Il governo giallo-verde ha accettato di ricevere i sindacati, avviando la procedura di raffreddamento, con il chiaro intento di evitare uno sciopero della scuola il 17 maggio, ovvero pochi giorni prima delle elezioni europee. Uno sciopero ad alto rischio perché un suo successo potrebbe portare nel dibattito pubblico ciò che si è voluto fino ad oggi tenere occultato: la richiesta di spostamento di numerose competenze fondamentali dallo Stato alle regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. La notte tra il 23 e il 24 aprile il premier Conte e il ministro dell’istruzione Bussetti hanno quindi ricevuto CGIL, CISL, UIL, SNALS e GILDA, i principali sindacati della scuola. Ad oggi la scuola è infatti l’unico settore che si è attivato sulla questione della regionalizzazione, pur non essendo questa limitata all’istruzione.
Dopo una lunga nottata di trattative si è giunti ad un documento di intenti condiviso. Il governo si impegna ad aumentare i salari dei lavoratori della scuola nella prossima finanziaria, a mettere in soffitta quei progetti di autonomia che modificherebbero l’assetto unitario del settore dell’istruzione, a stabilizzare i numerosi precari della scuola e a risolvere altre questioni meno rilevanti. Non è chiaro come si penserà di risolvere il problema di carenza dell’organico ATA (il personale delle segreterie e i collaboratori scolastici) presente nelle motivazioni di indizione dello sciopero. Da parte loro i sindacati fermano la mobilitazione potenzialmente esplosiva ma, come ribadito da Gissi, segretaria della CISL scuola, lo sciopero del 17 maggio è sospeso. Nonostante alcuni mezzi di informazione abbiano già parlato di sciopero revocato, ad oggi non c’è nessuna revoca ufficiale sul tavolo. Uno sciopero in un settore essenziale come l’istruzione è soggetto ai lacci e laccioli della legge 146 e non potrebbe essere riconvocato a breve, se i sindacati lo avessero revocato. Rimane inoltre convocato lo sciopero di quasi tutti i sindacati più piccoli che avevano proclamato in accordo con quelli più grandi lo sciopero per la stessa data.
La differenza tra revoca e sospensione non è di poco conto, dovendo ora il governo prendere delle misure concrete che recepiscano, sebbene anche solo in parte, quanto richiesto dai sindacati. Chiaramente i sindacati saranno pronti ad una eventuale mediazione, come lo sono sempre stati. Ai primi di maggio i sindacati dovranno essere riconvocati per discutere nel dettaglio i vari punti dell’accordo. Ad oggi, infatti, il documento non è che una dichiarazione di intenti, che non ha, in alcuni casi, come quello degli aumenti salariali, nessuna copertura finanziaria. La legge di bilancio sarà discussa in autunno mentre le elezioni europee saranno a maggio, per cui sembrerebbe che i sindacati abbiano fatto male i propri conti dato che senza mobilitazione sarà ancora più difficile impedire al governo, in autunno, di rimangiarsi la parola data. Per lo stesso motivo la regionalizzazione potrebbe essere posticipata a dopo l’estate, evitando l’effetto sciopero pochi giorni prima delle elezioni. Questo accorgimento sembrava nell’aria a prescindere dall’avvio della procedura di raffreddamento, con il chiaro intento di depotenziare lo sciopero e di evitare la discussione di questo tema.
Il governo giallo-verde, dunque, sembra aver ottenuto quello che voleva con poche promesse vaghe. I sindacati sembrano essere stati fin troppo accondiscendenti con un governo ritenuto tutt’altro che loro amico, tanto che venivano accusati da esponenti di questo stesso governo di essere assai meno teneri con loro piuttosto che con i precedenti esecutivi targati PD. Insomma, per qualcuno lo sciopero del 17 maggio è uno sciopero politico contro il governo e non per delle richieste sindacali, alle quali si intreccia una questione generale come quella della regionalizzazione. Con la sospensione dello sciopero i sindacati hanno ribadito che quello che interessa loro è veder soddisfatte le proprie richieste, e non fare polemiche strumentali. Possono però i sindacati essersi limitati solo a dimostrare di non essere collusi con l’opposizione, con la quale fino ad oggi hanno avuto una netta coincidenza di vedute sulla necessità di sbloccare i cantieri fermati dall’attuale governo? Veduta che a dire il vero accomuna anche Confindustria e la parte verde del governo…
Ai primi di maggio i riflettori, a partire da quelli della stampa di opposizione, saranno tutti puntati sulla trattativa tra governo e sindacati. Questo in un clima di contrasto e competizione tra Lega e 5 Stelle, che sfiora una crisi di governo. Se l’autonomia differenziata, di cui questo governo non vorrebbe si parlasse, diventerà invece il tema principale di dibattito dei prossimi mesi, ogni forza politica dovrà fare meglio i conti su quale posizione prendere su questo tema. Un tema che invece era stato portato avanti nella stessa direzione da entrambi gli schieramenti politici del centro-destra e del centro-sinistra, come bipartisan sono le richieste delle tre regioni. In questo dibattito, in una fase di crisi tra alleati, il vaso di coccio potrebbe essere, paradossalmente, quello leghista, se i 5 Stelle sfrutteranno la evidente contraddizione tra Lega sovranista e la concessione di maggiori poteri ad alcune regioni. Tutto ciò alle porte delle elezioni europee, con una evidente ricaduta sul consenso elettorale. Il 5 Stelle, tuttavia, non sembra saper gestire bene la situazione, essendo la forza che più ha pagato in termini di consenso l’alleanza di governo.
Ma i rischi per il governo giallo-verde non finiscono qui. Lo sciopero è, ad oggi, sospeso, non revocato. Se la trattativa ai primi di maggio dovesse arenarsi, i sindacati potrebbero comunque colpire duro il governo confermando lo sciopero del 17 maggio. Se, infatti, i punti della piattaforma sindacale si possono demandare a dopo le elezioni, ce n’è uno che deve essere affrontato subito, quello sulla stabilizzazione dei precari, che potrebbe diventare oggi la questione sulla quale scoprire le reali intenzioni del governo. Sul punto, infatti, i sindacati hanno una chiara proposta operativa, da implementare per ora a costo quasi zero (senza necessità quindi di una legge di bilancio) ma da ultimare in tempi stretti per essere pronti alla ripresa dell’anno scolastico. Proprio i tempi, quindi, potrebbero lasciare con il cerino in mano i furbetti del governo. Questi signori dovrebbero già conoscere la proposta sindacale, ma forse non le hanno prestato sufficiente attenzione. Oppure i sindacati hanno ceduto sulla loro stessa proposta, essendo prevista nell’accordo la stabilizzazione tramite concorso?
A settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, circa 100 mila cattedre saranno coperte da personale a tempo determinato. La scuola pubblica statale è oggi la più grande fabbrica di precarietà del nostro paese, in barba alla necessità di continuità didattica nel processo educativo. I precari della scuola ricoprono cattedre per tutto l’anno scolastico venendo poi licenziati il 31 agosto o il 30 giugno, con il risparmio per lo Stato di circa due mensilità. Questi docenti non hanno vinto dei concorsi pubblici, necessari per entrare in ruolo, ma evidentemente non altrettanto necessari per ricoprire il ruolo di docenti di fatto a tempo pieno e fisso, e non per qualche breve sostituzione di personale assente per malattia o altri impedimenti temporanei.
La proposta dei sindacati consiste nel sanare tale evidente contraddizione con una semplice operazione di stabilizzazione burocratica, che per poter essere implementata richiede la volontà politica di farlo, ad oggi assente. Nei tavoli di maggio ribadiranno che il MIUR dovrebbe limitarsi semplicemente ad incrociare le graduatorie di istituto da cui sono assunti con contratti a tempo determinato i precari della scuola per avere un elenco già graduato di tutti coloro che potrebbero aspirare a coprire in ruolo le posizioni vacanti a settembre. Questa è un procedura semplice, che un dirigente di segreteria amministrativa scolastica sarebbe in grado di fare in poco tempo, ed è l’unica che permetterebbe di risolvere il problema delle cattedre vacanti e del precariato. È assente, ad oggi, solo la decisione politica ad avviarla; anzi per la propria inerzia il MIUR quest’anno è riuscito anche nell’arduo compito di assumere a tempo indeterminato meno docenti rispetto ai fondi stanziati dal MEF, noto per il proprio braccino corto nell’erogare fondi alla spesa pubblica.
Il governo non potrà quindi accampare scuse per non dare seguito agli impegni presi, altrimenti sarà ritenuto non credibile anche per i punti successivi della trattativa, aprendo ai sindacati la possibilità di realizzare lo sciopero del 17 maggio con maggiori frecce al proprio arco. In caso contrario, saranno i sindacati a rimangiarsi la parola presa con i precari. Tuttavia, il passaggio sui concorsi pubblici, presente nell’accordo governo-sindacati, è ambiguo per il diverso significato attribuito alla parola concorso. Per i sindacati esistono i concorsi per soli titoli (es. le graduatorie di istituto) mentre il governo con la parola concorso si riferisce sempre a quelli per titoli ed esami. Perciò i sindacati potrebbero far rientrare dalla finestra ciò che per il governo sembra essere uscito dalla porta. La palla, comunque, è nelle mani dell’esecutivo che dovrà cedere su alcune questioni se vuole fermare lo sciopero dei sindacati più grandi, che comunque se otterranno le loro richieste potrebbero cedere alle lusinghe sul contratto, rimandando lo sciopero su questa questione all’autunno.
Tuttavia, una parte importante di associazioni e sindacati della scuola puntano ancora sulla data del 17 maggio, non ritenendo il progetto di regionalizzazione definitivamente scongiurato essendo l’accordo molto ambiguo su questa questione. L’unità tra associazionismo e sindacati sulla lotta alla regionalizzazione è ancora formalmente in piedi, e i sindacati maggioritari continueranno ad impegnarsi nella raccolta delle firme all’appello comune. Insomma, c’è una parte consistente della scuola che non ha nessuna intenzione di revocare lo sciopero del 17 maggio e che quel giorno manifesterà contro la regionalizzazione, sebbene in modo depotenziato. Ne sentiremo parlare ancora nei prossimi giorni, quando più evidente sarà l’esito della trattativa tra governo e sindacati maggioritari.