Ancora sullo sciopero dei docenti universitari

La crisi dell’Università e lo sciopero dei docenti.


Ancora sullo sciopero dei docenti universitari Credits: http://www.padovaoggi.it/cronaca/il-sindacato-degli-studenti-sullo-sciopero-dei-docenti-dell-universita-luglio-2017.html

Lo sciopero dei docenti universitari, ma che abbiamo visto essere nella sostanza un rinvio degli esami e che non ha riguardato gli esami di laurea, ha suscitato un ampio dibattito, in cui sono emerse opinioni assai diverse espresse anche con una visceralità poco consona alla chiarificazione delle diverse posizioni e incapace di sollecitare una mobilitazione compatta. Proprio ciò di cui avremmo bisogno in una situazione in cui stiamo assistendo allo sbriciolamento del sistema universitario italiano, che come si ricava dai dati OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), pubblicati quest’anno, presenta non poche criticità. Questi dati ci dicono che solo 18 italiani su 100 sono laureati, la metà della media dei paesi industrializzati e il numero più basso dopo quello del Messico, il 30% degli studenti sceglie facoltà con scarsi sbocchi lavorativi (leggi facoltà umanistiche), mentre il 25% esce da quelle scientifiche. Quest’ultimo dato ha fatto esplodere tutta l’ostilità dell’establishment contro le discipline umanistiche, che nella sostanza non servono a niente e non aiutano nemmeno i giovani a trovare un impiego [1]. Tutti i giornali e i notiziari si sono soffermati su questo dato, sostenendo la necessità di introdurre il numero chiuso nelle facoltà umanistiche, contro la recente sentenza del TAR Lazio. Ma invero la questione dovrebbe essere totalmente rovesciata: gli umanisti non trovano lavoro perché le nostre istituzioni scientifiche e culturali sono state definanziate [2] e quindi non sono più in grado di assorbire questi lavoratori qualificati, i quali – come più volte si è detto – darebbero anche un ritorno economico, giacché il nostro patrimonio culturale, artistico, monumentale deve essere protetto e valorizzato per attirare il turismo internazionale. Mi diceva un collega epigrafista che non abbiamo nemmeno più epigrafisti in grado di decifrare le epigrafi greche, in un paese che ha un’ampia regione definita Magna Grecia. Quindi, non bisogna chiudere le facoltà umanistiche, che d’altra parte introducono un pensiero di largo respiro e avviano alla riflessione critica e autocritica; bisogna piuttosto finanziare in maniera significativa le istituzioni scientifiche e culturali, affinché ritornino a nuova vita con l’impiego dei giovani laureati.

Dopo tanto tempo, dalla protesta sui tetti contro la Legge Gelmini fatta in sintonia con gli studenti, i mezzi di comunicazione di massa non si erano occupati dei problemi dell’Università, o meglio dello sciopero dei docenti per protestare contro il blocco degli scatti stipendiali, solo uno degli aspetti della grave crisi dell’università (si veda mio articolo precedente). Il fenomeno è talmente consistente che il sito ROARS (Return on Academic Research) ha dato spazio a numerosi articoli pubblicati sul tema.

Vorrei riprendere alcune considerazioni sviluppate in un articolo della Redazione di questo sito accademico sui comportamenti in genere adottati dai professori universitari che in virtù del loro ruolo particolare si considerano certamente una specie a sé.

In primo luogo, riprendo il tema del corporativismo dello sciopero, che non può essere smentito in nessun modo, dal momento che è stato indetto per una questione che riguarda in maniera esclusiva i docenti universitari, i quali – a onor del vero - hanno ricevuto un trattamento stipendiale diverso da quello di altri dipendenti dello Stato. D’altra parte, il comportamento corporativo costituisce una costante che si è registrata anche quando per aderire ad un dottorato è stata richiesta la pubblicazione di due articoli in riviste di fascia A (ossia riviste prestigiose dal punto di vista dell’Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca). Ciò ha suscitato la protesta dei docenti universitari, giacché alcuni non avendo questo requisito sono stati esclusi dai dottorati e quindi dal potenziale controllo del ricambio generazionale.

Del resto, negli ultimi anni i docenti universitari, che rappresentano una categoria non certo peggiore di altri funzionari dello Stato, sono stati oggetto di una campagna di insulti e di vilipendio, che li ha considerati dei fannulloni con stipendi strepitosi, e che di fatto aveva come obiettivo la trasformazione della funzione dell’Università ora intesa come istituzione di supporto all’impresa. Ciò d’altra parte è evidente se si pensa che sono state istituite le lauree professionalizzanti (Decreto Ministeriale 12/12/10), volute dalla CRUI (Conferenza Rettori Università Italiane) e dalla Confindustria, che faranno sempre più stretto il legame tra formazione, ricerca universitaria e bisogni delle imprese. Questi percorsi formativi prevedono anche tirocini annuali degli studenti (gratuiti?) nei luoghi di lavoro nell’ottica dell’alternanza studio/lavoro, che anche da questo punto di vista favorirà le imprese e gli studi professionali, a cui fornirà laureati da impiegare immediatamente nei settori industriali e produttivi più innovativi.

Ma c’è un altro aspetto che mi preme segnalare cui ho fatto cenno nel precedente articolo e che a mio parere vale la pena di approfondire. Scrive la Redazione di ROARS che tutto quello che negli ultimi anni si abbattuto sull’Università (tagli di risorse, burocratizzazione, discredito, blocco delle carriere etc.) <<i docenti universitari – categoria tra le meno sindacalizzate e con la minore coscienza di ceto – lo hanno subito in rassegnato silenzio, esprimendosi con mugugni e lamentele davanti alla macchina del caffè o nei corridoi; oppure sviluppando, per quanto è possibile, un senso opportunistico di adattamento, tentando di ricavare per il sé/il proprio gruppo/dipartimento/ateneo qualche briciola in più di una torta sempre più piccola, magari sottraendola a un “rivale” operante nella stessa istituzione>> (grassetto nel testo). ROARS si sofferma anche sull’atteggiamento dei rettori, i quali <<hanno di fatto assecondato qualsiasi politica governativa, purché questa fosse accompagnata da qualche briciola in più di finanziamento, o assai spesso dalla promessa di briciole future>>.

A mio parere l’atteggiamento corporativo su descritto e la profonda sfiducia nei confronti del sindacato nasce dalla convinzione, non esclusiva dei docenti universitari, ma propria di tutti coloro che svolgono un ruolo dirigente [3], che il percorso più idoneo e più rapido per ottenere migliorie e modifiche delle proprie condizioni lavorative sia quello di tipo personalistico con la figura posta al livello superiore, la quale si farà portatrice delle diverse istanze a livello governativo e ministeriale. Si tratta di quello che si potrebbe definire “clientelismo”, nel senso di relazione tra patronus e cliens [4] dal quale possono scaturire forme di corruzione più o meno gravi, come mostrano per esempio la gestione dei concorsi universitari che in questi giorni ha portato all’arresto di alcuni docenti. Ma tutto ciò non riguarda esclusivamente il mondo universitario, ma tutto quel mondo che un tempo si definiva con un’espressione calzante caduta in disuso “sottogoverno”, nel quale assai stretto era il legame tra denaro e politica, tra potere e orientamento ideologico. Quindi, dal mio punto di vista, è ingenuo scandalizzarsi perché certe cose accadono nelle università, giacché invece riguardano, chiaro non in forma generalizzata, tutto il sistema istituzionale nella società capitalistica, pertanto non solo in Italia, ossia in una forma sociale in cui non c’è nessun controllo dal basso.

Queste tendenze sono state accentuate dal fatto che i rettori sono stati trasformati in signori assoluti degli atenei, scavalcando quel ruolo di primus inter pares che valeva almeno nei confronti dei professori ordinari, giacché associati e ricercatori sono valvassori e valvassini.

Questa dinamica si sta dispiegando in maniera evidente nel comportamento della CRUI (Conferenza Rettori Universitari Italiani), che, pur essendo un’associazione privata, ha convocato le diverse sigle sindacali per discutere del presente sciopero, in quanto si è attribuita il titolo di “datore di lavoro” dei docenti. In maggioranza i sindacati hanno respinto l’invito, chiedendo un incontro allargato a tutte le componenti universitarie, in cui si discuta dell’insieme dei problemi degli atenei (v. documento sindacale unitario http://www.andu-universita.it/blog/wp-content/uploads/2017/09/Lettera-unitaria-alla-CRUI-.pdf).

Ritornando allo sciopero, possiamo dire che esso ha ottenuto una consistente adesione (i dati forniti parlano di più di 10.000 docenti), ma purtroppo – dal mio punto di vista – non rappresenta un cambio di rotta nel comportamento dei docenti. Infatti, evitando di far fronte comune con gli altri sindacati, il Movimento per la dignità della Docenza universitaria si recherà all’incontro con la CRUI, pur mettendone in discussione i termini, e – cosa per me ancora più grave – continua ad essere guidato da un docente che prende decisioni ed elabora documenti senza la consultazione della base. Ancora una volta, dunque, pur di evitare una vera mobilitazione e di mescolarsi con gli studenti e il personale amministrativo, i docenti universitari ricorrono ad un “personaggio carismatico” che dovrà fare pressione sulla CRUI per convincere il governo a cedere sul problema degli scatti stipendiali.


Note

[1] L’Espresso titola il suo articolo “OCSE: Italia in fondo per numero di laureati, troppi titoli umanistici”.

[2] Sempre dai dati OCSE si deduce che l’Italia è l’ultima per le spese nell’istruzione e che dal 2010 l’investimento complessivo è diminuito del 9%. E ciò mentre Gentiloni ha promesso a Trump che le spese militari italiane arriveranno gradualmente al 2% del PIL.

[3] In questo senso hanno una coscienza di ceto e non desiderano essere considerati comuni lavoratori.

[4] La relazione tra patronus e cliens si fondava in epoca romana sulla relazione di subordinazione del secondo al primo, il quale però doveva sostenere i suoi clienti fornendogli appoggio economico e patrocinio giuridico.

30/09/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: http://www.padovaoggi.it/cronaca/il-sindacato-degli-studenti-sullo-sciopero-dei-docenti-dell-universita-luglio-2017.html

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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