Da molti anni è diffusa una poesia (la leggende vuole che sia apparsa per la prima volta come graffito sui muri di Monaco) che recita: “La tua auto è giapponese e il tuo caffé è brasiliano. Il tuo orologio è svizzero e il tuo walkman è coreano. La tua pizza è italiana e la tua camicia è hawaiana. Le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine. Cittadino del Mondo, non rimproverare il tuo vicino di essere straniero.”
In poche righe, la poesia riassume la contraddizione della sinistra di fronte all'immigrazione: dato che c'è la libera circolazione di merci e capitali, ci deve essere anche la libera circolazione degli individui. Questo primo punto è palese. Il secondo punto è nascosto: ovviamente parlare di libera circolazione delle persone è un eufemismo per parlare di libera circolazione della forza-lavoro.
Negli ultimi tempi sono almeno due gli avvenimenti politici di primo livello che hanno messo in crisi la retorica da “Cittadino del mondo”: la Brexit e il ciclo elettorale francese.
In entrambi i casi le forze di sinistra hanno rotto con la tradizionale accettazione del binomio “libera circolazione dei capitali – libera circolazione della forza-lavoro”.
L'ha fatto Melenchon che rivendica una gestione realistica delle forze dei flussi in ingresso e soprattutto ha preso posizione sulla necessità di combattere guerra e povertà nei paesi di origine. Una posizione non scontata per una sinistra francese che ha difficoltà a fare i conti col proprio imperialismo Per un certo periodo di tempo, queste prese di posizione di Melenchon gli hanno garantito una pessima stampa su alcuni organi della sinistra, tutta impegnata a cercare di offuscare l'immagine del tribuno del popolo con la consueta accusa di rossobrunismo.
Corbyn invece ha avuto con le elezioni la possibilità reale di gestire l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. Nel mondo labourista c'è stata una discussione aperta che ha portato infine al compromesso presentato come programma elettorale: il Labour ora è per una Brexit in cui le “quattro libertà di movimento dell'Unione Europea” (capitali, beni, servizi, persone) non siano più assolute ma contrattate. Nel Regno Unito ideale di Corbyn ci sarebbero ancora lavoratori europei in UK e lavoratori inglesi in Europa. Secondo le parole di Corbyn: “Quello che non ci sarà, è l'importazione in massa di lavoratori sottopagati dai paesi dell'Europa Centrale per distruggere le garanzie, in particolare nel settore edile”. Per il sindacato UNITE; va rigettato lo scambio tra libera circolazione delle persone e libera circolazione delle merci, i lavoratori stranieri dovrebbero poter essere assunti solo in settori coperti da contratto collettivo, in maniera di non fare concorrenza salariale al ribasso.
Alcune risposte a Boghetta
Qui arrivo al botta e risposta con Ugo Boghetta, iniziato con un mio intervento su La Città Futura a proposito dell'uso del termine “invasione” e proseguito con una risposta di Boghetta sulla sua bacheca Facebook.
Nel mio intervento parlo della necessità di rivedere il dogma della libera circolazione, Boghetta si chiede se mi sia dimenticato di parlare esplicitamente di libera circolazione delle persone “per dimenticanza, pudore o ipocrisia”. Nessuna delle tre, semplicemente la libera circolazione va messa in discussione in toto: capitali, beni, servizi e persone. Non è un caso che gli architetti dell'UE abbiano messo insieme le quattro libertà di movimento. Se quella che si intende perseguire è una politica pro-lavoro, vanno messe in discussione tutte e quattro. Mettendo in discussione solo la libertà di movimento delle persone, in effetti, si produce la situazione italiana, in cui i flussi in entrata sono teoricamente bloccati ma di fatti continuano al di fuori della legalità.
E qui arrivo alla seconda risposta a Boghetta. Il mio rilievo sulle teorie marxiste delle migrazioni viene liquidato come “onanismo”. Penso che ci sia un possibile equivoco. Il mio rilievo non serve a negare che gli immigrati in arrivo siano principalmente “classe media urbana”. È del tutto evidente, e fa parte anche del bagaglio culturale italiano, che gli spostamenti di lunga distanza richiedono risorse economiche e anche un minimo di risorse culturali. Quello che discuto è l'idea che questa “classe media urbana” decida di migrare nel nostro paese o in Europa seguendo l'abbaglio dello stile di vita visto in televisione. Se andiamo a vedere quali sono i paesi di provenienza di chi entra in Europa, scopriamo che l'idea classica marxista per cui le migrazioni seguono il percorso dell'imperialismo è ancora valida: Siria, Afghanistan e Iraq. E ancora, per l'Italia è la Nigeria, un paese in cui l'imperialismo italiano ha qualcosa da dire.
Il problema che sollevo non è la composizione sociale dell'immigrazione, ma la sua causa. In pratica, il problema è riconoscere l'imperialismo sia che prenda la forma delle bombe o delle imprese petrolifere. Se si vuole agire veramente sulle cause dell'immigrazione, bisogna agire sull'imperialismo.
Invasione o immigrazione di massa
Nel mio primo intervento ho sostenuto che l'uso della parola “invasione” offuschi la questione dell'imperialismo e che, essenzialmente, faccia correre il rischio a chi la usa di porsi sullo stesso piano di discorso della Lega Nord.
Boghetta non ha risposto direttamente. Ha fatto però notare che nessuno ha proposto un termine alternativo. È fuori di dubbio che un cambio di passo sulla questione dell'immigrazione necessiti anche di un cambio di passo nell'uso delle parole.
La costruzione di un termine alternativo dovrebbe però passare per un lungo lavoro scientifico collettivo. Su questo, posso limitarmi a notare che né Corbyn né Melenchon hanno adottato un termine usato dallo UKIP o dal Front National. Entrambi parlando di immigrazione di massa. Penso che per ora limitarci a usare la parola italiana che descrive il fenomeno senza portarsi dietro significati leghisti, potrebbe essere un buon inizio. Nel frattempo, dovremmo provare a capire come incidiamo sull'imperialismo.