Dopo avere introdotto, sugli scorsi numeri, la figura del grande dirigente comunista Alvaro Cunhal attraverso la sua biografia e la prima parte della prefazione della sesta edizione del libro Il partito dalle pareti di vetro, pubblichiamo su questo numero la seconda, e ultima, parte di tale scritto che Cunhal compose nel 2002.
di Annita Benassi
(segue da parte I)
[...] La democrazia interna è e deve essere assicurata secondo i principi del centralismo democratico. Intanto, nel movimento comunista si registrano concezioni e pratiche molto differenziate. La centralizzazione soffoca la vita democratica interna e il democratismo pone in causa l’esistenza di un’unica direzione centrale. Questi i principali fenomeni negativi che si manifestano.
Il saggio riassume e seleziona quattro principi essenziali del centralismo democratico validi attualmente (art.16 dello Statuto).
Tre si riferiscono alla democrazia interna: l’elezione di tutti gli organismi dirigenti dalla base al vertice, il rendiconto e la sottomissione della minoranza alla maggioranza. Uno rispetto al lavoro di direzione, l’obbligatorietà di adempiere alle decisioni degli organismi prese nella sfera delle sue competenze (pag. 106).
Enunciati i principi, è importante vedere come sono e devono essere rispettati e applicati. L’elezione degli organismi di direzione e dei dirigenti in generale esige la conoscenza dei quadri. Esige, per elaborare una proposta sui compagni da proporre, l’esame dell’opinione di quelli che con loro lavorano e li conoscono più da vicino in tutti gli aspetti della loro attività di partito e del comportamento civico. Si tratta di orientamenti validi per tutti i settori del partito, inclusa la direzione centrale.
Poichè il Comitato Centrale è eletto nel Congresso (art. 28 dello Statuto) è corretta la soluzione secondo la quale spetta al Comitato Centrale, che meglio conosce i suoi membri, e non al Congresso, eleggere la Commissione Politica, il Segretariato, la Commissione Centrale di Controllo e il Segretario Generale (art. 34 e 35).
Il voto a braccio alzato (palese, forma di votazione generalizzata nel partito) e non il voto segreto, che alcuni compagni reclamano, è a tutti gli effetti il più democratico e adeguato, presupponendo il riconoscimento reale del diritto al dissenso e la non ammissione di qualsiasi forma di coazione (pag. 117).
Presentare un rendiconto dell’attività che si svolge è un dovere di tutte le organizzazioni e dei militanti senza eccezione, uno dei grandi principi della democrazia interna e una espressione dell’assunzione di responsabilità. Spetta al controllo di esecuzione verificare se questo dovere è o no adempiuto.
La regola della maggioranza per prendere decisioni non prese all’unanimità deve essere considerata come inserita nella pratica effettiva del lavoro collettivo e nell’effettivo esercizio dei diritti di opinione, di dissenso e di critica.
Il rispetto della regola della decisione per maggioranza è valida in relazione a tutti e a ciascuno dei membri della direzione, incluso il Segretario Generale, il cui voto di qualità è da limitare a casi di parità nella votazione.
L’obbligo di adempiere le decisioni degli organismi superiori, purchè prese nell’esercizio delle rispettive competenze, non può essere infranto o dimenticato. Il non rispetto di tale regola genererebbe disorganizzazione, conflitti permanenti, violazione di altri principi della democrazia interna, di anarchia e disaggregazione nelle fila del partito, colpendo profondamente la sua unità.
Elemento insostituibile della democrazia interna, e del coinvolgente lavoro collettivo, è ancora l’effettiva partecipazione di tutto il partito nello studio ed elaborazione degli orientamenti fondamentali dell’azione del partito.
Nel lavoro di direzione, il principio del lavoro collettivo assume importanza fondamentale e il valore di una legge (p.111). Ha in sé il contributo individuale e il merito e l’esperienza di ognuno di quelli che vi partecipano.
Dirigere è “decidere, orientare, dare direttive e indicazioni, distribuire e attribuire compiti, esaminare le situazioni e trovare risposte per esse” (p.129). È spiegare, aiutare, convincere, dinamizzare. È realizzare questo lavoro in collegamento stretto con la base del partito, con la classe operaia, con le masse dei lavoratori, con le popolazioni.
La pratica è di udire le opinioni discordanti manifestate nell’esercizio del diritto di criticare e di proporre un elemento necessario alla riflessione di chi dirige. Così le decisioni convincono e guadagnano prestigio e autocritica.
È da combattere la tendenza , invece, di dirigere nel senso di “comandare, a dare ordini (p.222), imporre decisioni, tessere elogi, adulare, applaudire sistematicamente questo o quel dirigente più responsabile”, vizio che chi ce l'ha ne sente sempre più la necessità.
Il detto culto della personalità costituisce una terribile esperienza da cui è necessario ancora oggi trarre molteplici lezioni. L’attribuzione ad un capo dei successi dovuti a molti altri militanti; l’accettazione sistematica, cieca o senza riflettere delle sue opinioni e decisioni. Il credere nella sua infallibilità, le misure amministrative, disciplinari e repressive contro i dissidenti e i critici sono da combattere anche se si manifestano in forma larvata. E se si combatte il “culto” dei vivi è anche necessario combattere il culto dei morti. Dirigendo la rivoluzione sociale piú straordinaria di tutti i tempi, Lenin fu un dirigente rivoluzionario con un ruolo senza uguali nella storia dell’umanità. Nello svolgimento creativo dell’opera di Marx la sua opera teorica giustifica che alla teoria rivoluzionaria dei comunisti fosse dato il nome di “marxismo-leninismo”.
È tuttavia un errore (come indicato dal saggio) “utilizzare ogni frase di Lenin come verità universale, eterna, intoccabile, e contrariare e soffocare la ricerca di nuovi fenomeni che non sono avvenuti nel tempo di Lenin, con citazioni di Lenin, non adatte al caso”. (p 140). Riferendosi criticamente, senza esplicitare, a un certo monumento commemorativo della memoria di Lenin nell’URSS, il saggio espresse così una critica diretta alla statua di Lenin nell’insieme architettonico : “un maestro è veramente un maestro se i discepoli non fanno del maestro un Dio” (pag. 141).
I quadri del Partito, secondo la definizione del saggio, sono membri del partito che assolvono a compiti di responsabilità in qualunque settore e anche tutti quelli che “con i più diversi gradi di preparazione ideologica e di conoscenza si impegnano con dedizione nell’adempimento dei loro compiti” (pag 147,48).
La politica dei quadri include compiti molto complessi. La conoscenza dei quadri comporta che essi siano seguiti nel loro lavoro e un giudizio obiettivo rispetto a esso. Indispensabile tener conto che la conoscenza dei quadri è la conoscenza degli individui e che ogni individuo ha la sua particolare personalità e anche diversi condizionamenti nella sua vita personale .
Il trattamento della questione dei quadri deve essere condotto non utilizzando, come a volte succede, “un tono violento, inquisitore e distruttore, punendo e flagellando l’organo o il compagno (p. 167)” ma con serenità e obiettività.
È opportuno ricordare che non ci sono militanti che non sbaglino e che è errato legare un quadro all’errore che ha commesso (pag. 169).
Non dimenticare anche che, nella sua storia, la direzione del partito commise errori gravissimi, in relazione a questioni di quadri, errori di cui vengono indicati dal saggio alcuni casi, ricordandoli affinché tali errori non si ripetano (p.171).
La preparazione dei quadri include lo studio e l’apprendimento dei principi fondamentali del marxismo-leninismo, lo studio dell’orientamento del partito e delle lezioni di pratica, lo sviluppo della cultura generale alla riflessione e alla libertà di opinione. La scelta e la promozione dei quadri deve basarsi nella loro conoscenza e preparazione in funzione dei compiti da adempiere e in nessun caso per simpatia, per legami di amicizia, o per opportunismo in relazione ai dirigenti cui spetta decidere della promozione.
È importante nella formazione, preparazione e promozione dei quadri, comprendere che i comunisti hanno una morale di classe, i cui valori si devono esprimere nei propri atti e comportamenti. Le condizioni di lavoro, di vita e di lotta della classe operaia e di tutti i lavoratori e la pratica rivoluzionaria del partito, generano ed esigono l’amore per il popolo, coesione, solidarietà, aiuto reciproco, abnegazione, generosità e altri importanti elementi etici (p. 195-196).
Al contrario, lo sfruttamento e l’oppressione del capitalismo, nella morale della borghesia dominante si traducono in egoismo, individualismo feroce, la rapacità, il disprezzo per gli altri, il predominio delle ambizioni personali, l’abuso di potere, l’arbitrio delle decisioni, l’ipocrisia, la frode e la corruzione.
Mai dimenticare che “la morale dei comunisti è parte integrante della forza rivoluzionaria del partito”(p.198). L’influenza della morale della borghesia dominante nelle fila comuniste rappresenta sempre l’effettivo infiacchimento del partito, dei suoi quadri e della sua attività. Elemento etico-politico della morale dei comunisti e del loro partito è il rispetto per la verità. Al contrario, la menzogna è “parte integrante, costitutiva, intrinseca, permanente” (p.199) della politica dei governi al servizio del capitale. Fedeli a questi principi e in essi formati, i quadri costituiscono una forza determinante dell’azione e dell’influenza del partito.
L’organizzazione del partito ha un doppio significato. Uno, la disposizione, l’ordine, e relazione degli organismi e militanti nel quadro della strutturazione, composizione, funzionamento, competenza e responsabilità degli organismi e organizzazione. L’altro, in senso lato, come “uno strumento, un'arma per un'azione collettiva” (p.177) nella realizzazione dei più vari compiti.
Tutte le iniziative del partito, le campagne, i comizi, le feste, le lotte di massa, l’esercizio di funzioni, esigono e implicano un grande lavoro di organizzazione.
Nell’organizzazione svolgono un ruolo importante gli organismi di direzione, funzionari, commissioni del comitato centrale, organi di stampa e propaganda mezzi tecnici e di trasporto, circoli, patrimonio, risorse finanziarie, ecc.
La mobilitazione di tutti questi mezzi e risorse interviene come forza che dinamizza l’attività del partito (p.181-182). Stanno al servizio di tutto il partito e inseriti nel funzionamento democratico e nel lavoro collettivo (p.183). Al di fuori del controllo collettivo da parte degli organi di direzione, sono da combattere tentativi da parte di chiunque o qualsiasi militante di controllare questi mezzi e risorse, ossia, di controllare il cosiddetto “apparato”.
La disciplina nel partito è un elemento inerente all’organizzazione e azione nei suoi vari aspetti. Niente a che vedere con la disciplina militare (p. 221), con un’obbedienza indiscutibile agli ordini del comando.
Nel partito la disciplina è “un imperativo di azione e un modo naturale di agire” (p.213), “una pretesa disciplina cieca, rigida e repressiva” (p.230) è incompatibile con i principi del partito. Condannabile è la tendenza che a volte si manifesta in chi dirige, per dare ordini e imporre, con la disciplina repressiva, la sua volontá e le sue decisioni. Pertanto, non si possono considerare esenti di nuova riflessione i termini in cui la disciplina è trattata negli Statuti del partito. Dei tredici articoli consacrati negli statuti alla disciplina, undici sono relativi a sanzioni. Il giudizio sulle infrazioni è presentato come troppo punitivo quando si traduce come regola nell’applicazione di sanzioni (p.216).
Secondo il saggio, la disciplina è un concetto e deve essere una pratica incomparabilmente più ricca. Ossia “una forma naturale di agire e di procedere” una “espressione della propria coscienza e della propria volontà” (p.218), “una forma di integrazione volontaria e cosciente nel lavoro collettivo” (p.219). Negli atti quotidiani, nel rispetto degli orari, nell’andamento delle riunioni, nei dibattiti, in tutte le attività, la disciplina ha un ruolo importante.
Ci son voluti tanti anni per acquisirla, ha sofferto successivamente vari intralci e lentezze. E' un dovere da compiere il ristabilirla.
L’ideologia interviene nella lotta di classe come forza materiale e ispiratrice. Essendo l’ideologia dominante nella società capitalistica l’ideologia delle classi dominanti, ha particolare importanza per le classi sfruttate la propria ideologia.
Nell’ideologia delle classi sfruttate il marxismo-leninismo è uno strumento di analisi della realtà e guida per l’azione. È un sistema teorico che si basa su una teoria rivoluzionaria che ci “spiega il mondo e indica come trasformarlo” (p.36), accompagnando le trasformazioni oggettive della società. Non è un pensiero pietrificato, ma una teoria in costante arricchimento con le lezioni della pratica, l'assimilazione critica del patrimonio teorico e il progresso della scienza nella conoscenza del mondo reale. È uno strumento indispensabile per l’analisi della realtà e la risposta a nuove situazioni e a nuovi fenomeni. È “uno strumento di ricerca, è uno stimolo alla creatività” (p.37).
La teoria rivoluzionaria dialettica per sua natura si oppone alla cristallizzazione dei principi, lo spirito dogmatico, la sacralizzazione dei testi, le elaborazioni teoriche e speculative che si allontanano dalla realtà oggettiva.
Da qui le tre parti costitutive del marxismo-leninismo: il materialismo dialettico come base filosofica, la teoria economica relativa al capitalismo, la cui pietra angolare è la legge del plusvalore, e la teoria del socialismo e del comunismo relativa all’obiettivo storico della costruzione di una società senza sfruttatori né sfruttati. Il marxismo si è arricchito con lo sviluppo tecnico realizzato da Lenin fondendosi con il marxismo in un tutto coerente in cui i due elementi sono inseparabili. Chi rifiuta il pensiero di Lenin rifiuta inevitabilmente il pensiero di Marx.
L’unità del partito è l’effetto delle caratteristiche fondamentali della sua identità.
Deriva dalla natura di classe, a cui corrispondono o devono corrispondere l’orientamento e l’azione politica e le grandi linee della lotta per obiettivi di carattere sociale. Dalla democrazia interna, nella quale l’applicazione dei principi del centralismo democratico è poderoso strumento di unificazione dell’azione del partito. Dal lavoro di direzione, con lo stretto legame tra gli organismi dirigenti e la base del partito e l’orientamento all’unitá relativo a tutte le organizzazioni. Da una giusta politica di quadri, rinforzando, formando e ringiovanendo le fila comuniste con una forza coesa e che dinamizzi tutta l’attivitá. Da una forte organizzazione concepita come struttura e come strumento e arma di unificazione. Dalla fermezza ideologica, con l’assimilazione creativa dei principi della teoria rivoluzionaria, dando una base ispiratrice e unificatrice al pensiero e all’orientamento.
E ancora, dal lavoro collettivo, dal concetto del “grande collettivo di partito” come caratteristica fondamentale, coinvolgente e unificatrice di tutti gli altri elementi del pensiero, della vita e dell’attività del partito.
In tutti questi elementi “distinti ma complementari” (p.231) risiede l’unità del partito.
Se questi aspetti di base dello stile di lavoro non sono assicurati, si generano i più vari fenomeni negativi attaccando e pregiudicandone l’unità. Al contrario, la vitalità di questi elementi, è condizione per garantire l’unità che come nel saggio si sottolinea è “fondamento della forza del partito” (p.241).
Nella situazione attuale, molto differente da quella esistente all’epoca in cui il saggio è stato scritto, diventa opportuno sottolineare tutti questi elementi dell’unità del partito e considerare la necessitá di mettere all’ordine del giorno orientamenti e decisioni necessari affinché siano assicurati.
Con questa breve sintesi delle idee fondamentali sviluppate nel saggio, concludiamo la prefazione. Cerchiamo con questa di facilitare al lettore un apprendimento preliminare e rapido dell’insieme delle materie e suscitargli così un rinnovato interesse per intraprendere la lettura o la rilettura del libro.
Essendo il saggio in sé una riflessione, è di nuovo pubblicato come proposta di riflessione sopra le idee esposte e la loro attualità. Speriamo di avere la conferma che ne è valsa la pena.
Gennaio 2002,
Álvaro Cunhal