Stefano è di Tarvisio ha 23 anni e fa il macchinista, capiamo già dopo poche falcate sulla massicciata che sarà piacevole avere la sua compagnia. Dopo aver scoperto del nostro progetto ha deciso di unirsi e di percorrere con noi i restanti chilometri.
di Claudio C.
Reportage/viaggio:
“CON L’ECO DEI TRENI”
Foto di Giuliano Guida, testi di Claudio C.
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Stefano arriverà a momenti. Da questo secondo giorno una piacevole novità. Mentre lo aspettiamo fuori la stazione di Budoia incrociamo Sabino, operaio pugliese di una ditta che costruisce distributori di benzina. “La salvaguardia delle piccole stazioni è fondamentale, non sono rami secchi ma centri importanti per lo spostamento di lavoratori e per visitare i paesini. Quando ci sono i collegamenti c’è tutto”. Sono queste le parole che ci lascia dopo essersi ricordato di aver letto di noi sul giornale. Anche nella sua città natale è successo qualcosa di simile, i treni fra Canosa e Barletta sono stati eliminati e così più di trentamila persona si sono ritrovate senza la possibilità di muoversi.
Stefano è di Tarvisio ha 23 anni e fa il macchinista, capiamo già dopo poche falcate sulla massicciata che sarà piacevole avere la sua compagnia. Dopo aver scoperto del nostro progetto ha deciso di unirsi e di percorrere con noi i restanti chilometri. E’ un appassionato di ferrovia e fa parte di un’associazione che si pone l’obiettivo della salvaguardia e del mantenimento in buono stato del raccordo ferroviario, chiuso dal 1998, Carnia – Tolmezzo per un futuro utilizzo con carrelli a pedale e a leva o con mezzi ferroviari storici.
Ai nostri lati il paesaggio si alterna in un ritmo che sembra accompagnare i nostri passi. Graziose case con giardini ed orti, un campo di golf i cui giocatori ci sdegnano con sguardi distratti, gente a cavallo che percorre la pista ciclabile fvg3 che si distende parallela ai binari attraversando tutto l’arco pedemontano friulano, territorio ricco di cultura, storia e arte secolare. Caselli, numerosi caselli, in cui una volta risiedeva il cosiddetto casellante, colui che aveva il compito di chiudere il passaggio a livello, figura soppressa con la tecnologia e l’automatizzazione. Alcuni li vediamo belli ristrutturati, qualcun altro mostra tutto il tempo che ha, pochi sono chiusi. Fortunatamente, terminato il loro scopo iniziale, questi edifici sono rimasti come abitazioni di ferrovieri od ex ferrovieri ma anche di privati che hanno acquistato questo patrimonio di cui le Ferrovie si stanno disfacendo. Ogni tanto diventano l’occasione per fare due chiacchiere come con la signora che stende panni in uno di questi graziosi stabili. “Una volta lo usavo il treno, ci andavo a Sacile, ora prendo la macchina” o con la coppia che meravigliata e perplessa ci chiede se stiamo facendo una penitenza o qualcosa del genere perché per loro “il treno non è utile”.
Km 16 Aviano, cittadina conosciuta in tutta Italia per la presenza della base aeronautica della Nato e di un vasto contingente di truppe americane, è la prima stazione odierna. Due binari, un discreto scalo merci, fabbricato viaggiatori in condizioni accettabili, obliteratrici nuovo modello e sala del dirigente movimento che si intravede dalle finestre e che ti proietta nel passato. La vegetazione ha però ripreso il sopravvento sui marciapiedi e sull’area antistante l’edificio. Più avanti il raccordo con la zona sotto contro statunitense dove una volta arrivavano e stazionavano i numerosi convogli militari, non erano pochi infatti i treni merci destinati alla base. Ci refrigeriamo alla fontanella e due signore con i rispettivi consorti che hanno parcheggiato nel piazzale entrano anche loro per rinfrescarsi. Sono qui per il mercatino dell’antiquariato e restano un po’ indifferenti e increduli del nostro andare. Ai loro occhi sembriamo dei pazzi, forse anche dei visionari e ci assicurano che “è molto meglio l’automobile perché il treno è costoso”, ci lasciano con l’invito a provare assolutamente la pizza con il kebab dagli albanesi e con qualche sfogo razzista contro gli stranieri che sempre più vengono nel nostro paese.
Ripartire con il sole alto non è proprio il massimo, ma non possiamo aspettare di certo le ore serali per rimetterci in marcia. Case e poi vigneti, campi coltivati e qualche pascolo, la presenza umana è ancora visibile ai nostri margini, la parte più selvaggia della tratta la troveremo più a monte. La fermata di Marsure è un piccolo rudere in stato di abbandono, il servizio passeggeri era già stato sospeso anni orsono e la vegetazione ha ripreso il suo corso. La porta è aperta ed entriamo nel piccolo casello probabilmente trasformato successivamente in fermata, quando la linea vantava un lustro maggiore. Un po’ di oggetti sparsi qua e là, qualche vestito buttato, immondizia, alcuni divani, un calendario del 1996 e un libro sulle osterie italiane.
Sulla nostra sinistra compare al km 22 una bella costruzione di archeologia industriale che cattura la nostra attenzione. 1908 l’iscrizione che reca sulla facciata la ex centrale idroelettrica di Giais. La sete ed il caldo ci spingono a suonare alla porta di un bel casello che sorge sulla sponda di un ruscello con un giardino curatissimo, un luogo quasi paradisiaco. Giuliano ci indica la fontanella, gli faccio un paio di domande e capisco subito che ha un amore viscerale per la ferrovia, gli chiedo così cinque minuti liberi e lui si scapicolla giù. Dopo qualche battuta siamo già seduti nel suo incredibile soggiorno. E’ un pozzo di conoscenza della linea avendo vissuto da sempre qui, la nonna infatti fu la titolare del casello poi sostituita dalla zia. La sua vita è solcata completamente dal ritmo dei treni di cui è profondo conoscitore e grande appassionato. Che la soppressione della circolazione la viva come un fatto prioritario e personale lo si capisce dalle sue parole molto chiare e dirette. “Questo treno deve ripartire, perché il treno è vita”. E’ scettico verso la possibilità della riapertura perché consapevole che la questione è politica e che gli interessi della gomma sovrastano quelli del ferro ma non si da per vinto. “Molti pendolari, studenti ed insegnanti la utilizzavano e poi potrebbe incentivare il turismo considerata la bellezza della zona e la pista ciclabile che la costeggia. Infine non va dimenticato il trasporto merci, qui praticamente in ogni comune ci sono zone industriali ed almeno due grandi stabilimenti hanno dei raccordi”. Il tono della sua voce lascia trasparire passione, delusione, speranza. Ci fa capire che la frana ed il conseguente svio del Minuetto è stato solo un pretesto per dare il colpo di grazie alla già agonizzante linea, il sipario di una tragedia annunciata. Migliaia di euro vengono spesi per abbattere i caselli e lo stesso studio di fattibilità commissionato dalla regione sembri evidenziare dei costi di gestione così alti da far rinunciare all’affidamento, costi che appaiono però sproporzionati. “Io sono figlio della ferrovia, mia madre per partorirmi fermò proprio qui il primo treno che passava” e poi “ fu un piacere veder transitare il treno internazionale Vienna-Roma deviato su questa tratta a causa di lavori sulla principale, trainato da due locomotori in testa ed uno in coda, che emozione”. Oltre un’ora trascorsa nella sua graziosa casa, in realtà un piccolo museo ferroviario, che ci sono apparsi solo pochi istanti. Ripartiamo ma non prima di aver accettato la cortese proposta di Giuliano di essere suoi ospiti per la notte, avendo così l’occasione di riprendere più tardi l’interessante conversazione.
Senza gli zaini è tutto un altro passo e così percorriamo i 4 chilometri restanti in breve tempo. La stazione di Montereale Valcellina tappa odierna è composta da due binari, un terzo di cui se ne può immaginare la traccia deve essere stato rimosso negli anni, un discreto scalo merci ed un tronchino di ricovero per mezzi d’opera o carri. Il giardino è curato e ben tenuto come l’edificio ormai vuoto. Qui ci aspetta Giorgia e gli altri ragazzi del team A7. Sono un gruppo di sei giovani architetti conosciutosi durante gli studi all’università di Trieste ed hanno elaborato un progetto per il rilancio della ferrovia. Tutto è iniziato qualche stagione fa proprio con la tesi di laurea di Giorgia. Secondo loro bisogna ripartire dalla valorizzazione e riattivazione del territorio ed investire su un turismo sostenibile, un turismo lento che possa attrarre gente e creare occupazione. Affrontano il problema della sospensione del traffico rotabile da un punto di vista diverso. “Gli spazi ferroviari come stazioni e caselli vanno salvaguardarti e valorizzati destinandoli ad uso della cittadinanza o per piccole attività economiche. Si possono creare parchi giochi per bimbi, foresterie, centri di assistenza per ciclisti e bici, ma anche campeggi o luoghi di aggregazione per le associazioni”. Se si fa vivere il territorio si crea un bacino di utenza che giustifica anche l’esistenza di una ferrovia che viene così a trovarsi in un sistema integrato più ampio, in cui il treno rappresenta una tappa necessaria. La loro idea è come un salvagente che hanno voluto lanciare prima che la linea muoia del tutto. “Purtroppo manca una cultura dell’uso del treno e dei mezzi alternativa. Abbiamo molte bellezze da queste parti oltre che degli itinerari cicloturistici, dobbiamo solo creare un’offerta ben strutturata ed un’ospitalità adeguata, a quel punto sarà evidente a tutti la necessità di avere un collegamento su rotaia”. Ermes, l’unico ad essere di questa località, mentre ci allontaniamo ci ricorda di quando da bambino veniva qui a giocare con il figlio del capostazione ed insieme si arrampicavano sui carri in sosta.