Il governo M5S-Lega, di fronte al primo, vero banco di prova, il Def (Documento di economia e finanza), mette da parte i proclami roboanti che hanno caratterizzato i primi mesi di esecutivo e si pone in imbarazzante continuità con i governi precedenti, senza cioè marcare una vera, profonda differenza rispetto ad un governo Monti o Renzi.
Dal declamare “la regola del 3% non è la Bibbia”, ad affermare “l’obiettivo è di mantenere il rispetto dei vincoli e delle regole esterne, di non sforare alcunché”, c'è una bella differenza. Quella che passa tra una propaganda antisistema acchiappaconsensi ed una dichiarazione che pare dettata da dentro le peggiori stanze dell’estabilishment. Eppure a parlare è sempre Salvini, a distanza di un mese tra la prima dichiarazione (5 agosto) e la seconda (5 settembre). A fare eco al capo della Lega è tutto il governo, con Di Maio, Tria ed il redivivo Conte.
Risultato: i potentati economici sono tranquilli; lo spread non si impone più come una dittatura, tornando ben al di sotto dei 300 punti base; gli industriali sono così tranquilli da far dire al suo presidente Boccia che le dichiarazioni del governo (di Salvini in particolare, rilasciate in un’intervista a Il Sole 24 Ore) sono di una tale apertura verso le istanze del padronato che “mi ha cambiato l’agenda”. Le precedenti polemiche? Da archiviare - dice Boccia - e sul decreto dignità “chiudiamo la parentesi”. Tanto per dire della reale efficacia di quel decreto annunciato in pompa magna, pian piano sgonfiato e che non potrà avere alcun effetto reale di contrasto alla precarietà. Lo sapevano tutti, industriali e governo. Ma nel gioco delle parti, si sa, ognuno deve recitare il suo ruolo per il pubblico pagante. Che in questo caso sono lavoratori, studenti, pensionati, intere famiglie che pagano pegno con il loro carico di problemi irrisolti: dal mutuo da pagare, all’incertezza del lavoro; dal caro libri, alle pensioni da fame.
E alla fine, quindi, il “governo del cambiamento” risulta più modestamente un governo di continuità. Proprio come da sempre auspicano le classi privilegiate. Dal mantenimento di provvedimenti dei governi Renzi e Gentiloni (vedi Industria 4.0), alla classica riduzione del cuneo fiscale, fino al rispetto dei vincoli europei sono i binari sui quali ora intende muoversi il governo Di Maio-Salvini, che incassa l'approvazione di Confindustria che è al limite dell’esplicito entusiamo.
Binari, appunto. Perché dentro quelle linee di intervento non è possibile alcun cambio di direzione, cioè nessuna politica economica che devii verso provvedimenti favorevoli alle classi popolari, nessuna politica espansiva, nessuna misura redistributiva della ricchezza di cui si sono avvantaggiati solo i benestanti, tanto che negli ultimi venti anni la quota di ricchezza del 10% più ricco della popolazione è aumentata fino a raggiungere il 55% del totale, a scapito del 90% meno benestante che ha visto la sua quota di ricchezza calare del 15% fino a detenerne meno della metà. E così, mentre cresce il numero dei poveri (nel 2017 si sono contati oltre 5 milioni di poveri assoluti), Di Maio e Salvini discutono nei corridoi di governo e delle sedi politiche, di quale provvedimento far passare prima, ragionando non in termini di necessità oggettive delle persone, ma di ritorni in consenso nei sondaggi e nelle prossime elezioni.
Ma con la prima, vera prova di governo deve misurarsi anche la sinistra. E qui, molto probabilmente, si misurerà l'incapacità della sinistra indistinta di uscire dalle sabbie mobili in cui affonda da qualche decennio.
Subalterna all'ideologia delle classi dominanti - di cui due delle più significative traduzioni in termini di provvedimenti sono le nefaste riforme del lavoro e l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione - la sinistra di nomenclatura e nient'affatto popolare non riesce a dire una parola su quelle posizioni di governo che risultano significative rispetto alla struttura dei rapporti sociali. E non ci riesce perché, di fatto, ne condivide, insieme al Pd, le idee di fondo che hanno portato alle condizioni economiche, sociali e politiche che viviamo oggi. Qualche esempio? Le privatizzazioni, il rispetto dei vincoli europei, la gestione del flussi migratori, l’idea che i diritti dei lavoratori siano variabili dipendenti dalle esigenze d’impresa. Perciò, niente da dire sullo sfruttamento sul lavoro, sulle privatizzazioni, sulla distribuzione della ricchezza, sull'esercizio dei diritti (quelli che restano) nei luoghi di lavoro e sulla loro implementazione. Niente. Niente sulle basi materiali della schiavitù dei migranti, ma solo enunciazioni etiche; niente sul ruolo pubblico nelle infrastrutture strategiche, ma solo peloso cordoglio per le vittime del crollo del ponte Morandi; niente sulla precarietà di milioni di lavoratori, ma solo critiche da destra al decreto dignità.
E così ci si ritrova, invece, a leggere decine di commenti su Di Maio che si spinge a dire che il corpo umano contiene il 90% di acqua, a sentire della convocazione (del PD) di una manifestazione (e sarà interessante leggere le adesioni) “contro il governo dell'odio", (facendo rientrare i sentimenti nelle categorie della politica), a seguire i battibecchi tra governo e opposizione condotti a colpi di tweet. Ma niente che faccia pensare che questa sinistra indistinta, buona per alleanze larghe, fronti repubblicani o nuovi “centrosinistri” abbia possibilità e volontà di rendersi autonoma dal pensiero neoliberista ed incidere positivamente sulle reali necessità delle persone in carne ed ossa invece che rispondere alle necessità comunicative dei social network.
Alla fine, si dimostra anche in questo modo l'inadeguatezza, rispetto alle reali esigenze delle classi popolari, di qualsiasi tentativo di unire su basi politiciste una sinistra incapace di autonomia, mentre si pone l'urgenza di un progetto politico di classe e popolare, pienamente autonomo in termini di elaborazione, analisi e pratiche sociali e politiche.