ZURIGO. John McPhee nel suo libro “Il formidabile esercito svizzero” si chiedeva quale fosse la ragione sottesa al fatto che, nonostante tutti avessero un’arma in casa, pochi e infrequenti fossero i conflitti a fuoco. Dava anche la risposta: perché è proibito. Michael Kosta della trasmissione satirica statunitense “The Daily Show” ha trasmesso un servizio sul tiro federale di campagna e il politico Samuel Schmid ha spiegato che la motivazione del basso numero di morti e feriti per arma da fuoco relativamente alla grande diffusione di armamenti dipendesse semplicemente dal rispetto nutrito dai suoi connazionali per l’arma.
Insomma, la passione elvetica per fucili e pistole rimane salda: leggendo le statistiche apprendiamo che oltre 2 milioni e mezzo di fucili e pistole sono in circolazione in Svizzera, anche se non è più come quando la gran parte degli uomini dopo il tempo trascorso nell’esercito tratteneva in casa l’arma di ordinanza.
Fuori dai confini della Svizzera, in particolare nei Paesi confinanti – Italia, Francia, Germania – si è sempre guardato con ammirazione, curiosità e stupore al fenomeno dei soldati svizzeri congedati con la loro arma d'ordinanza custodita in casa. Anche oggi capita di incrociare per strada adolescenti in motorino, soci di qualche società di tiro locale, con un fucile d'assalto in spalla.
Per tanti anni, anche dopo la fine del secondo conflitto mondiale, al quale la Svizzera non partecipò rimanendo coerente alla sua storica neutralità durante le guerre, lo stereotipo del cittadino del paese di Guglielmo Tell, armato e sempre pronto a difenderne i confini è stato affiancato alla dottrina secondo cui la Svizzera non aveva un esercito, ma era un esercito. Dopo il 1989, con l’abbattimento del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, un terzo dei cittadini svizzeri si è pronunciato a favore dell'abolizione dell'esercito.
Oggi il legame emotivo tra i cittadini e l'esercito non è certamente più quello che ha plasmato la mentalità elvetica negli anni della seconda guerra mondiale e della guerra fredda. Il numero di soldati è diminuito, l'esercito è meno presente nella vita di tutti i giorni. Così anche il fucile d'assalto custodito in casa è una moda passata.
Il quotidiano “Blick” citando il Dipartimento federale della difesa sostiene che nel 2017 ai militi congedati sono stati consegnati in totale 1.523 fucili d'assalto e 990 pistole, ma il 90% dei soldati che ha concluso nel corso dell'anno l'obbligo di prestare servizio ha rinunciato a portarsi a casa l'arma d'ordinanza. Quindici anni fa la quota di soldati e ufficiali congedati che era uscito dall’esercito portando con sé la propria arma era del 43%. I fucili d'assalto consegnati ai militi erano stati oltre 20.000, le pistole quasi 12.000. Le cifre del 2004 devono essere messe in relazione con la riforma “Esercito XXI” in vigore proprio da quell'anno che prevedeva una forte riduzione del numero di soldati in servizio e degli stock negli arsenali.
Negli ultimi anni le cifre sono diminuite con molta rapidità. Dal 2004 a oggi sono state comunque consegnate oltre 106.000 armi ai militari giunti al termine del loro servizio. Da dieci anni la rimessa dell'arma di ordinanza è abbinata all'obbligo di partecipare a esercitazioni di tiro, questo ha contribuito a rendere meno attraente l'eventualità di portarsi a casa un'arma.
In ogni caso, come ricordato più sopra, la tradizionale passione di molti svizzeri per le armi da fuoco non è comunque svanita: le armi acquistate sono non meno di 55'000 nel solo 2017. Alcune serie inchieste giornalistiche hanno evidenziato che negli ultimi anni si è verificato un aumento notevole di richieste di permessi per l'acquisto di armi. In Svizzera l'obbligo di richiedere un permesso di acquisto è stato introdotto nel 2008. Si ipotizza che il numero di armi da fuoco in mano a privati cittadini in Svizzera stia tra i 2,5 e i 3 milioni.
La “pacifica” e “neutrale” Svizzera è terza nella classifica dei Paesi con la più alta densità di armi per abitante, dopo gli USA e lo Yemen. Nei Cantoni elvetici c'è un'arma ogni 3-4 abitanti. Per questo Governo e Parlamento vorrebbero inasprire le norme sul possesso di armi, adattandole alle direttive dell'Unione europea, soprattutto limitando l’affidamento delle armi ai militi a fine servizio.
L'UE ha deciso di vietare le armi semiautomatiche e in questa categoria rientrano anche i fucili d'assalto dell'esercito svizzero. La Svizzera dovrebbe applicare la normativa europea entro la fine di maggio 2019, ma ha già ottenuto alcune deroghe: a esempio l'arma di ordinanza presa in consegna dai soldati al termine del loro obbligo di servizio non rientrerebbe nella categoria delle armi vietate. I tiratori sportivi dovrebbero far parte di un'associazione di tiro e dimostrare di partecipare regolarmente alle esercitazioni. Pare che le associazioni dei tiratori temano che le nuove norme segnino la fine del tiro come sport di massa. Per questo 14 associazioni hanno promosso un referendum contro la revisione di legge.
Un ultimo elemento. Nella “piccola” e “ridente” Svizzera negli ultimi dieci anni sono scomparse 766 armi. Nel 2018 ne sono state ritrovate 36, tra cui tre fucili d'assalto, fuori dai confini elvetici. La “perdita” di armi si deve a furti con scasso, a smarrimenti durante gli spostamenti o a distruzioni in incendi. La statistica distribuita da fonti dell’esercito svizzero assegna il numero di armi dell'esercito smarrite e non più ritrovate negli ultimi 40 anni: sono quasi cinquemila.
L'autore di questo articolo e la testata ringraziano Andrea Tognina e la testata Swissinfo.ch per avere sollevato la questione oggetto di questo articolo raccogliendo dati e citando fonti che rendono attuale il tema degli armamenti in Svizzera