Il referendum sull'autonomia che si terrà a ottobre in Lombardia (e in contemporanea, in Veneto), ridefinirà i rapporti politici nella regione. L'opposizione di centrosinistra in Lombardia di fatto non esiste. Il Movimento 5 Stelle è altrettanto impalpabile. Il risultato è che la politica lombarda è un campo su cui giocano solo Comunione e Liberazione e le varie cordate della Lega e del centrodestra.
Il referendum è il congresso della Lega in differita
La prima cosa che dobbiamo dire è che il referendum è di fatto il vero congresso della Lega. Per Salvini le elezioni sono andate male. Nei 160 comuni superiori, la Lega ha ottenuto un magro 5,8%, 12,4% nelle regioni del nord, 5,3% al centro e 0,4% al sud. Il tentativo di una Lega nazionale referente dell'estrema destra è bloccato, lo sfondamento al sud di Salvini è fallito. Al congresso della Lega, Salvini ha dovuto rinunciare al progetto di togliere l'indipendenza della Padania dallo statuto. Maroni e Zaia – che hanno vinto le regionali al grido di “prima il nord!” - si sono ben guardati dal presentarsi alle primarie; la loro sfida sono proprio i referendum. Una buona affluenza al referendum (con la scontata maggioranza di sì), sarebbero una vittoria per l'ala “tradizionalista” della Lega: federalismo, alleanza col centrodestra e gestione del potere locale. La totale ininfluenza dell'opposizione di centrosinistra è dimostrata dal fatto che i sindaci del PD provano a salire sul carro del vincitore dando indicazione di voto per il sì, sostenendo che così diventerebbe una vittoria dei lombardi e non della Lega. Ovviamente, nessuno crede veramente che la vittoria del sì al referendum sarebbe una vittoria del sindaco renziano di Bergamo.
Cos'è il referendum?
Un passo indietro. Per cosa si voterà il 22 ottobre? L'ossessiva campagna pubblicitaria lanciata da Regione Lombardia recita “Referendum per l'Autonomia”. Ovviamente, il voto non sarà sull'autonomia o meno della regione. Il quesito infatti chiede se l'elettore vuole che la Regione avvii il percorso per chiedere – ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione – “l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse”. Un percorso che, per arrivare a buon fine, richiede il voto a maggioranza assoluta di Camera e Senato. Dato che il centrodestra e il PD sono – per l'ennesima volta – d'accordo, il percorso potrebbe aprirsi col voto in consiglio regionale e chiudersi col voto alle camere senza bisogno di imbastire questa campagna. Perché farlo, allora? Per necessità di scontro interno alla Lega, per pesare le correnti. E per chiedere un assegno in bianco. Nella campagna referendaria nessuno dice quali poteri e quali autonomie voglia richiedere la regione. La campagna della Regione (sia chiaro, dell'istituzione, non della Lega) si limita a spiegare che la Lombardia è speciale.
La Lombardia non è la Catalogna
Intendiamoci, l'idea dell'autonomia è molto popolare tra i cittadini lombardi. L'idea di poter gestire i soldi senza dover sostenere “gli altri” è molto popolare. È legittimo chiedersi perchè il referendum catalano riceva simpatia a sinistra mentre quello lombardo con sospetto. Oltre alla storia completamente diversa della Catalogna, il punto è che il processo di indipendenza catalano è davvero popolare – nel senso che mobilita in piazza decine di migliaia di persone ed è in grado di raccogliere centinaia di migliaia di firme sul “Patto Nazionale per il Referendum”. Lo stesso governo indipendentista catalano è una “grande coalizione di indipendentisti” socialdemocratici e conservatori, che sopravvive grazie all'appoggio esterno degli indipendentisti anticapitalisti. Insomma nessuno si illude che quello catalano sia un processo proletario, ma le classi popolari hanno la loro parte lì dentro. Il processo per l'autonomia lombarda invece è costruito per essere un processo delle élites. Al popolo lombardo viene chiesto se affidare un assegno in bianco al governo regionale per andare a contrattare una non meglio precisata autonomia, senza nessuna piattaforma pubblica, mentre il gioco politico è determinato dalla forza delle correnti del centrosinistra e del centrodestra. In pratica, l'esito dell'autonomia lombarda è nelle mani di chi farà la legge elettorale, di chi deciderà le alleanze tra i partiti, di chi deciderà gli equilibri tra le correnti. Nelle mani di tutti, tranne che dei lombardi. Tantomeno dei proletari lombardi.
Il compito dei comunisti
Nella storia del movimento operaio (anche italiano) non sono mancate battaglie più o meno tattiche per la decentralizzazione e la diffusione delle autonomie politico-economiche territoriali. La storia della Jugoslavia dimostra però quanto sia difficile e pericoloso costruire il socialismo in un modello che lasci ampi autonomie ad enti territoriali, specie se fondati su base storico-culturale. I comunisti devono invece battersi per una centralizzazione e pianificazione dell'economia sotto il controllo dei lavoratori. Solo un sistema simile può dar luogo ad un reale intervento politico teso a demolire le differenze di sviluppo territoriale interne ad un Paese. Solo così si può eliminare la storica “questione meridionale”, la quale è evidentemente collegata alla retorica leghista di questo referendum. Rilanciando un programma neo-federalista che risale alla Lega originaria di Bossi la propaganda consiste nel sostenere che i lombardi abbiano diritto a gestirsi i propri soldi contro lo sciupìo delle risorse perpetuato a Roma ladrona e nel Sud. La retorica razzista del meridionale fannullone è dietro l'angolo, così come è evidente il rischio di cercare di distogliere nuovamente i lavoratori dai veri nemici. Il problema di fondo della cattiva gestione delle risorse pubbliche, che spesso è concreto, sta nella malagestione del ceto politico borghese, il quale non osa mettere in discussione il Patto di stabilità che distrugge le amministrazioni locali, né tantomeno la perdita di sovranità (nazionale e popolare) complessiva del Paese, entrambe dovuti ad una subalternità politica, economica e culturale all'Unione europea imperialista. Per queste ragioni è meglio che il 22 ottobre i comunisti disertino le urne, e possibilmente uniscano le loro forze a quelle delle (poche e frammentate) forze popolari e progressiste lombarde per denunciare questo imbroglio, caratterizzando però la propria posizione politica attraverso la denuncia sistematica dei vincoli europei e delle conseguenti politiche neoliberiste e imperialiste. La buona amministrazione sarà tale non quando vedrà il fiorire delle autonomie territoriali, ma quando vedrà il fiorire della gestione diretta dei lavoratori all'amministrazione pubblica.