Il giorno del ricordo delle vittime delle foibe è stato istituito nel 2004 su iniziativa di Alleanza Nazionale, il partito nato dal Movimento Sociale Italiano, erede del fascismo. I morti delle foibe furono italiani in gran parte militari, capi fascisti, funzionari dell’amministrazione occupante in Jugoslavia e collaborazionisti dei nazisti. Un tentativo increscioso di mischiare vittime e aggressori prescindendo dai crimini commessi.
di Giovanni Caggiati
In Italia nel 2004 è stato istituito il “Giorno del ricordo delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale” per il 10 febbraio di ogni anno su iniziativa innanzitutto dei parlamentari di Alleanza Nazionale, il partito nato qualche anno prima dal Movimento Sociale Italiano erede del fascismo.
I morti delle foibe furono italiani, circa cinquecento nel settembre-ottobre ‘43 e alcune migliaia (se vengono considerati anche i dispersi e i fucilati di guerra, deportati e morti in campi di concentramento jugoslavi, ecc.) nel maggio ‘45 a guerra terminata.
Questi italiani erano in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione italiana occupante la Jugoslavia, collaborazionisti.
Celebrare questi morti con una solenne ricorrenza nazionale, attribuire loro onorificenze, intitolare vie e piazze d’Italia ai “martiri delle foibe” è un’operazione del tutto inaccettabile.
Il revisionismo storico mira proprio a questo: a non rendere giustizia a coloro che furono le reali vittime del nazifascismo, contro cui hanno lottato a costo della vita, trasformando in vittime innocenti anche e proprio gli aggressori stessi, prescindendo in modo inaccettabile dai crimini e dalle enormi responsabilitá del fascismo, così da confondere e mistificare la Storia I tragici fatti delle foibe del ‘43 e del ‘45 sono derivati dall’odio popolare e dalla rivolta nei confronti dell’Italia fascista.
Il fascismo ben prima, nei primi anni ‘20 del novecento, si presentò nelle zone del confine nordorientale abitate anche da sloveni e croati con l’azione delle squadracce contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”.
Razza “inferiore e barbara” nei confronti della quale bisognava usare “la politica del bastone”, disse Mussolini già nel 1920, per poi passare alla chiusura delle scuole slovene e croate, al cambiamento della lingua e dei nomi, all’italianizzazione forzata e, infine, nell’aprile ’41, all’aggressione militare, all’invasione del Regno di Jugoslavia con l’esercito del re e di Mussolini, pochi giorni dopo quella della Germania nazista.
L’Italia si annesse direttamente alcuni territori, altri li tenne sotto controllo, in condizioni di occupazione particolarmente dure e crudeli, non meno di quelle naziste. Secondo la Commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra ci sono stati oltre 700 criminali di guerra italiani, a cominciare dai generali Roatta e Robotti; nessuno è stato mai condannato né estradato e consegnato alle autorità jugoslave!
Soltanto l’anno scorso la Procura Militare di Roma ha aperto - finalmente! - un’inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, in particolare in Grecia, Jugoslavia e Albania. Nel ‘46 fu istituita un’apposita commissione d’inchiesta presso il Ministero della Guerra (poi della Difesa), ma essa cessò i lavori pochi anni dopo senza prendere alcun provvedimento nè per quanto riguarda la consegna alla Jugoslavia dei criminali di guerra, nè instaurando in Italia un processo a loro carico
All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre ‘43 quarantamila soldati italiani passarono dalla parte dei liberatori unendosi ai partigiani jugoslavi. In quell’epica lotta nei Balcani contro il nazifascismo la metà di essi persero la vita. Col loro sacrificio riscattarono l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. Anche a questi italiani devono andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
A Parma, città medaglia d’oro della Resistenza e protagonista delle Barricate del ‘22 contro le squadracce fasciste di Balbo, si terrà una manifestazione sui crimini fascisti in Jugoslavia il 10 febbraio organizzata da ANPI, ANPPIA, e Comitato antifascista, in alternativa al “giorno del ricordo” con gli interventi di Angelo d’Orsi, storico dell’Università di Torino, e Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica di Trieste, e la proiezione del filmato “Pokret!” videointervista a cura di Giuliano Calisti ad alcuni italiani che sono stati partigiani in Jugoslavia.
Alcuni morti delle foibe. “Vittime innocenti” e “martiri”?
- Cossetto Giuseppe, infoibato nel ’43 a Treghelizza, possidente, segretario del fascio a S. Domenica di Visinada, capomanipolo MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già squadrista sciarpa Littorio;
- Morassi Giovanni, arrestato a Gorizia nel maggio ’45 e scomparso, Vicepodestà e Presidente della Provincia di Gorizia;
- Muiesan Domenico, ucciso nel ’45 a Trieste, irredentista, legionario fiumano, volontario della guerra d’Africa, squadrista delle squadre d’azione a Pirano;
- Nardini Mario, ucciso nel ’45 a Trieste, capitano della MDT (Milizia Difesa Territoriale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già XI Legione MACA (milizia fascista speciale di artiglieria controaerei);
- Patti Egidio, ucciso nel ’45, pare infoibato presso Opicina, vicebrigadiere MDT, già MVSN, GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), squadrista;
- Polonio Balbi Michele, scomparso a Fiume il 3 maggio ’45, sottocapo manipolo del 3° Reggimento MDT;
- Ponzo Mario, morto nel ‘45 in prigionia, colonnello del Genio Navale, poi inquadrato nel Corpo Volontari della Libertà del Comitato di Liberazione Nazionale (antifascista) di Trieste, arrestato per spionaggio sul movimento partigiano jugoslavo in favore del fascista Ispettorato Speciale di PS (Pubblica Sicurezza, sottoposta direttamente ai tedeschi);
- Sorrentino Vincenzo, arrestato nel maggio ’45 a Trieste, condannato a morte da tribunale jugoslavo e fucilato nel ’47, ultimo prefetto di Zara italiana, membro del Tribunale Speciale della Dalmazia che comminava condanne a morte con eccessiva facilità secondo gli stessi comandanti militari italiani (“girava per la Dalmazia, e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte; e queste erano senz’altro eseguite”, Procuratore Militare in Dalmazia Umberto Maranghini).
(da Le medaglie per gli infoibati di Claudia Cernigoi, sito «La Nuova Alabarda»)