Considerazioni Inattuali n. 68. Secondo il “Guardian” un verdetto di colpevolezza e la richiesta di estradizione avrebbero posto a dura prova i rapporti diplomatici tra i due paesi. Improbabile, data la comprovata arrendevolezza italiana di fronte ai sistematici rifiuti di Washington di rispettare il trattato bilaterale.
di Lucio Manisco
Ci sono state ripetute pressioni USA sulle autorità governative italiane per evitare un verdetto di colpevolezza a carico di Amanda Knox e l’inevitabile richiesta di estradizione della cittadina statunitense? Se cambiamo pro forma il termine “pressioni” in monitoraggi, intense consultazioni o scambi diplomatici tra i due governi la risposta non può non essere affermativa anche se non ha coinvolto direttamente la nostra magistratura, nota in tutto il mondo per la sua indipendenza e per il suo rigetto di qualsiasi condizionamento ambientale.
Del verdetto finale della Cassazione, in attesa delle motivazioni, si può solo parlare di convergenze parallele o più propriamente di coincidenze temporali, a giudicare almeno da quanto accaduto negli ultimi sette anni: quando ad esempio il magistrato della prima assoluzione a Perugia respinse con sdegno le accuse di essere stato influenzato o addirittura corrotto dal governo di Washington e dalla CIA (?!?) accuse da lui attribuite a colleghi colpevolisti e invidiosi che poi gli rovinarono la carriera. E che dire poi delle affermazioni di Michael Scadron, ex consulente legale del Dipartimento di Stato, che alla vigilia della soluzione finale del caso ha testualmente dichiarato: “Gli italiani faranno di tutto per evitare una richiesta di estradizione. Gli Stati Uniti impiegheranno ogni espediente ufficioso della diplomazia per scongiurare la possibilità di un ricorso all’estradizione”.
Questa possibilità è stata invece evidenziata, sempre alla vigilia della chiusura del caso, dal quotidiano britannico The Guardian del 21 marzo: “Se l’Alta Corte Italiana ribadirà la colpevolezza della cittadina americana – recita il titolo – i rapporti diplomatici tra i due paesi verranno messi a dura prova”. Perché, secondo i corrispondenti da Roma e da Seattle del quotidiano, gli Stati Uniti saranno “tecnicamente” costretti a concedere l’estradizione, anche se poi gli stessi autori dell’articolo elencano le lunghe e dilatorie procedure prescritte prima di un’eventuale rispedizione in Italia della Knox: indagini ed esami della richiesta da parte del Dipartimento di Stato e da quello della giustizia, analisi processuale di un tribunale statunitense che potrebbe approvare o bocciare la richiesta, nel primo caso la decisione finale delegata ai poteri discrezionali del segretario di Stato John Kerry.
Non intendiamo in queste note schierarci con i colpevolisti o con gli innocentisti nel dibattito sulla Knox e sul co-imputato Sollecito che ha beneficiato del verdetto assolutorio: intervistati negli ultimi due anni dalla CNN e dalla Fox News ci eravamo limitati ad osservare che in altri paesi le giravolte, le prove a carico respinte e poi convalidate nei diversi gradi di giudizio, le otto sentenze di segno opposto e via dicendo, avrebbero portato al non luogo a procedere. Qui vogliamo occuparci unicamente del contesto giuridico internazionale in cui operano gli Stati Uniti d’America e della comprovata arrendevolezza italiana di fronte a qualsiasi istanza avanzata dal Grande Impero d’Occidente. Questo è l’Impero che per i prevedibili ostacoli del diritto internazionale osservato dal Regno Unito delega al Governo Conservatore Svedese il compito di chiedere l’estradizione per presunti reati sessuali di Julian Assange, autore delle rivelazioni di Wikileaks (con destinazione finale Stati Uniti) e da più di due anni tutelato dall’immunità diplomatica nell’ambasciata londinese di un piccolo paese coraggioso e indipendente, l’Ecuador. Ed è lo stesso grande impero che alza il sipario di una nuova guerra fredda con la Federazione Russa perché Vladimir Putin ha concesso asilo politico ad Edward Snowden, il “whistleblower” della National Security Agency.
La verità è che gli Stati Uniti esigono ed ottengono quasi sempre estradizioni da governi subalterni e respingono o addirittura ignorano le richieste di estradizione di questi stessi governi soprattutto se i casi sono clamorosi e se l’osservanza dei trattati potrebbe apparire come un cedimento della più grande potenza mondiale.
Il caso Knox è uno di questi casi clamorosi con la maggior parte dell’opinione pubblica americana convinta della sua innocenza o comunque della necessità di sottrarla alla giustizia italiana. Per una minoranza altrettanto agguerrita “Foxyknoxy” era ed è una furbastra e per giunta una maniaca sessuale capace di tutto.
Sul merito della sottomissione italiana ai diktat di Washington il caso più madornale e scandaloso, per fortuna risolto a buon fine da un intervento in extremis di un’altra Corte di Cassazione, è stato quello di Pietro Venezia, reo-confesso dell’assassinio di un esattore delle tasse in Florida e fuggito in Italia nel 1994. Se fosse stato estradato sarebbe finito certamente sulla sedia elettrica. La perentoria richiesta USA di estradizione era accompagnata da una vaga promessa statale di non applicare la pena capitale. Forte del mandato costituzionale che proibisce il trasferimento di un cittadino italiano o straniero residente in Italia in un paese dove i suoi reati siano punibili sul patibolo diversi senatori e deputati, tra i quali chi scrive queste note, incalzarono il Governo a respingere la richiesta di Washington. L’allora presidente del consiglio Lamberto Dini con decreto ministeriale non solo accolse la richiesta, ma la rese immediatamente esecutiva. Solo un intervento d’urgenza dell’Alta Corte portò i carabinieri sull’aereo su cui era stato portato ed affidato a due sceriffi della Dade County in Florida il Pietro Venezia, poi processato e condannato a 22 anni dal tribunale di Taranto per il grave reato da lui perpetrato su suolo americano.
Sorvoliamo sul caso Baraldini, condannata negli Stati Uniti a ventidue anni di carcere (poi raddoppiati per non aver collaborato con lo FBI) per concorso nell’evasione incruenta della attivista afroamericana Joanne Chesimard (Assata Shakur) dal carcere femminile di Clinton nel New Jersey. Per dieci anni gli Stati Uniti hanno respinto le caute ed ossequiose richieste italiane – alcune annunziate ma mai inoltrate – perché venisse applicata al suo caso la convenzione di Strasburgo che permette lo sconto della pena nel paese natale. Solo l’intervento del Guardasigilli comunista Oliviero Diliberto nel Governo D’Alema portò al suo rimpatrio con l’accettazione di condizioni così severe e disumane che violavano la Costituzione della Repubblica.
I due casi più recenti sono quelli dell’ottantenne Giuseppe Lo Porto, ammalato di cancro, arrestato ed estradato in due settimane dalla richiesta di Washington, quello dell’ex deputato di Forza Italia Massimo Romagnoli che nel febbraio del corrente anno è stato prontamente estradato e rinchiuso nel Correctional Center di Manhattan, malgrado una sentenza a suo favore emessa da un tribunale olandese e senza che le autorità italiane gli dessero il tempo di appellarsi ai tribunali del suo paese natale.
Questa settimana un film del regista inglese Michael Winterbottom dal titolo “La faccia di un angelo” è in distribuzione nelle sale cinematografiche londinesi: la faccia dell’angelo non è quella di Amanda Knox, ma l’altra, oscurata dai mass media italiani, della vera protagonista del caso, la giovane vittima inglese Meredith Kercher, assassinata secondo la magistratura italiana da fantasmi senza nome in un appartamento di Perugia più di sette anni fa. Il film ricostruisce i “guazzabugli” della giustizia nostrana. Degli stessi “guazzabugli” si è occupato su “Il Fatto quotidiano” Gian Carlo Caselli la cui argentea chioma ad ogni sua apparizione sembra sia stata affidata alle amorevoli cure di un Vidal Sassoon. L’ex magistrato, famoso per aver condotto l’istruttoria del processo a Giulio Andreotti che ha permesso all’illustre uomo politico di uscire indenne da qualsiasi condanna per evidenti collusioni con la mafia dal 1981 in poi, ha bistrattato come si deve i giudici del caso Knox, ma alla pari dei giornali e delle televisioni nazionali, non ha fatto menzione alcuna – magari per negarne l’esistenza – delle interferenze del Governo USA nella gestione della cosa pubblica e della giustizia in questa nostra sventurata Repubblica.