesso. In pratica si vorrebbe imporre alle banche europee regole uniformi per “recidere il nesso diabolico” con i governi. In soldoni le banche, che sono piene di titoli del debito pubblico e che utilizzano questo “portafoglio” come riserva, finora considerata sicura, a garanzia dei depositi (cioè dei loro debiti), dovranno in futuro considerare tali riserve alla stregua di altre attività finanziarie, cioè rischiose. Quindi, a differenza di quanto avviene oggi, dovranno accantonare altra liquidità a fronte dei titoli detenuti. Con una mano si darà loro nuova liquidità e con l'altra le si obbligherà a immobilizzarla, vanificando in parte l'effetto del QE.
Ma l'obiezione più sostanziosa e determinate è la seguente: a questa manovra rigorosamente monetarista non si affianca una politica fiscale. Al contrario vengono ribadite le politiche di rigore e vengono bastonati gli stati che, come la Grecia, tentano di superarle. E neppure è all'orizzonte una politica industriale. Politica fiscale e industriale potrebbero trovare uno strumento prezioso nella nuova liquidità. In loro mancanza è prevedibile che il nuovo denaro non venga assorbito dall'economia reale e vada per altri lidi, per esempio nella speculazione. Si tratta di quella che Keynes definì la “trappola della liquidità”, secondo cui, nei periodi bui, gli operatori preferiscono non spendere la liquidità che viene loro messa a disposizione, rendendo aleatori, nelle fasi di recessione, gli esiti di manovre esclusivamente monetarie.
Nell'odierna situazione, con i tassi d’interesse nominali ormai pari a zero o vicini allo zero, le banche centrali non possono farli scendere ulteriormente, e gli strumenti a disposizione della politica monetaria si esauriscono. Il vero motore della domanda non può più essere il settore privato e serve un ruolo pubblico propulsivo.
Da un punto di vista riformista la medicina è quindi il rilancio dell'intervento pubblico (redistribuzione dei redditi, deficit spending). Ma queste politiche stanno incontrando seri limiti, il principale dei quali è la riduzione del saggio medio del profitto, tanto che, nonostante la recessione, l'Europa continua a imporci politiche di austerità, di riduzione del costo del lavoro e della democrazia nel mondo del lavoro. E infatti Draghi caldeggia ancora “riforme strutturali” che ormai sappiamo cosa significano: jobs act, privatizzazioni e simili.
L'unica alternativa, per coloro che vogliono “cambiare lo stato di cose presenti” è una regolazione consapevole dell'economia che non sia più orientata dai profitti, ma dai bisogni. Serve quindi un programma di riforme di struttura che siano l'esatto opposto delle “riforme strutturali” caldeggiate dalla troika e da Draghi e di cui il governo Renzi è scrupoloso esecutore.