Fondato nel 1945 da Hồ Chí Minh con il nome di Repubblica Democratica del Vietnam (Việt Nam Dân chủ Cộng Hòa), l'odierno Stato vietnamita è stato ribattezzato nel 1975, al momento della riunificazione sotto una sola bandiera, in Repubblica Socialista del Vietnam (Cộng hòa xã hội chủ nghĩa Việt Nam). In questi anni, il Paese è sempre rimasto sotto la guida egemone del Partito Comunista del Vietnam (Đảng Cộng sản Việt Nam), che, lungi dall'essere un'entità monolitica e dottrinaria, ha saputo modificare le proprie politiche in base alle contingenze del momento, permettendo al Vietnam di diventare uno dei Paesi con la crescita più impressionante al mondo.
Coloro che vedono il marxismo come una religione laica, fatta di dogmi e precetti, storceranno sicuramente il naso sapendo che il governo vietnamita, sin dal 1986, data della morte del leader Lê Duẩn, ha adottato quello che molti definiscono “socialismo di mercato”, ma che, secondo i documenti ufficiali del Partito Comunista e la Costituzione vietnamita andrebbe denominato come “economia di mercato ad orientamento socialista”. Per far fronte alla crisi economica che travolse diversi Paesi asiatici negli anni '80, ed alla luce della crisi che il socialismo reale stava vivendo nel blocco del Patto di Varsavia, il PCV preferì conservare il proprio potere, pur favorendo il passaggio da un'economia pianificata ispirata al modello sovietico ad un sistema nel quale, pur non mancando gli elementi di mercato, resta comunque preminente il ruolo dello Stato.
Se la data enunciata del 1986 può dare l'idea di una cesura netta, la riforma realizzata in Vietnam sarà in realtà progressiva, permettendo così la modifica del modello economico senza intaccare l'egemonia politica del Partito Comunista, al contrario di quanto accaduto nei Paesi dell'Europa Orientale: nel 1987, una legge concederà gli investimenti diretti esteri (IDE); nel 1988, sarà la volta della soppressione del vecchio sistema di controllo dei prezzi; la nuova Costituzione, entrata in vigore nel 1992, legalizzerà la proprietà privata (ma non quella della terra, che ancora oggi non può essere acquistata, ma solo presa in concessione dallo Stato); nel 1993, il diritto di usufrutto della terra verrà reso trasferibile per via ereditaria.
Come noto, un modello simile era stato adottato, già a partire dal 1982, nella Repubblica Popolare Cinese, e il Vietnam ha sicuramente preso spunto dalle riforme attuate da Deng Xiaoping, tant'è che anche nella retorica del PCV in quel periodo ritroviamo spesso parole ed espressioni provenienti dalla politica del leader cinese. Lungi dal rappresentare un modello perfetto di socialismo, l’economia di mercato ad orientamento socialista cerca di conciliare nel miglior modo possibile il socialismo scientifico di marxiana memoria con la realtà tangibile del capitalismo imperante a livello globale, evitando un isolamento politico e commerciale che si sarebbe probabilmente trasformato in una crescente povertà per la popolazione. Al contrario, i Paesi che hanno adottato questo modello (Cina, Vietnam e Laos) hanno fatto registrare negli ultimi anni crescite del PIL sempre superiori al 6%. Ad impressionare sono proprio i dati riguardanti il piccolo Laos, Paese montagnoso e senza sbocco al mare, due caratteristiche che in genere condannano economicamente qualsiasi Paese. Grazie al controllo del governo sui principali fattori economici ed alla cooperazione con i Paesi limitrofi (in particolare grazie all’ASEAN – l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, della quale fa parte anche il Vietnam), il governo di Vientiane sembra al momento aver aggirato queste difficoltà.
A lungo, va detto, questi Paesi hanno basato la propria competitività sul basso livello dei salari, divenendo fornitori di manodopera a basso costo per le multinazionali statunitensi ed europee. Oggi, però, tanto la Cina quanto il Vietnam stanno puntando fortemente sull'aumento dei consumi interni per favorire la crescita economica, l'arricchimento della popolazione ed una distribuzione che, seppur lontana dalla perfetta equità, limita abbastanza efficacemente una sperequazione eccessiva. Il governo vietnamita, in particolare, ha da tempo fissato dei salari minimi, che vengono innalzati di anno in anno di una percentuale sempre superiore rispetto all'inflazione, permettendo così un miglioramento delle condizioni materiali delle fasce più povere della popolazione. Nel 2018, ad esempio, è stato deciso un rialzo medio su base nazionale del 6.5% dei salari minimi, mentre l’inflazione è stata mantenuta sotto la soglia del 4%, ma soprattutto l'azione del governo ha permesso di mantenere sotto il mezzo punto percentuale l'inflazione per quanto riguarda i beni di prima necessità.
Per la precisione, il territorio vietnamita è suddiviso in quattro fasce economiche, che vanno dalla prima fascia, della quale fanno parte le principali città, come la capitale politica, Hanoi, e quella economica, Ho Chi Minh City, alla quarta fascia, dove sono inserite le aree più povere ed impervie del Paese. Sempre tenendo conto dei dati del 2018, l’aumento più importante dei salari minimi è stato attuato proprio nelle zone più povere (6.9%), quelle che attualmente godono di salari più bassi, mentre è stato del 6.1% nelle aree urbane più sviluppate di prima fascia. Queste politiche permettono un lento ma graduale aumento del potere d’acquisto delle famiglie, assottigliando anche la diseguaglianza tra aree urbane ed aree rurali, il tutto condito dal raggiungimento praticamente della piena occupazione (attualmente la disoccupazione è appena superiore al 2%) ed un’età pensionabile di 60 anni per gli uomini e 55 per le donne.
Anche nel 2019, il governo ha deciso di attuare questa sorta di “scala mobile vietnamita”, dopo essere riuscito a mantenere, per l'anno appena trascorso, il tasso d'inflazione medio sul 3,54%. Lo scorso 15 gennaio, il Consiglio Nazionale sui Salari ha confermato un aumento dei salari minimi del 5,3%, trovando un compromesso tra la richiesta del Confederazione Generale del Lavoro, l'unico sindacato legale nel Paese, che aveva richiesto il 6,1%, e la Camera del Commercio, che invece si era espressa su cifre più basse.
A salire, però, non sono solamente i salari minimi: il governo ha confermato una crescita generale dei salari medi in tutti i tipi di attività per l'anno 2018, che vanno dal 6,2% al 10,1%, a seconda dei settori economici presi in considerazione. Anche in questo caso, si tratta di dati decisamente più elevati rispetto all'ammontare dell'inflazione, e si riflettono perfettamente in un aumento dei consumi dell'11,7% su base annua.
Naturalmente, pur alla luce dei grandi miglioramenti fatti, non va negato il fatto che i salari minimi in Vietnam restano ancora alquanto bassi (circa 160 euro al mese per la zona I, circa 110 euro al mese per la zona IV), ma non va dimenticato che stiamo parlando di un Paese che è stato in guerra fino a pochi decenni fa, e che sconta ancora un duro prezzo da pagare per quel conflitto, come la perdita di gran parte delle proprie foreste e gli effetti nefasti dell'uso di armi chimiche da parte degli Stati Uniti, che continuano a fare del Vietnam il Paese al mondo con la maggior percentuale di popolazione disabile. Detto questo, il controllo dei prezzi – seppur più blando rispetto al passato – da parte del governo, la bassa inflazione e le basse imposte (l'IVA sui beni di prima necessità è al 5%) permettono di vivere anche con salari poco elevati.
Un ultimo fattore che vogliamo sottolineare, è il controllo del governo centrale sulla propria moneta nazionale, questione da tenere bene a mente nel momento in cui proprio i Paesi europei sono privati di questo importante strumento di politica economica. Negli ultimi anni, abbiamo più volte assistito alle cosiddette svalutazioni competitive del Đồng da parte del governo vietnamita, sulla scia di quanto fatto con lo Yuan in Cina, mossa fondamentale per continuare a permettere al Vietnam di essere il secondo esportatore mondiale di riso dopo la Thailandia ed il secondo esportatore di caffè alle spalle del Brasile.
In conclusione, crediamo che il cosiddetto “socialismo di mercato”, al di là dei rifiuti ideologici che può generare, rappresenti un modello economico da analizzare approfonditamente per svariate ragioni: innanzitutto, questa è oggi l’unica alternativa effettivamente esistente che sembra poter tenere testa al modello capitalista a guida statunitense, adottato dalla maggior parte del mondo; in secondo luogo, l’analisi dei dati macroeconomici sembra indicare un trend decisamente favorevole a questi Paesi, tale da non poter essere più ignorato, soprattutto paragonandoli con quelli della stessa area geografica. Se la Cina è già una superpotenza economica globale, il Vietnam sta rapidamente scalando le gerarchie, e presto diventerà un cliente da non sottovalutare: secondo gli analisti economici, l'economia vietnamita – fatte le dovute proporzioni territoriali e demografiche – sconta un ritardo di soli dieci anni rispetto al gigante cinese.
FONTI DEI DATI MACROECONOMICI
Vietnam:
https://tradingeconomics.com/vietnam/indicators
https://www.vietnam-briefing.com/news/vietnam-hikes-minimum-wages-by-5-3-percent-in-2019.html/
https://www.vietnam-briefing.com/news/vietnams-retail-and-consumer-services-grows-11-7-in-2018.html/
https://wageindicator.org/salary/minimum-wage/vietnam/
Laos:
https://tradingeconomics.com/laos/indicators
Cina:
https://tradingeconomics.com/china/indicators
BIBLIOGRAFIA
CHINAPPI, G. (2018), Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam
CHOI, Y. S. (2011), “The Evolution of “Socialism with Chinese Characteristics”: Its Elliptical Structure of Socialist Principles and China’s Realities”, Pacific Focus, 26(3): 285-404.
DOVERT, S. & B. DE TRÉGLODÉ (2004), Viêt Nam contemporain, Bangkok: Indes savantes, Institut de recherche sur l'Asie du sud est contemporaine.
THE WORLD BANK (1993), Viêt-nam, Transition to the Market, Washington: The World Bank.
XUANG, D. C. & A.-D. T. THI (2005), “Transition et ouverture économique au Vietnam: une différenciation sectorielle”, Économie internationale, 104(4): 27-43.