AMSTERDAM, BRUXELLES. Nel girovagare per trovare qualche attendibile risposta su come stanno le economie di alcuni Paesi europei, una doverosa sosta va fatta nella capitale UE e del Belgio, Bruxelles e nella città di Amsterdam, sede delle istituzioni economiche olandesi. Due sovranità nazionali dell’Europa unita che la Storia ricorda anche per le bellicose attività colonialistiche che da queste parti consolidarono il capitalismo di cui erano figlie diventandone contemporaneamente madri.
I Paesi Bassi sono la quinta economia dell’Unione Economica e Monetaria (dopo Germania, Francia, Italia e Spagna) vantando il terzo PIL pro-capite dell’Eurozona, dopo Lussemburgo e Irlanda – come ci dicono all’Eurostat [1]. Il Rapporto “Doing Business 2016” della Banca Mondiale sostiene che, nel loro insieme di reti economiche, i Paesi Bassi sono al 28esimo posto, su 189 Paesi, per la facilità di aprire e di amministrare un’impresa. La forza del comparto primario rende il Benelux (Olanda-Belgio-Lussemburgo) il secondo esportatore mondiale nel settore agricolo. A detta del Global Competitiveness Report 2015-2016 del World Economic Forum i Paesi Bassi sono la quinta economia mondiale per livello di competitività: dopo Svizzera, Singapore, Stati Uniti d’America e Germania, vengono loro risalendo tre posizioni rispetto all’ottavo posto conseguito nei precedenti ultimi due anni.
Nel 2015 e nel 2016 la crescita del PIL è stata più accelerata che altrove nell’Unione Economia e Monetaria, perché la globalizzazione del commercio mondiale e l’aumento della spesa interna hanno consentito il miglioramento del mercato immobiliare sostenuto da interessanti sgravi fiscali.
Del suo ce l’ha messo anche una politica industriale che ha fatto focalizzare gli investimenti in settori prioritari in cui i Paesi Bassi, qui intesi come sinonimo della sola Olanda, hanno vantaggi: agroalimentare, ortofrutticolo, alta tecnologia, energia, logistica, industria creativa, scienze biologiche e mediche, chimica, gestione delle acque. Una politica industriale di sostegno a questi settori viene praticata con finanziamenti alla ricerca e allo sviluppo tramite quelle che vengono definite PPP (Public Private Partnerships), vale a dire il partenariato pubblico-privato. Strana logica vuole che qui, molto vicini al centro del potere politico UE, ma distanti dal centro del potere economico e monetario di Francoforte, l’economia sia particolarmente dinamica. Va detto che il favorevole “business climate” sia improntato alla massima efficienza economica a bassa imposizione fiscale così da rendere i Paesi Bassi un’importante destinazione di multinazionali straniere, le regine del capitalismo sfrenato e del liberismo, fortemente attratte dal favorevole clima fiscale. Elementi che anche in tempo di crisi globale agonia del capitalismo finanziario truffaldino rafforzano la tradizionale vocazione olandese all’esportazione, ancora abbastanza bilanciata nei tre settori dell’economia.
Quindi, nonostante il rallentamento dell’economia mondiale, l’agonia del capitalismo e il fallimento del liberismo, c’è l'aumento delle esportazioni olandesi che resta ancora robusto, grazie alla subordinazione delle economie dei principali partner commerciali europei che hanno consentito a rendere i Paesi Bassi lo Stato componente dell’Unione Europea con il maggiore avanzo commerciale rispetto al PIL.
Ci vengono segnalati anche altri dati che sorprendono chi arriva da un Paese ridotto com’è l’Italia di questi tempi: non solo l’effetto trainante delle esportazioni, ma anche la ripresa della domanda interna in Olanda fanno diminuire la disoccupazione prevista nel 2017 al 5,3%.
Il Governo olandese, in questo seguito dal governo lussemburghese e da quello (che c’è e non c’è) belga, vorrebbe insistere sul versante del consolidamento fiscale, che ha consentito la chiusura della procedura di deficit eccessivo avviata dalla Commissione Europea. Il disavanzo pubblico è diminuito e si sta arrivando al pareggio di bilancio nel 2017.
Qui ci si pone l’interrogativo che vale ricordare, ovvero come, nel piatto di Paesi capitalisti alcuni dei quali con un bagaglio di colonialismo, non si riesca a seminare il dubbio che l’esportazione spericolata di prodotti agricoli coltivati con tecniche anti-ambientaliste prima o poi farà crollare economie che si riescono a mantenere grazie alla spregiudicatezza della finanza pericolosa e tossica che da queste parti ha numerose sedi.
[1] Il dato sul PIL pro-capite è calcolato “a parità di potere d’acquisto”, vale a dire attraverso una tecnica che dovrebbe pesare il diverso potere di acquisto che 1 euro ha in diversi paesi caratterizzati da un diverso livello dei prezzi.