Correva l’anno 2008 quando Cgil, Cisl e Uil presentarono al governo un documento unitario per riformare la contrattazione. In quel documento scrissero che al posto dell’inflazione programmata, in vigore fin dal 1993 con il governo Ciampi (prima ancora si indicizzava con l’inflazione reale), sarebbe stato preferibile un nuovo meccanismo per calcolare l’inflazione e di conseguenza gli aumenti contrattuali.
Ma invece di reintrodurre la scala mobile con meccanismi certi di recupero del potere di acquisto preferirono parlare di “inflazione realisticamente prevedibile” ossia il codice Ipca (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell’Unione) che restava ancorato ai meccanismi comunitari di contenimento dell’inflazione e della dinamica contrattuale. Al posto della democrazia economica subentrava allora il dogma di Maastricht che negli anni successivi avrebbe portato a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione.
In quel contesto venne suggerito di utilizzare indicatori univoci, quali il deflatore dei consumi interni o l’indice armonizzato europeo corretto con i pesi dei mutui. Le stesse confederazioni sindacali proposero anche che al realizzarsi di eventuali differenziali inflazionistici si dovessero attivare meccanismi certi di recupero dell’inflazione.
Un anno dopo, nel 2009, Confindustria, Cisl e Uil firmarono il nuovo accordo interconfederale sugli assetti contrattuali. La Cgil, presente alle trattative, non firmò né l’accordo quadro con il governo, né l’accordo interconfederale, perché ritenne, con una sorta di preveggenza, che il nuovo modello di recupero dell’inflazione non avrebbe garantito una sufficiente tutela dei salari.
La pubblica amministrazione ha subito 9 lunghi anni di blocco della contrattazione che hanno decretato la debacle salariale dalla quale non ci siamo più ripresi. In questi ultimi 25 anni i salari della Pa italiana sono risultati i più bassi dei paesi fondatori dell’Ue e di quelli a capitalismo avanzato, la forza lavoro, in virtù del sostanziale blocco del turn over, sempre nei 9 anni prima menzionati, la più anziana e oggi si scopre, dati Aran, anche la meno aggiornata con il taglio in 12 anni del 40% dei fondi destinati alla formazione.
La durata triennale dei contratti collettivi nazionali e decentrati, sancita da quell’accordo interconfederale individua un nuovo parametro per adeguare le retribuzioni ai prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo (Ipca) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.
A stabilire la previsione degli aumenti sarebbe stato l’Istat che rinviava eventuali scostamenti tra inflazione prevista e quella reale a successivi recuperi che nei fatti si sono tramutati in ben poca cosa.
Teniamo conto che gli indici sono sempre considerati al netto dei prodotti energetici importati e guarda caso la dinamica in continua crescita dei prezzi energetici fa perdere potere di acquisto, di conseguenza gli aumenti salariali saranno sempre inferiori al reale aumento del costo della vita e non copriranno l’inflazione reale.
Teniamo conto poi che i contratti sono siglati sempre con anni di ritardo e l’indennità di vacanza contrattuale, corrispondente nel migliore dei casi allo 0,50 per cento del tabellare, determina un’ulteriore beffa e perdita del potere di acquisto, perché nel migliore dei casi andremo a prendere meno di un quarto, o di un quinto, di quanto comporteranno gli stessi contratti, al netto, come aumento contrattuale mensile.
(rinviamo a un approfondimento della Cub Comune di Pisa).
La perdita del potere di acquisto è evidente: il codice Ipca fa perdere potere di acquisto, idem l’indennità di vacanza contrattuale, altri soldi che poi saranno da decurtare dai futuri aumenti contrattuali.
Se poi consideriamo lo scambio diseguale tra aumenti contrattuali e servizi o la beffa di sanità e previdenza integrativa (sacrificando il Tfr), ci rendiamo conto di come l’intera dinamica contrattuale concordata con i sindacati rappresentativi abbia rappresentato una debacle autentica per i nostri salari.
E poco conta se gli aumenti accordati nei rinnovi contrattuali futuri saranno di poco superiori ai calcoli con il codice Ipca, la perdita di potere di acquisto è sempre più marcata condannando i nostri salari (come le future pensioni calcolate con il contributivo) a una autentica miseria.