Le urne sono ancora calde dei No di 20 milioni di elettori. E un’illusoria parvenza di coerenza ci è stato offerta su un piatto di falso argento dalle immediate dimissioni, oltretutto annunciatissime del Premier, autore della riforma respinta con un “en plein”, anche del tutto imprevisto. Generalmente un responso così eccezionale prevede un cambio di rotta. Morto il vecchio che la maggioranza ha disdegnato, nasce il nuovo. O almeno si tenta di farlo nascere. Così vuole la logica delle cose, così vorrebbero i fatti, a seguire.
Ebbene nel paese dei balocchi, o meglio degli inciuci e degli inganni, accade esattamente il contrario. Avete detto che Non mi volete, quindi resto. Anche se, per ora, mi dimetto. Avete detto No, quindi non è successo niente, tutto come prima. Avete detto No, quindi me ne vado, ma solo per un po’. Il tempo di sistemare alcune cosette in sospeso alla Leopolda e tornerò “più forte e più potente che pria”. Dagli eventi e dalla piega che sta prendendo l’onda politica e istituzionale, sembra proprio questo il progetto dell’ex premier. Come se a Palazzo Chigi avesse affisso il classico cartello “Torno subito”. Il tempo di prendere un caffè a Pontassieve. Il tempo di festeggiare il Natale in famiglia. E nel frattempo lascio a guardia dei miei poderi, o poteri, i miei fidi.
E nasce, in poche ore, a garanzia del millantatore fiorentino, il copia incolla dell’esecutivo renziano. Questa volta tocca ad un blasonato guidarlo. Habemus contem, Paulus Gentiloni . L’Italia si tinge di nobiltà e di sangue blu, almeno per un po’. Ma a che e a chi serve un titolato oggi al Paese? Mai che si pensasse ad eleggere un fautore delle tute blu, rappresentanza assente da troppo tempo in Parlamento. Se non fosse che questo è il Paese in cui viviamo e da cui traiamo le basi della nostra vita sociale. Se non fosse che la politica è la base di una società civile. Se non fosse che una parte del popolo del No, quella che ritiene la Costituzione garante dei diritti dei cittadini, si è fermamente opposta a chi voleva deformarla.
Se non fosse che quel popolo ha vinto il referendum e generalmente il premio lo incassa il vincitore e decide degli sviluppi. Se non fosse che un intero popolo è stanco di subire la deprivazione dei diritti sociali e che un’intera giovane generazione si ribella alla mancanza di lavoro e a dover adattarsi a prestazioni occasionali retribuite con i voucher. E se non fosse che sono state messe in campo riforme antipopolari come il Jobs act e la Buona scuola. Se non fosse, infine, che è la stessa Costituzione, all’articolo 54, a imporre il dovere di “adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore”, rispettando quindi i verdetti popolari e la parola data, non saremmo certo oggi così indignati per la beffa ad oltranza che ci propongono le istituzioni, ai danni e alle spalle del popolo sovrano.
Evidente che siamo stati vittime di un raggiro e che la nostra scheda elettorale con quella X ben marcata sul No è stata considerata al pari di carta straccia. Ne è prova inconfutabile il neonato governicchio che è tutto tranne che nuovo e rimanda la precisa idea del deja vu. Un totoministri eletto che fa pensare e che la dice lunga sulle future intenzioni del dimissionario premier. La più scandalosa rinascita agli altari del potere è senza dubbio quella della madre della riforma, l’avvenente Maria Elena Boschi, che per aver ben eseguito, caldeggiandolo da tutti i media con un martellante cinguettio, il compitino anticostituzionale, ha meritato non di essere espulsa per sempre da tutti i parlamenti mondiali, ma di troneggiare, per ossimoro, alla sottosegreteria della presidenza del Consiglio con sovrintendenza sovrana. Eppure la stessa aveva pubblicamente annunciato, durante la trasmissione “In mezz’ora” dell’Annunziata, che, in caso di sconfitta , si sarebbe ritirata dalla vita politica. “Alla faccia della coerenza” avrebbe detto il mitico Totò.
Che avrà mai fatto di così onorevole per il Paese, l’onorevole figlia della banca Etruria, per meritare simile promozione nell’esecutivo del nobile Gentiloni? Resta un mistero che si spiega solo come figura a baluardo della prossima rentrée in governo del suo complice in affairs politici… Sembra che le armi di Renzi per far smontare dal seggio dell’esecutivo il suo supplente siano già ben affilate “Faccio le primarie, subito a elezioni…e torno in carica”. Così sembra dire alla consegna della campanella al suo temporaneo sostituto. Un’interpretazione che non dovrebbe discostarsi molto dal progetto di rientro a Palazzo dell’imbonitore fiorentino. É giovane e intraprendente quanto basta, con un’ambizione politica sfrenata. Figlio politico di quel Berlusconi che ha il potere di risorgere sempre dalle ceneri come fosse l’araba fenice. Avvinghiato alla poltrona a cui ancora oggi, pur ottantenne e provato in salute, non sa rinunciare. Il potere è una droga per chi lo esercita e una damnatio per chi lo subisce.
Tornando al totoministri, che dire della conferma della Madia, madonna rinascimentale, alla pubblica amministrazione, sebbene la Consulta abbia dichiarato incostituzionale il suo ultimo decreto. Massimo Villone (Comitato per il No), professore emerito di diritto costituzionale all’Università Federico II di Napoli, spiega chiaramente il motivo della bocciatura “La Corte ha dichiarato la incostituzionalità del decreto Madia perché l’intreccio delle competenze tra i livelli istituzionali avrebbe richiesto non un semplice parere delle autonomie sui decreti delegati attuativi della legge 124, ma una intesa formale da raggiungere nelle Conferenze tra Stato e autonomie. Intesa in cui si realizza il fondamentale principio di leale collaborazione tra i livelli istituzionali”.
E della conferma della Lorenzin al ministero della salute ne vogliamo parlare? La Lorenzin, la ministra del Fertility day , che proponeva alle donne di fare più figli e presto, perché l’orologio biologico non attende. Mise in atto una campagna vergognosa e sollevò un vespaio di contestazioni sui social. Tanto che lo stesso Renzi si affrettò a disapprovare e a prendere le distanze dalla proposta. Ed eccola di nuovo, con il Renzi bis, in sella alla poltrona della salute nazionale.
Confermato ancora Poletti al lavoro, una delega bis, la più inquietante. Sul lavoro non si scherza. É la vera nota dolens del Paese. Lavoro non ce n’è e Poletti è complice con Renzi della riforma dello statuto dei lavoratori. Avrebbe dovuto essere deposto per primo. E invece eccolo lì, ancora al suo posto a perorare un’orribile riforma che toglie diritti e stabilità ai lavoratori e dà ancor più precarietà. Sulla questione del referendum per abrogare alcune parti del Jobs act, Poletti nicchia e sollecita, per rinviarlo, le lezioni anticipate. Smascherato prontamente da Susanna Camusso. “Il governo boicotta i referendum? Mi sembra che il ministro si stia sostituendo al Presidente della Repubblica nel decidere quando sarà il voto. E comunque la logica del rinvio dei problemi non li risolve di certo. Il voto del 4 dicembre e la reazione dei giovani lo dimostrano: non si scappa. Certi temi vanno affrontati, bisogna dare delle risposte”. (link: Referendum Jobs act, Camusso contro Poletti: "Vuole sostituirsi a ...www.ilfattoquotidiano.it)
Alfano, l’ex fedelissimo delfino di Berlusconi, resta attaccato all’esecutivo come un mitile. Si sposta solo di poltrona, dagli interni agli esteri. Non si comprendono le retrovie dei motivi della delega agli esteri. Quindi il responsabile della figuraccia per il rapimento della Shalabayeva, caso in cui è implicatissimo, va a rappresentare l’immagine internazionale del Paese. Logica non pervenuta. Altra incoerenza del Renzi bis di cui non ci è dato di conoscere le motivazioni. Forse che hanno tirato a dadi per formare questo esecutivo, avendo fretta di partecipare, con la squadra fatta, al tavolo del consiglio europeo del 15 dicembre? Forse. O forse era già tutto precostituito per dare continuità a Renzi e dare il via al vespaio di contestazioni, perché in effetti nulla è cambiato e chissà se cambierà. E per dare voce al popolo del Sì con il fatidico “Ve l’avevamo detto, ora starete peggio”. Illazioni?
Espulsa dal nuovo esecutivo la Giannini, la complice dell’odiatissima, dal popolo della scuola, riforma che ha l’ironico nome “Buona scuola”. Che nel merito è come dire a chi siede in cattedra “Dovete pagare tutto. Ora vi conciamo per le feste”. Livida di rabbia, con incarnato sempre più giallastro, è costretta a tornare a casa. Sembra un bene e una speranza, ma, prese informazioni sulla sostituta, una speranza tiepida. Valeria Fedeli ha la delega alla scuola. Ex sindacalista, mai un giorno di cattedra, curriculum incerto sui titoli. Non è del mestiere del ministero a cui è delegata quindi. Come la Lorenzin, le cui competenze professionali nulla hanno a che vedere con la delega alla salute. Tutto scomposto questo Renzi bis. Sarà un governo volante o il supplente di Renzi tirerà fuori qualche rassicurante asso dalla manica per arrivare a fine legislatura?
Cavalcano però i 5stelle che intendono andare subito a elezioni, subito dopo il verdetto della Corte costituzionale sulla legge elettorale, il 24 gennaio. Intanto la sinistra del No sociale, ulteriormente offesa dall’evidente ritorno al renzismo, con un governo che ne è la fotocopia, non vuole restare a leccarsi le ferite. Si riparte da dove e con chi? Sarebbe il caso di ottimizzare la vittoria del No, partendo dalla lotta di classe con una campagna di solidarietà diffusa su tutto il territorio nazionale. Vicini alle lotte dei lavoratori sfruttati, nelle fabbriche e in tutti i luoghi in cui il lavoro non è dignitoso e rende schiavi di orari e di contratti che danneggiano il lavoratore impoverendolo, arricchendo i padroni. Sarebbe anche il momento favorevole per pretendere di annullare le inique riforme fatte dagli ultimi governi e anche di pretendere dai sindacati scioperi generali a oltranza. Non vogliamo che questo. Altrimenti il 4 Dicembre verrà presto dimenticato.