Centri di permanenza temporanea e assistenza (CPTA), poi definiti Centri di permanenza temporanea (CPT), successivamente Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Infine con il decreto-legge 13 del 2017 i Centri di identificazione ed espulsione (CIE) hanno assunto la denominazione di Centri di permanenza per i rimpatri, i tristemente famosi CPR. Non c’è che dire, una vera e propria rivoluzione! D’altronde l’ITALIA è tra i Paesi più esperti nella gestione dei flussi migratori, va da sé che ciò si rifletta anche nella continua evoluzione normativa, che tende sempre più a mettere al centro l’Uomo, a tradurre in formule giuridiche sempre più semplici il principio della solidarietà umana, ad agevolare e rendere quanto più semplice possibile l’accoglienza a uomini e donne martoriati da una vita piena di tremende e inumane difficoltà…Vorrei poter credere veramente a quello che sto scrivendo, sognare un mondo del genere ma purtroppo la realtà è ben differente e ci sbatte in faccia un crudeltà che, a volte, per chi ha un minimo di sensibilità, diviene difficile tenere intrappolata dentro. Ritorniamo con i piedi per terra e vediamo la realtà per quella che è: i CPR sono centri di detenzione, lager, che rappresentano un altro aspetto di quella che, in un recente articolo, abbiamo definito, riprendendo Lenin, putrefazione capitalistica.
Ousmane Sylla, 21 anni, originario della Guinea e proveniente da una famiglia molto povera di Conakry, si è tolto la vita lo scorso 4 febbraio, impiccandosi nell’area esterna della struttura nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Ponte Galeria, alle porte di Roma.
Quando nel 1998, grazie alla legge Turco Napolitano -spesso la strada alle più grandi porcherie di destra è aperta proprio dai sedicenti riformisti di sinistra- furono istituiti per la prima volta questi centri (ormai divenuti lager), essi prevedevano una permanenza massima di 30 giorni. A distanza di anni, con il proliferare di decreti in materia di sicurezza, siamo arrivati, con il decreto-legge del 19 settembre 2023, ad una soglia di permanenza di 18 mesi. Altro che tempo necessario a predisporre il rimpatrio -o, perlomeno, questa dovrebbe essere la ratio della norma che regola questi casi di immigrati sottoposti ad un ordine di espulsione, in attesa di essere identificati e rimpatriati. Si tratta invero di una permanenza tanto lunga che diviene una vera e propria punizione detentiva. Una punizione pesante, prolungata, spesso incomprensibile e svolta in condizioni disumane. Insomma, non solo questa povera gente scappa dalla guerra e dalla fame, non solo non riesce o semplicemente non può collocarsi nei Paesi vicini come fa in realtà la stragrande maggioranza degli immigrati (questo dato viene sottaciuto ma la maggior parte dei profughi di Paesi africani e asiatici non raggiunge l'Europa, ma si trasferisce nei Paesi vicini), non solo intende venire nel cosiddetto Occidente democratico per offrire la propria forza lavoro a bassissimo costo ma, in compenso, i nostri padroni che fanno? Nella migliore delle ipotesi li piazzano in una serra a lavorare ma sempre con la spada di Damocle dell’espulsione che pesa e non poco sul loro collo a ricordare loro che alzare la testa e lottare per i propri diritti potrebbe costare molto caro. Infatti a finire in un CPR ci vuole poco, tenendo presente che oltre il 50 % dei richiedenti asilo (il 56% per la precisione nel 2022 da fonte ministero dell’interno) ottiene un diniego finendo in questo modo nel bacino dei possibili destinatari di un decreto d’espulsione; bisogna inoltre considerare che c’è una certa discrezionalità in capo al prefetto nel poter definire “socialmente pericoloso” un immigrato e per questo destinarlo al Paese d’origine facendolo “accomodare”, per il “tempo necessario allo svolgimento di tutte le pratiche”, in uno dei vari lager sparsi sul territorio nazionale. Infatti, all’ art. 13 comma 2 del testo unico sull’immigrazione, denominato “Espulsione disposta dal Prefetto” la lettera C riguarda i motivi di pericolosità sociale. Questa lettera fa riferimento a una serie di articoli di legge che definiscono le categorie di persone che sono ritenute socialmente pericolose ed è proprio grazie a questa fattispecie, prima che in altre, che il prefetto può decidere, con un ampio margine di discrezionalità, la sorte di questi uomini e queste donne.
Il punto di vista borghese riguardo al problema dell’immigrazione si può comprendere a pieno solo se prima di ogni cosa diviene chiaro che la forza lavoro, nel modo di produzione capitalistico, è una merce, un particolare tipo di merce a dire il vero, in quanto è l’unica in grado di creare plusvalore. Tanto più questo particolare tipo di merce si trova a buon mercato e tanto più essa viene sfruttata al meglio delle sue possibilità: allora, e solo allora, essa ha più chance di entrare nel circuito dello sfruttamento. Le cause persistenti alla base dei flussi migratori possono essere anche altre come le guerre e il clima ma la principale causa è la ricerca del lavoro. La merce lavoro tende ad essere attratta dal capitale che la sottomette e tende a seguirne lo sviluppo storico, trasferendosi dalle campagne alle città, dai Paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati e così via.
L’interesse del compratore di questa merce, come abbiamo detto, è quello di trovarla a buon mercato, ancora meglio se ricattabile, e proprio questo interesse economico a risparmiare sui costi della forza lavoro che nasce dalle più intime e basilari esigenze del capitale, e a sfruttarla a ritmi sempre più intensi, diviene un obiettivo cruciale delle classi dominanti nella società borghese, tanto cruciale da divenire una forza in grado di agire sui livelli della sovrastruttura -cui possiamo annoverare la sfera politica, culturale, coercitiva- al fine di piegarli a questa esigenza. Uno dei fattori di controtendenza alla caduta del saggio di profitto, forse il principale fattore, come già anticipato da Marx è proprio l’aumento del saggio di sfruttamento della forza lavoro e possiamo dire che questa è la caratteristica fondamentale del capitalismo nella sua fase più reazionaria e cioè quella imperialista. Ecco perché tutti i governi borghesi, chi in modo più velato e democratico chi in modo più sguaiato e diretto, come quello attuale, non possono che legare le politiche occupazionali e dunque le politiche migratorie alle esigenze di sfruttamento che provengono -in modo anche abbastanza violento- dalle classi dominanti. Non stupisce dunque che dinanzi all’evidenza più sfacciata dello schifo rappresentato da questa particolare ed estrema forma di coercizione e pressione sulla forza lavoro rappresentata da questi centri di detenzione, il ministro dell’Interno Piantedosi, è giunto senza vergogna ad affermare che le condizioni - a dir poco agghiaccianti su tutti i punti di vista sia strutturale sia igienico-sanitario - in cui versano i CPR sono tali in quanto sarebbero proprio gli ospiti di queste strutture a vandalizzarli. Un vero capolavoro di umanità ma d’altronde se consideriamo che in pochi mesi il dicastero dell’Interno ha intensificato gli sforzi per schedare la popolazione ci appare sempre più chiara la scena in cui ci apprestiamo ad entrare. Nonostante questa evidente torsione reazionaria, ancora molte frazioni della sinistra seguono l’idea bordighiana del “tanto peggio tanto meglio” confidando che, dinanzi agli scenari peggiori, un presunto sussulto di civiltà possa riaffiorare nelle coscienze e divenire una spinta verso la mobilitazione. Sembrerebbe invece vero proprio il contrario, almeno guardando alla Storia, e cioè che più avanza la reazione e maggiormente le avanguardie rischiano di ritrovarsi isolate e impossibilitate ad organizzare anche una minima roccaforte difensiva donde non la purezza dei programmi dovrebbe prevalere in questa fase di isolamento, ma la capacità di tenere vive e radicate le avanguardie dentro un fronte ampio mediante una realistica politica delle alleanze.