Un concetto ampliato di lotte di classe

Considerato nel suo complesso, il sistema capitalistico si presenta come un insieme di rapporti più o meno servili imposti da un popolo ad un altro a livello internazionale, da una classe all’altra nell’ambito di un singolo Paese e dall’uomo alla donna. Si comprende allora la tesi che Engels formula riallacciandosi a François Marie Charles Fourier e che è cara anche a Marx, secondo cui l’emancipazione femminile è la “misura dell’emancipazione universale”.


Un concetto ampliato di lotte di classe

Domenico Losurdo, richiamando il noto incipit del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels “la storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe”, pone l’accento sul plurale utilizzato dagli autori, i quali parlano appunto di “lotte di classe”. A partire da ciò, Losurdo sviluppa una delle tesi centrali del suo testo La lotta di classe: il conflitto “tra proletariato e borghesia è solo una delle lotte di classe” [1] che attraversano la storia universale. Losurdo, sempre richiamandosi al Manifesto del partito comunista, mostra che storicamente le lotte di classe hanno assunto forme diverse “nelle diverse epoche storiche, nelle diverse società, nelle diverse situazioni che via via si verificano” [2]. 

Indubbiamente Marx ed Engels danno una grande importanza alla lotta del proletariato nei confronti della borghesia, ma è nello stesso Manifesto del partito comunista, continua Losurdo, che gli autori rivendicano l’importanza della liberazione nazionale della Polonia, come in altri scritti si dichiarano a favore dell’indipendenza dell’Irlanda dal dominio britannico. Anche “l’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai fondata nel 1864” [3], che come il Manifesto si conclude con un’esortazione all’internazionalismo, dà ampio spazio “a una «politica estera» che impedisca l’«assassinio dell’eroica Polonia» come dell’Irlanda e di altre nazioni oppresse, che s’impegni per l’abolizione della schiavitù nera negli USA, che metta fine alle «guerre piratesche» dell’«Occidente europeo» nelle colonie” [4]. In questo caso ci troviamo di fronte a un’altra forma che assume la lotta di classe, cioè la lotta per l’emancipazione delle nazioni oppresse che, a parere di Losurdo, “non è meno importante della lotta per l’emancipazione del proletariato” [5], e che Marx promuove con la stessa passione. In realtà mentre Losurdo dà la preminenza alla questione nazionale, Marx pone sempre al centro della sua riflessione il conflitto fra le classi sociali.

Ma c’è una terza grande lotta di emancipazione che non sfugge all’attenzione di Marx e soprattutto di Engels, in particolar modo nel testo del 1884 L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato [6], cioè quella delle donne, che per Engels è stata la prima oppressione di classe [7]. Le donne che subiscono l’oppressione domestica e non solo, sono considerate, nell’ambito della famiglia, degli strumenti di produzione al pari degli operai; quindi c’è un parallelismo tra la condizione della donna nell’ambito della famiglia e la condizione dell’operaio in fabbrica. Scrive Losurdo: “considerato nel suo complesso, il sistema capitalistico si presenta come un insieme di rapporti più o meno servili imposti da un popolo a un altro popolo a livello internazionale, da una classe all’altra nell’ambito di un singolo paese e dall’uomo alla donna nell’ambito di una medesima classe. Si comprende allora la tesi che Engels formula riallacciandosi a François Marie Charles Fourier e che è cara anche a Marx, la tesi secondo cui l’emancipazione femminile è la «misura dell’emancipazione universale»” [8].

Quindi, finché la donna sarà oppressa, finché le donne non si libereranno, non ci sarà uguaglianza nella società nel suo complesso e questo aspetto è stato colto, prima di Marx ed Engels, dalla grande giacobina inglese Mary Wollstonecraft che nel testo Sui diritti delle donne del 1792 coglie i punti di contatto tra la condizione femminile e quella operaia. Le donne, come gli operai, sono escluse alla fine del Settecento dai diritti politici; i liberali, non diversamente dal passato, considerano la donna inferiore all’uomo per natura, negandole così il diritto di voto. Questo vuol dire che la lotta delle donne per essere vincente deve essere legata alle altre lotte di emancipazione: la lotta delle donne non è una lotta di genere, ma è una lotta di classe.

A parte le tre grandi lotte di classe emancipatrici contro lo sfruttamento e l’oppressione a livello internazionale, nazionale e domestico, Losurdo sottolinea, richiamandosi al Marx del 1848, come è lotta di classe anche quella in cui sono protagoniste le classi sfruttatrici: “lotta di classe è anche quella con cui la reazione feudale, avvalendosi anche dell’appoggio dei lazzaroni soffoca a Napoli la rivoluzione democratico-borghese; e lotta di classe è anche la spietata repressione con cui la borghesia francese, grazie all’appoggio del sottoproletariato urbano, mette a tacere nelle giornate di giugno la disperazione e la rivolta degli operai parigini” [9].

Marx, inoltre, nel Manifesto, parla anche della lotta di classe tra le diverse fazioni della borghesia che, come ricorda Losurdo, sfoceranno sessant’anni dopo nella “carneficina della prima guerra mondiale” [10].

La teoria della lotta di classe di Marx ed Engels si configura, quindi, come una teoria generale del conflitto sociale, che presenta molteplici forme a seconda delle circostanze storiche e che mira a cogliere la contraddizione del reale, aspetto che non viene invece evidenziato dai pensatori liberali. Costoro, infatti, dipingono la società borghese capitalistica come una società in cui risulta inarrestabile lo sviluppo verso l’uguaglianza e la democrazia, vista la presunta tendenza alla sparizione delle classi e, quindi, al livellamento universale; è fuori dubbio l’intento apologetico di tale visione che mira evidentemente ad “attutire e contenere il risentimento delle classi subalterne” [11]. 

Marx ed Engels, al contrario, pongono l’accento, ad esempio nel Manifesto, sul fatto che i conflitti di classe non sono affatto dileguati nella società borghese, ma hanno assunto forme diverse. Quindi, “ben lungi dal rendere obsoleta la lotta di classe grazie alla realizzazione del «livellamento universale», la società borghese acutizza a livello nazionale e internazionale diseguaglianze che possono essere combattute solo mediante la lotta di classe” [12]. L’aggravarsi delle disuguaglianze, che comporta lo sviluppo della società borghese, risulta ancor più evidente ai giorni nostri, quando è sotto gli occhi di tutti al livello internazionale la grande divergenza che c’è tra il ricco Occidente e gli altri Paesi del pianeta.

A parere di Losurdo, però, il materialismo storico di Marx ed Engels non si limita a cogliere le contraddizioni del reale; se ci fermassimo solo a questo aspetto non saremmo capaci di afferrare quella che è la vera novità della loro teoria della lotta di classe, che non sta nella scoperta delle classi e del loro conflitto – che risale agli storici ed economisti borghesi –, ma “nell’affermazione del carattere storicamente determinato e transitorio delle società fondate sulla lotta e sul dominio di classe” [13]. I temi della lotta di classe, della permanenza della schiavitù, del plus lavoro è possibile trovarli successivamente anche in autori quali F. Nietzsche o J. C. Calhoun, ideologo del Sud schiavista negli USA, ma questi temi vengono visti da tali pensatori al di fuori di qualsiasi dialettica storica perché il fine è quello di considerare, dal loro punto di vista, la schiavitù immutabile ed eterna e, quindi, non superabile. Mentre, in Marx ed Engels “non solo non c’è contrapposizione eterna tra signori e schiavi, ma questi ultimi, liquidando una volta per sempre i rapporti sociali fondati sul dominio e sullo sfruttamento, finiscono col realizzare un ordinamento che comporta, in una prospettiva strategica, forme di vita più ricche e più appaganti anche per gli ex signori” [14].

Ciò che emerge è, così, la capacità di Marx ed Engels di guardare la situazione a livello complessivo, è qui in opera la categoria di totalità mutuata da Hegel. Già Marx nei Manoscritti poneva l’accento sul fatto che la disumanizzazione non riguarda solo gli operai, ma anche gli stessi capitalisti e nel Capitale evidenziava come la polarizzazione della ricchezza non è un vantaggio per la classe dominante, in quanto ne deriva l’insicurezza generale e la guerra sociale. La lotta di classe promossa dagli oppressi porta quindi al trascendimento degli interessi particolari di classe per diventare una lotta che mira al pieno riconoscimento.

Note:

[1] Losurdo, Domenico, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 7.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 10.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Cfr. Marx, Karl, Engels, Friedrich, Opere scelte, a cura di Gruppi, Luciano, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 1053-1076.

[7] Il rovesciamento del matriarcato segnò, per Engels, una sconfitta sul piano storico del sesso femminile.

[8] Losurdo, D., La lotta…, op. cit., p. 20.

[9] Ivi, p. 24.

[10] Ibidem.

[11] Ivi, p. 60.

[12] Ivi, p. 63.

[13] Ivi, p. 67.

[14] Ivi, p. 70.

16/03/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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