La produzione di mezzi di comunicazione,
ossia delle condizioni fisiche della circolazione,
rientra sotto la categoria della produzione di capitale fisso,
e perciò non costituisce alcun caso speciale.
(K. Marx)
La caduta del ponte Morandi occorsa a Genova il 14 agosto, grazie ai suoi 43 morti ha riportato all’ordine del giorno il tema della statalizzazione dei settori strategici dell’economia [1]. La proposta è stata lanciata direttamente dal governo gialloverde che ha così saputo cogliere l’ennesima occasione per apparire ciò che non è, vale a dire autentico “amico del popolo” che si batte contro il grande capitale monopolistico finanziario europeo (ma ben appoggiato da quello Usa, in chiave anti-tedesca [2]). Una proposta, quella della nazionalizzazione, che il Pd ha bocciato attaccandola da destra, mentre a sinistra si è aperto il dibattito, con gli stati maggiori di Potere al Popolo che convocano una manifestazione per il 20 ottobre.
Purtroppo nel dibattito in corso si è molto parlato della privatizzazione delle autostrade come di un processo guidato dall’Unione Europea che ha imposto la svendita di un monopolio. Se è vero che siamo di fronte ad una svendita, non siamo però né di fronte ad un vero monopolio né ad una prassi di stampo europeista. Il normale decorso del modo di produzione capitalistico, infatti, permette al capitale in quanto tale addirittura di produrle ex novo le strade, sempreché siano redditizie, tanto per chi le usa, quanto per chi le fa. “Si tratta del medesimo presupposto in duplice forma: da un lato la ricchezza del paese concentrata e trasformata nella forma di capitale in quantità sufficiente da intraprendere tali lavori [di costruzione, ndr] come processi di valorizzazione del capitale; dall’altro un volume di traffico, e una consapevolezza degli ostacoli rappresentati dalla mancanza di mezzi di comunicazioni, l’una e l’altro sufficienti a far si che che il capitalista possa realizzare il valore della strada (gradualmente nel tempo) in quanto strada (vale a dire la sua utilizzazione)” [3].
“D’altra parte le strade di comunicazione sono originariamente a carico della comunità e più tardi per lungo tempo a carico dei governi” [3]. Per tanto, se riportare sotto controllo pubblico la gestione di un bene che nel nostro caso lo Stato ha costruito, si è ripagato (coi pedaggi) e ha poi affidato ai privati, è immediatamente percepita dal senso comune delle classi popolari come una cosa buona e giusta, è necessario non illuderle sul fatto che, in regime capitalistico, tanto la privatizzazione quanto la ripubblicizzazione non possono che avvenire sempre a beneficio dei capitalisti [4]. E la vicenda dell'Ilva ce lo conferma. Detto questo, si tratta di capire se a guadagnarci non possano anche essere le classi lavoratrici. Ma se in passato questo è avvenuto - come nel caso delle statalizzazioni del secondo dopoguerra - è perché i rapporti di forza tra le classi erano ben diversi. Per tanto, allo stato attuale è francamente poco convincente asserire che “la strada delle nazionalizzazioni, che porti con sé anche una nuova e diversa concezione del modello di sviluppo, che preveda partecipazione delle comunità e controllo popolare, salvaguardia del territorio, del bene comune, del lavoro NON ammette più ritardi, né tentennamenti da parte di questo governo” (dal testo della convocazione della manifestazione, grassetto mio).
Pertanto è necessario ribadire alle masse popolari che l’eventuale nazionalizzazione gialloverde delle autostrade (non tutte le nazionalizzazioni in regime borghese) rappresenta una “sòla” per i lavoratori, come si dice a Roma [5]. Per almeno tre motivi. Primo perché la montagna, dopo l’inevitabilmente lunga gestazione, potrebbe finire per abortire - segnando così un altro punto a favore della normalizzazione del governo in carica - o comunque partorire un topolino. La risoluzione D'Uva e Molinari n. 6-00014 approvata alla Camera il 4 settembre, infatti, impegna il governo “a verificare se vi siano gli estremi per la revisione, la revoca o la risoluzione della concessione” e “a valutare la possibilità di individuare un soggetto a prevalente o totale partecipazione pubblica subentrante nel rapporto concessorio”. Dunque siamo ancora al momento della “verifica” e della “valutazione”.
D’altronde, la nazionalizzazione delle autostrade non stava nel programma grillino e l’evento scatenante, di per sé, non è sufficiente a giustificare di fronte ai giudici - che hanno fatto perquisire gli uffici di Autostrade per l’Italia e del Mit solamente otto e quindici giorni dopo la strage - una revoca completa delle concessioni; ed in punta del bel diritto che ci ritroviamo si potrebbe largamente discutere se sia sufficiente a giustificare la revoca di quelle facenti capo ad Atlantia o anche solo del tratto interessato.
Il secondo motivo che rende la statalizzazione gialloverde una fregatura è legato alla lauta buonuscita che, per le leggi vigenti, deve essere assicurata ai Benetton - in forma di risarcimento per i mancati guadagni, di prezzo di acquisto o altre contropartite, al netto dell’eventuale costo di ricostruzione del ponte Morandi [6] - e a maggior ragione anche agli altri operatori del settore nella remota ipotesi in cui dovessero esser chiamati in causa.
Il terzo motivo è che i nuovi padroni andranno a comportarsi come i vecchi, sia per quanto riguarda la gestione della forza-lavoro che dei rapporti con i cittadini, i concorrenti ed i fornitori, tranne che su un aspetto. La statalizzazione, infatti, consisterà nel passaggio da società private finanziate con capitale di rischio a società private finanziate coi soldi delle tasse. Società che rispondono al nome di Fincantieri (di proprietà di Fintecna, controllata dalla Cassa depositi e prestiti, la società per azioni che gestisce il risparmio postale) ed Anas. Tutte di proprietà statale ma di diritto privato, essendo delle Spa; la cui gestione è di stampo totalmente privatistico, essendo fuori dal perimetro delle pubbliche amministrazioni. Un perimetro la cui definizione tecnica è in realtà tutta politica e che serve ad alcune imprese (incluse le c.d. municipalizzate) per operare al riparo dai vincoli europei, in particolare quelli su deficit e debito, pur essendo finanziate e garantite dai soldi delle tasse, senza i quali non starebbero sul mercato neanche un giorno [7]. Nulla di nuovo, insomma, visto che la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni, fin dalla sua fondazione negli anni cinquanta, era stata costituita in forma di società per azioni.
La nazionalizzazione gialloverde, dunque, se dovesse effettivamente andare in porto come delineata alla Camera il 4 settembre, si configurerebbe come una ricostruzione del ponte Morandi effettuata, al netto della quota pagata eventualmente dai Benetton, attraverso il ricorso alla capacità di indebitamento di Cassa depositi e prestiti - dunque un investimento che deve essere ripagato con l’interesse, mediante i pedaggi, altrimenti scatta la garanzia dello Stato - ed una gestione dove “è il reddito, e non il capitale, che figura come fondo di lavoro e l’operaio, pur essendo lavoratore salariato libero come chiunque altro, tuttavia dal punto di vista economico è in un rapporto diverso [servile, ndr]” [3]. Perché, e non è dettaglio da poco, lo Stato anche quando si dice che fa l’imprenditore in realtà non lo è (almeno nell’accezione capitalistica) in quanto il lavoro e i beni che impiega non vengono consumati come capitale per essere valorizzati, ma come prodotti. Lo stato, quindi, non produce plusvalore ma lo consuma.
Uno Stato, poi, incapace di metterci al riparo dalle tragedie (come quelle ferroviarie occorse sia prima che dopo la trasformazione di Fs in spa nel 1992). Stato da cui il capitale sembra distaccarsi appena può - perché “il capitale raggiunge il suo più alto sviluppo quando le condizioni generali del processo sociale di produzione non vengono create traendole dal prelievo del reddito sociale (dalle imposte pubbliche) ma dal capitale in quanto capitale” [3] - ma che sempre utilizza in caso di bisogno. Bisogno che per quanto riguarda le autostrade si presenta oggi sotto forma di oneri di ristrutturazioni improcrastinabili e probabilmente non redditizi, visto il crescente e costante ridimensionamento del ruolo politico, economico e culturale dell’Italia.
Note
[1] Normalmente il termine più usato è quello di “nazionalizzazioni”. A mio parere è più corretto parlare di statalizzazione dal momento che la società in questione, Autostrade per l’Italia spa, ha già sede nel nostro paese ed è controllata dai Benetton. Questi la possiedono attraverso il controllo del 30% di Atlantia tramite la Sintonia spa, a sua volta controllata dalla Edizione, una srl con investimenti in banche, assicurazioni, editoria, telecomunicazioni, tessile, agricoltura, immobili, sport. Si tratta, dunque, di società tutte italiane controllate da padroni italiani. Nel testo, tuttavia, i due termini sono usati in maniera intercambiabile.
[2] Dopo le elezioni, come riportato ad es. dal Sole 24 Ore, il nuovo ambasciatore nominato da Trump, Lewis Eisenberg, ha incontrato Matteo Salvini, il primo politico ad essere ricevuto dopo le votazioni, e due giorni dopo Luigi Di Maio. L’articolista ricorda anche l’incontro che Beppe Grillo ebbe a Villa Taverna con Ronald Spogli, allora ambasciatore Usa, il 4 aprile 2008, che in un cablo all’allora segretario di Stato Condoleezza Rice definì Grillo un “interlocutore credibile”.
[3] Le citazioni, inclusa quella di apertura, sono tratte da Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica Q.V F.20 (volume II, pagg 160-173 nell’edizione de La Nuova Italia).
[4] A questo proposito mi sembra calzante riportare uno stralcio dell’opera di Pietro Grifone Capitalismo di Stato e imperialismo fascista pubblicata nel 1975. “Come è noto - scrive Grifone - il governo nel 1931, per evitare il fallimento delle più grandi banche, prima fra tutte la Comit, rilevò l’intero portafoglio di titoli deprezzati da esse detenuto. (...) I titoli furono pagati non per quello che valevano in borsa bensì per quello che erano costati alle banche. (...) Passata la fase di più acuta depressione, è logico che i capitalisti che avevano ceduto i pacchetti di azioni allo stato, quando queste erano deprezzate e più assillanti erano le loro esigenze di liquidità, desiderassero rientrarne in possesso (...) [e] i capitalisti hanno ricomprato dallo stato a ‘prezzi d’occasione’ quelle stesse azioni che essi gli avevano ceduto dietro compensi di favore. La perdita della colossale operazione è andata tutta a carico delle masse contribuenti”. E ancora: “Buona parte dei proventi fiscali, la quasi totalità dei depositi a risparmio, l’intero ricavo di emissioni dei buoni del Tesoro e dei prestiti emessi da questi istituti appositamente creati per drenare capitali dalla piccola e media borghesia e la parte maggiore dei proventi delle assicurazioni sociali, passarono così per tramite dello stato dalle tasche dei contribuenti, dei piccoli risparmiatori, degli operai assicurati in quelle dei grandi finanzieri e industriali, che si servirono di questi ingenti mezzi messi a loro disposizione dallo stato per rifarsi, a spese di tutti, delle perdite dovute alle loro errate valutazioni, per “risanare” le loro aziende e preparare gli strumenti all’aggressione imperialistica”.
[5] Autostrade per l’Italia è la società che controlla 2.855 km di rete. Il resto della rete è suddiviso tra altri gruppi tra cui spiccano quelli appartenenti alla famiglia Gavio che attraverso SIAS, gestisce circa 1.423 km di rete in Italia. I Benetton, poi, sempre tramite Atlantia controllano anche la Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco, il Raccordo Autostradale Valle d'Aosta, la Società Autostrada Tirrenica, la Tangenziale di Napoli e le Autostrade Meridionali. Le attività estere dei Benetton, invece, non rientrerebbero nella nazionalizzazione se si procedesse alla statalizzazione della sola Autostrade per l’Italia. È Atlantia, infatti, a vantare, attraverso altre società, il controllo di circa 2.000 km di autostrade a pedaggio in Brasile, Cile, India e Polonia oltre a vari interessi nel settore aeroportuale (gli scali di Fiumicino, Ciampino Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint Tropez, questi ultimi tramite la società Aéroports de la Côte d'Azur che gestisce anche la rete internazionale dei servizi di assistenza per l'aviazione generale Sky Valet in Francia, Spagna e Portogallo).
[6] “L'integrale finanziamento dell'opera [di ricostruzione del ponte Morandi, ndr] da parte della società concessionaria [Autostrade per l’Italia, ndr] rappresenta solo una minima parte del risarcimento dovuto e non ha nulla a che vedere con la procedura di decadenza della concessione”. Così il Ministro Toninelli alla Camera il 4 settembre 2018 (vd resoconto stenografico)
[7] Per quanto riguarda l’Anas, si tratta di una società per azioni che il precedente governo ha “ceduto” alle Ferrovie dello Stato, un’altra spa sempre di proprietà statale che però, a differenza di Anas, non fa parte del perimetro delle pubbliche amministrazioni. Dall’esame dettagliato dei bilanci di FS si evince chiaramente come i soldi pubblici sono indispensabili al suo mantenimento ma che non vengono presi in considerazione come tali in quanto mascherati da pagamento per il servizio (mettendo lo Stato al pari di un qualsiasi cliente). L’operazione di incorporazione Anas-FS, tuttavia, non è ancora conclusa e si saprà solo a fine settembre, con l’annuale pubblicazione Istat, se effettivamente l’Anas uscirà fuori dal comparto degli enti pubblici come desiderato dal precedente governo o se invece ad entrarvi saranno le FS. Ma essendo in attesa della marcia indietro annunciata dal nuovo governo che ha promesso un divorzio lampo tra le due società è anche possibile che si arrivi ad un compromesso stile Rai, che ha visto l’ingresso nel novero delle Pa dell’azienda di radiotelevisione pubblica ma un apposito decreto governativo l’ha esclusa dai vincoli avrebbe dovuto rispettare, in primis quelli sui compensi a star e giornalisti (o presunti tali).