Da un sorriso momentaneo all’Apocalisse di Giovanni

Una, due, tre, quattro rondini non fanno primavera, ma sfrecciano su uno squarcio azzurro del plumbeo inverno dei nostri pensieri e producono un sia pur fugace sorriso. 


Da un sorriso momentaneo all’Apocalisse di Giovanni Credits: Fallen Angel, Jean-Michel Basquiat

Considerazioni Inattuali n.67. Usa, declino di un impero con gli artigli nucleari pari a quelli dei suoi avversari. La nuova guerra fredda e il disordine mondiale. 

di Lucio Manisco 

Una, due, tre, quattro rondini non fanno primavera, ma sfrecciano su uno squarcio azzurro del plumbeo inverno dei nostri pensieri e producono un sia pur fugace sorriso.
Netanyahu dato perdente dai sondaggi, il “quantitative easing” di Draghi si rileva fallace se non controproducente ai fini della ripresa, Landini rivisita la “Lega dei Giusti” e fa uscir di senno la pseudo-sinistra e un sindacato rinunciatario e dialogante con chi gli sbatte la porta in faccia e poi… poi un personaggio eccezionale, il ministro greco delle finanze Varoufakis, marxista, ironico e geniale che con la pistola puntata alla tempia dai poteri forti del vecchio continente, con la sua giacchetta di pelle e la camicia fuori dai pantaloni sfida l’elegante sosia di Gianni Agnelli che presiede la BCE – gli manca solo l’orologio sul polsino – propone che la gestione dei mille miliardi e rotti del QE venga affidata alla Banca Europea degli Investimenti, chiama questo trasferimento “piano Merkel” e tra un cedimento e l’altro, annunziato ma dilazionato di mesi, continua a spiazzare i più esagitati fautori della austerity. Il suo umorismo non è venuto meno quando due giorni fa è esploso il cosiddetto “fingergate”: due anni fa, quando erano in pochi a conoscere il suo nome, nel corso di un convegno in Croazia a chi insisteva sull’inamovibile rigore vessatorio imposto dalla Germania all’economia ed al popolo greco aveva replicato protendendo a mezz’aria il dito medio. Il video del gesto a dir poco rude, ma certamente meritato da chi strangolava il suo paese è stato divulgato da “Bild” , il quotidiano di estrema destra più sensazionalistico d’Europa, che ha sparato in prima pagina l’interrogativo: “Wurde Varoufakis entmachtet?”, “Verrà spodestato Varoufakis?”. La risposta del ministro: “E’ un grande onore avere in Bild un vero nemico”.
Nel descrivere questi episodi più o meno ameni o propizi ben altri eventi di segno opposto tornano ad avere il sopravvento, spengono il sorriso sulle labbra, ripropongono il pessimismo della ragione su una realtà amara di degrado inarrestabile che sembra precludere l’ottimismo dell’azione. E’ la realtà dipinta a tinte fosche, ma veritiere oggi come meno di un secolo fa, da William Butler Yeats nei versi de “Il secondo avvento”.

Si disgrega ogni cosa; il centro non può reggere;
mera anarchia dilaga sul mondo,
dilaga la marea torbida di sangue, e ogniddove
viene annegato il rito dell’innocenza;
i migliori mancano di ogni convinzione, i peggiori
sono rigonfi di passionale intensità. 

Avevamo già evocato il poema tempo fa nel corso di un dibattito con alcuni studenti universitari nella sede del circolo Bertolt Brecht di Brooklyn a New York: il tema, trito e ritrito, era “Declino e caduta del grande impero d’occidente?”. I giovani interlocutori, quelli più radicali, rilevavano compiaciuti ma poco convinti le analogie con l’impero romano, gli altri, più conservatori, denunziavano con sdegno simulato o forsanco sincero quelle analogie.
Era improbabile che gli uni e gli altri avessero letto i ponderosi 6 volumi de “La storia del declino e della caduta dell’impero romano” di Edward Gibbon, pressoché certo invece che le loro conoscenze fossero limitate al nozionismo delle “Monarch Notes”, i compendi ad uso e consumo degli studenti USA. Senza ostentare conoscenze più approfondite avevamo osservato che le analogie erano improprie perché lo storico inglese aveva documentato un percorso di molti secoli prima della caduta e perché i presunti odierni eredi di quell’impero dispongono, alla pari dei loro “barbari” avversari, di ultimativi artigli nucleari. 

Perché il ricordo di quel dibattito? Perché pochi giorni fa in un documentario di due ore e mezza trasmesso dalla rete Russya-1 volto a dimostrare la grandezza e la saggezza di statista di Vladimir Putin nell’annessione della Crimea il dirigente del Cremlino ha dichiarato sic et simpliciter di aver valutato con i suoi consiglieri militari durante la crisi l’opportunità di ordinare l’allerta dell’arsenale nucleare del suo paese. Mancano precedenti del genere dalla crisi missilistica di Cuba, mentre in altre sei crisi sottaciute nella storia della guerra fredda i presidenti degli Stati Uniti non avevano mai ammesso di avere allertato e in tre casi ordinato l’inizio del conteggio alla rovescia dei “Minuteman III” ed il decollo dei bombardieri strategici “B52”.
I mass media USA non ne hanno parlato così come minimizzano oggi la portata nefasta delle misure prese dal premio Nobel per la Pace Barack Obama per accelerare i tempi di una nuova e più aspra guerra fredda con l’invio di 5.000 militari delle forze speciali statunitensi e di caccia bombardieri F-16 a ridosso delle frontiere russe, in Lituania, in Estonia, in Polonia. Il compito di consegnare “armi letali” all’Ucraina è stato affidato agli alleati europei, Italia inclusa, il 5 del corrente mese, il giorno in cui Putin ha accolto con il sorriso della Gioconda l’amico dell’amico di Berlusconi, Matteo Renzi. Sviluppi pre-bellici che vengono accompagnati dalla guerra del petrolio, del dollaro e delle sanzioni contro la federazione russa. 

Si assiste ai primi segnali di disgregazione della NATO, con la Turchia, fino a ieri solido alleato degli Stati Uniti che non collabora alla guerra ai terroristi dell’ISIS e persino con la Gran Bretagna di Cameron che, dimentica della special relation, stringe rapporti di natura non commerciale con la Repubblica Popolare Cinese. Sembra che il “disordine creativo” teorizzato dal Pentagono per quanto riguarda il Medio Oriente proceda a tappe forzate anche in Africa a partire dalla Libia (le parole del nostro Capo di Stato Maggiore riecheggiano le note di “Tripoli sarai italiana al rombo del cannon”).
La politica statunitense presenta aspetti a dir poco inusitati con una cinquantina di senatori repubblicani che usurpano i poteri presidenziali per la politica estera e con una lettera agli Ayatollah iraniani sabotano i negoziati del Segretario di Stato con Teheran sul nucleare. E potremmo continuare facendo nostre le lamentazioni di Geremia e le profezie di Giovanni sull’Apocalisse o su una fine del mondo che potrebbe magari avere come sottofondo “non un bang, ma un gemito”. Fermiamoci qui augurandoci contro ogni evidenza la rinascita del “movimento che abolisce lo stato di cose presente”. 

22/03/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Fallen Angel, Jean-Michel Basquiat

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L'Autore

Lucio Manisco

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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