BREMA. Tra le crisi multiple che colpiscono ancora un numero indeterminato di soggetti privati e pubblici in Europa e nel mondo intero c’è anche la crisi economica che si intreccia con la crisi finanziaria e monetaria, con le crisi sociali, ambientali, culturali, migratorie, politiche, istituzionali. La crisi economica è importante – qualche economista dice principale e principiante – come fenomeno che non può essere ricondotto a un unico punto di vista. Diversificare i punti di vista significa chiedere “chi” è in crisi. In Germania si tende ad attribuire la crisi ad altre esperienze nazionali, Italia inclusa, alle istituzioni dell’Unione europea e della comunità internazionale, ovvero al capitalismo e alla sovranità statuale. Qualche analista geo-politico parla ormai da tempo di una egemonia tedesca dovuta alla stabilità economica e politica del Paese. L’economia tedesca, però, mentre alla fine del 2015 risultava cresciuta del 1,7% annuo e con il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 24 anni, ha attraversato un 2016 difficile, pur con il surplus dei bilanci pubblici prontamente investito nell’accoglienza dei rifugiati. L’indice OECD di life-satisfaction ci dice che i tedeschi sono al di sopra della media europea e mondiale, a ridosso dei paesi scandinavi. Insomma, diagnosi e prognosi delle crisi, per molti economisti tedeschi e non solo, riguarderebbero di più l’Eurozona, i mercati finanziari internazionali e l’economia globale piuttosto che l’economia tedesca. Da sempre improntata alle esportazioni, si valuta anche più interdipendente. La crisi economica che si sta affrontando all’interno dell’Unione europea con la strategia Europa 2020 (“smart, sustainable and inclusive growth”) è caratterizzata da incertezza e dissenso tra gli esperti economisti: da una parte i neoliberisti, dall’altra i neostatalisti con in gioco le politiche di austerità.
Bisogna evidenziare come le crisi siano costruzioni sociali di una realtà che può essere elaborata da politiche del diritto con lo sviluppo di dispositivi preventivi e gestionali. Nella crisi economica viene coinvolta anche la politica costituzionale, a esempio con nuove istituzioni, come il consiglio di stabilità. Con il tentativo di frenare l’indebitamento si ricerca anche una stabilizzazione della polity, ovvero una (ri-)costruzione della sovranità dello Stato rispetto al mercato. Qui in Germania viene proposta una ricostruzione storica dell’impatto delle crisi economiche sulla definizione delle norme costituzionali e viceversa dell’impatto delle norme costituzionali sulla prevenzione e repressione delle stesse crisi
La crisi finanziaria mondiale ha lasciato tracce profonde in Germania, perfino nel testo della Legge fondamentale, perché ha accelerato i lavori sulla riforma del federalismo che hanno portato alla riforma costituzionale del freno all’indebitamento 2009 sul modello svizzero del cantone di Basilea. La riforma è proseguita con una lettera comune dei governi tedesco e francese, la cui sostanza è confluita nel Patto Europlus, quello di raccomandazione delle riforme costituzionali analoghe in tutti i Paesi europei, che comunque non offriva strumenti di cognizione adeguati rispetto alle motivazioni.
Alcuni analisti universitari sostengono che la stabilità dei mercati finanziari è diventata un bene pubblico per il quale risponde lo Stato anche attraverso la loro regolazione. La responsabilità impone di ottenere un rapporto adeguato tra i fattori di rischio (congiuntura, credito, liquidità) e la sostenibilità dei rischi nel sistema economico (rendite, dotazione e riserve di capitale e strumenti di sicurezza delle imprese). La responsabilità dovrebbe vietare la trasformazione di giudizi di rating e risk assessment privati in decisioni pubbliche e recepire automaticamente gli standard del comitato di Basilea. Altri economisti sottolineano che occorre l’imposizione di una regolazione dei mercati finanziari ispirata al principio di precauzione che può crescere con la distanza dal mercato finanziario da parte dell’economia reale. Il debito pubblico nazionale è un rischio sistemico dell’unione monetaria che esige non tanto una solidarietà con gli Stati, quanto piuttosto una stabilità e sostenibilità delle politiche economiche e finanziarie nazionali, giustificando aiuti d’emergenza anche con un metodo di coordinamento intergovernativo aperto, purché sia rispettata sempre la responsabilità del parlamento per il bilancio.
Lo Stato dovrebbe prendersi cura dei rischi di sistema delle istituzioni del mercato finanziario, in particolare delle banche che approfittano di uno status di troppo grande per fallire.
Dunque, sussiste una crisi “del” diritto che andrebbe distinta dalla crisi “nel” diritto. Ci troveremmo in un momento in cui il diritto come ordine è messo in questione e offre opportunità di trasformazione. La crisi finanziaria è, quindi, soltanto una parte di una crisi economica che investe la società e lo Stato. Può essere analizzata come crisi delle banche, della moneta e del debito pubblico, ma anche come crisi strutturale del sistema dei mercati finanziari. Gestire le crisi finanziarie richiede misure istantanee, amministrative con denaro e interventi sul quadro normativo che possono incidere sulle funzioni di garanzia dello Stato, anche nella giurisprudenza costituzionale sulle garanzie del minimo di esistenza sociale che da una parte le giustificano con il principio della dignità, ma dall’altra parte le limitano con la condizionalità finanziaria.
Rispetto alle crisi del debito sovrano, in Germania si sopravaluta le capacità dello Stato e questo non può fare a meno di clausole derogatorie per situazioni di crisi. Il diritto dell’UE si va progressivamente internazionalizzando con accordi e consuetudini derogatorie che rischiano di indebolire la fiducia dei cittadini nell’integrazione europea. Qualche docente sostiene la necessità di un meccanismo di perequazione finanziaria che tenga conto dell’indebitamento e garantisca trasferimenti limitati a ogni legislatura, non un indebitamento dell’Unione sul modello di uno Stato. Stiamo alla finestra….