La corsa agli armamenti nucleari, intrapresa in forma segreta o palese dai paesi protagonisti della guerra fredda e non solo, in questi settant’anni non si è mai arrestata. Il percorso umanitario per un disarmo nucleare totale ha affrontato l’ultima tappa nella conferenza di New York in cui sono emerse tra gli Stati tutte le contraddizioni che hanno portato a una conclusione priva di un documento finale.
di Antonia Sani*
Sulla piazza del Pantheon dove il 6 agosto erano convenute, invitate dal Comitato Terra e Pace, alcune rappresentanze istituzionali tra le quali esponenti della diplomazia nipponica per commemorare a 70 anni di distanza la tragedia di Hiroshima, campeggiava una scritta: “MAI PIU’ HIROSHIMA / 1945-2015”. Una scritta eloquente, in realtà disarmante se calata nel quadro storico degli eventi di questi ultimi 70 anni.
La corsa agli armamenti nucleari, intrapresa in forma segreta o palese dai paesi protagonisti della guerra fredda e non solo, in questi settant’anni non si è mai arrestata, nonostante nel decennio degli anni ‘80 si fosse cominciato a trattare per la riduzione delle armi nucleari, e a proporne addirittura la messa al bando entro il Duemila (Gorbaciov).
Ricerche scientifiche stimano oggi il numero totale delle testate nucleari tra USA, Russia, Francia, Gran Bretagna, Cina, Pakistan, India, Corea del Nord, Israele in circa 16.300, di cui 4.300 pronte per il lancio. Le forze nucleari Nato – padrone del campo dopo la caduta del Patto di Varsavia –e dispongono nel loro insieme di ben 8.000 testate, di cui 2.370 pronte per il lancio (cfr. M.Dinucci - Il Manifesto 6.8.15). Per l’Italia il computo - ignorato dai più - si aggira intorno al numero incredibile delle 90 testate.
Il mutato quadro geopolitico successivo alla disgregazione dell’URSS - vero Vaso di Pandora che sprigionò conflitti etnici, religiosi, assalti famelici alle risorse per il primato nel mondo da parte di potenze, contrapposte non più in nome delle ideologie storiche, ma unicamente per la conquista del potere economico e finanziario sul pianeta globalizzato – arrestò quella presa di coscienza che nel corso degli anni ‘80 aveva visto la popolazione civile opporsi con azioni vistose alla presenza di centrali nucleari nel proprio territorio.
Risale a quegli anni la nascita del movimento “verde” nell’Europa occidentale. Le catene umane per la chiusura delle centrali nucleari di Caorso, di Montalto di Castro (vanto dell’ENEA), il sinistro sibilo della sirena durante i cortei, quando ci si buttava a terra con indosso le tute bianche di chi prestava servizio nelle centrali simulando uno scoppio nucleare, non sono che un lontano ricordo. Il gravissimo incidente della centrale di Chernobyl (1986) con conseguenze impreviste da gran parte delle popolazioni, aveva segnato l’apice di quella forte sensibilizzazione, che portò l’Italia all’importante vittoria del referendum (1987) per bandire l’attività delle centrali nucleari dal nostro territorio.
La battuta d’arresto era inevitabile; altri drammi quotidiani attanagliavano l’opinione pubblica, rispetto ai quali la catastrofe nucleare sembrò fuori dalla portata di azioni possibili per scongiurarla. Ci fu una sorta di rimozione del “pericolo nucleare”, scrisse la psicanalista francese Madeleine Mosca, “motivata dall’espulsione della paura dell’impossibilità di salvezza”.
Il percorso umanitario
Ma sulla piazza del Pantheon il 6 agosto erano presenti anche alcune associazioni (Lega Internazionale di donne per la Pace e la Libertà- WILPF, LOC, OSM contro le armi nucleari, Energia Felice, Peace Link, Alba, donne della regione mediterranea - awmr, AFFI - Casa internazionale delle donne di Roma, Fermiamo chi scherza col fuoco atomico, Armes nucléaires STOP...), impegnate nella lotta per l’abolizione totale delle armi nucleari, con la distribuzione di materiale informativo per indicare che tra l’impatto emotivo suscitato dal terrore della catastrofe nucleare e la rinuncia a ogni valida prospettiva di impegno per impedirla c’è un percorso attivo che ognuno di noi può compiere, un percorso consapevole, in grado di rompere il silenzio assordante di questi ultimi anni, distinguendo i piani dell’azione che non possono non tener conto di un dialogo con le istituzioni che hanno il dovere di trasformare in norme la tutela del diritto alla salute e alla vita degli abitanti della terra.
Il percorso umanitario per un disarmo nucleare totale, sostenuto dalle associazioni citate, partito a lato della Conferenza di Oslo nel 2013, passato per la Conferenza di Nayarit (Mexico) nel febbraio 2014 e giunto alla Conferenza di Vienna nel dicembre 2014, ha affrontato l’ultima tappa nella conferenza di New York (maggio 2015), in cui sono emerse tra gli Stati tutte le contraddizioni che hanno portato a una conclusione priva di un documento finale.
A Vienna, un primo specchio della situazione
Il Forum contiguo alla Conferenza, promosso dall’ICAN (International Campaigne abolition nuclear weapons) di cui anche le associazioni citate fanno parte, ha avuto posizioni nette, seguite da molti giovani; parola d’ordine “Il coraggio di bandire le armi nucleari”; la Conferenza Internazionale (158 Stati partecipanti) si è espressa solo per un terzo a favore di “uno strumento internazionale vincolante, che vieti le armi nucleari sulla base dell’impatto umanitario, mentre la maggior parte ha continuato a veder nel TNP (Trattato di non proliferazione nucleare) uno strumento ancora valido”.
Le premesse per l’esito negativo della Conferenza di New York vi si leggono chiaramente. Il governo italiano a Vienna ha dimostrato di abbracciare la strategia dei “piccoli passi”: mediare tra le potenze nucleari e gli Stati non nucleari. Non è questa la posizione delle nostre associazioni, ma quali “disarmisti esigenti” convinti – a differenza di altre associazioni dell’ICAN - dell’importanza di un dialogo con le istituzioni, è parso un possibile terreno d’incontro il seguente approccio espresso dal governo italiano: “la sicurezza umana deve essere messa al centro e ad essa vanno subordinate e messe al servizio le esigenze di sicurezza militare degli Stati”. In sintonia con Zanotelli, Nebbia, Rodotà che indicano una “rivoluzione culturale” nella considerazione del disarmo come “diritto di 3a generazione”, rivolto alla salvaguardia di tutta l’umanità.
TNP e deterrenza
Questo della “sicurezza umana” pare un buon grimaldello su cui puntare per contrastare il TNP e il suo uso come strumento di deterrenza. I tre principi su cui il TNP fonda (e giustifica la sua longevità) rappresentano l’esigenza fin dal 1968 di consentire la detenzione di armamenti nucleari ai soli sottoscrittori del trattato, di escluderne la diffusione agli altri paesi, di controllarne gli usi per finalità pacifiche. C’è poi un quarto principio, non detto ma esercitato: il possesso di armi nucleari funziona come deterrente.
Il recente accordo tra USA e IRAN è la più palese dimostrazione di come anche i limiti imposti dal TNP possano venire aggirati, quando sono in ballo problemi di alto valore strategico per le potenze dominanti. Per Obama rompere l’ostilità dell’Iran nei confronti degli USA ha significato inserire un cuneo nel complesso mondo mediorientale. E’ riconosciuto all’Iran il “diritto” a sviluppare il nucleare civile. Saranno previsti controlli. Saranno sufficienti? Comunque il pericolo del nucleare per le popolazioni limitrofe non viene considerato. Di contro, all’àncora del TNP si deve la mancanza dell’accordo finale alla Conferenza di New York circa una zona denuclearizzata nel Medio Oriente di cui almeno da 5 anni si parla. Israele si oppone e anche i paesi suoi sostenitori.
E che dire del Giappone, dove pare scontato il consenso degli USA alla politica militarista dell’attuale primo ministro, che – nonostante la ferma opposizione di buona parte della popolazione - proprio in occasione del 70esimo di Hiroshima e Nagasaki non esita a dichiarare la sua volontà di violare il principio pacifista della Costituzione con l’introduzione di possibili formazioni militari, nonché di rimettere in azione la centrale nucleare di Fukushima che porterà un grande risparmio energetico? Che importa questo scempio di principi umanitari quando il Giappone può essere il più valido alleato degli USA nel contenimento dell’espansione commerciale del colosso cinese?
Scrive Stéphan Hessel “il TNP è ingannevole, ingiusto, perverso”. Darebbe il diritto di sviluppare programmi nucleari civili. Ma di che “diritto” si parla, a pensarci bene? Il diritto di procurarsi una Chernobyl o una Fukushima nel cortile di casa?
La svolta
Il vero salto di qualità è dunque rappresentato soltanto dall’iniziativa umanitaria, ossìa dalla capacità di far percepire all’opinione pubblica mondiale che la deterrenza esercitata dagli Stati che sono in possesso di armi nucleari si fonda su una minaccia inumana di armi che ancor più delle mine antiuomo e delle armi chimiche (già messe al bando) se usate anche accidentalmente, o per un errore di valutazione, hanno conseguenze spaventose per le creature viventi con un impatto enorme per tutti gli ambiti dell’attività umana.
La messa al bando delle armi nucleari attraverso uno strumento giuridicamente vincolante servirebbe a stigmatizzare il possesso di armi nucleari, contribuendo alla loro delegittimazione agli occhi della comunità internazionale. E metterebbe in crisi il TNP, indicandone il superamento dovuto alla diffusione di un autentico spirito di solidarietà. E’questo spirito di solidarietà la molla decisiva per una massiccia inversione di tendenza. Va costruito, con coraggio e speranza grandi.
La mostra “senza atomica” di Roma della scorsa primavera ha avuto mezzo milione di visitatori. Insegnanti con le loro classi, giovani, anziani, persone poco informate, hanno ricevuto emozioni e conoscenze sugli aspetti più inconsueti (il grave problema dello smaltimento delle scorie nucleari – rifiuti radioattivi, l’esigenza che l’uso del nucleare “civile” non serva come ombrello per altri usi segreti, né vengano tollerate insipienti applicazioni industriali di massa, prima di avere lasciato spazio e tempo a ricerche serie e socialmente controllate). “Le tecnologie su cui si basano i reattori attualmente in funzione – scrive Alfonso Navarra – bastano ed avanzano per garantirci l’estinzione, anche senza nessun dirottamento militare!”.
La gran parte delle nostre scuole ignora questi percorsi, i rischi potenziali che ci sovrastano quotidianamente, l’esistenza di petizioni da rivolgere ai governi, incontri tra studenti con esperti che possano fornire convincenti informazioni, consigliare pubblicazioni, visione di films e documenti scientifici. Un esempio positivo ci viene dal Liceo Linguistico Manzoni di Milano, dove si è costituito un gruppo denominato “l’ONU dei ragazzi” (MUN Milano) che invierà una delegazione al Palazzo di Vetro.
Noi siamo tra quei “disarmisti esigenti” che considerano primaria la responsabilità dei governi nel disarmo effettivo, ma tale responsabilità deve essere costantemente richiamata a tradursi in voti dei Parlamenti. Per questo, il massimo coinvolgimento dell’opinione pubblica è fondamentale.
La strada è tutta in salita ma appassionante. Lo esprime bene la denuncia di Ela Gandhi, attivista pacifista in Sud Africa “l’arma nucleare è pensata per proteggere i privilegi del 10% della popolazione mondiale che non vuole mettere in discussione il proprio stile di vita”.
*presidente di WILPF-Italia (Lega Internazionale di donne per la Pace e la Libertà)